Caro Luca,
la faccenda della sinistra antipatica, che hai ripreso
nella intervista al Corriere del 5 Gennaio mi convince
poco. Da un certo punto di vista è constatazione
ovvia, perché chi vuole cambiare le cose deve
anche battersi contro l’ideologia (cioè
la visione del mondo che fa comodo alle classi dominanti)
e questa non può certo essere una “operazione
simpatia”. La sinistra è sempre stata antipaticuzza,
come, nel nostro mestiere, lo sono i metodologi, che
devono sempre far le pulci agli altri per beruf.
Chi vuole cambiare deve proporre una moralità
diversa, forse non migliore, ma diversa (come è
stato convincentemente dimostrato da Karl Mannheim,
più di recente ripreso, con altri, anche da Paul
Ricoeur) altrimenti che motivazione c’è?
Mi sembra che, al contrario di quel che dici, la “sinistra
di governo” dimostri scarsa diversità morale.
Ecco perché è particolarmente deprimente,
e in questo concordo con una opinione diffusa che tu
riprendi, che alcuni leaders dei Ds non siano
riusciti a trovare uno stile di potere che li diversifichi
dagli altri. E la riprova è che i loro sostenitori
sono pubblicamente desolati della mancanza di specificità
e differenza, mentre gli avversari ne gongolano in modo
plateale, a cominciare da chi, con tutta probabilità,
ha fatto diffondere le intercettazioni. Nessuno nega
a Massimo D’Alema il “diritto” di
comprarsi una barca, ma non è questione di diritti:
è una questione di stile. Che diremmo se Blair,
che pure non è un trappista, si presentasse un
giorno con caschetto bianco, stivali, frustino e mazza
da polo? C’era davvero bisogno di comperarsi una
barca così? Ci sono molti modi di fare la vela,
ma appare particolarmente stonato che chi proviene dal
partito comunista scelga quello più vistoso e
meno sportivo: regate che sono spesso solo delle passerelle
del lusso. Forse io ho una concezione troppo austera
della vela, di derivazione Glenaniera, ma ho sempre
pensato che il vero velista è quello che le scotte
se le cazza da sé, non quello che le fa cazzare
da robusti giovinotti al macinacaffé, mentre
lui è in posa alla ruota del timone. E poi la
vela è un lusso che si misura rigorosamente in
piedi, se non in pollici, e uno come D’Alema sarà
sempre considerato un parvenu, senza il necessario
numero di piedi.
Però la tua affermazione che gli intellettuali
di sinistra non siano critici della propria parte è
fattualmente infondata: da Fo, a Stajano, a Pardi, a
Moretti, a Flores, a Deaglio, a Bosetti, a Furio Colombo.
Andiamo, Luca: la lista è veramente lunga. In
tutta questa faccenda mi sembra poi sorprendente che,
sulla scia del tuo libro, tutti concordino entusiasticamente
che sia la sinistra a peccare di righteousness moralistica
proprio nel pieno di una offensiva della destra che
si presenta come l’unica portatrice di “valori”
– ovviamente i propri, perché quelli degli
altri non contano. Ma dove guardate?
Il punto che più mi ha colpito della tua intervista
al Corriere riguarda l’università
e la scuola. Scrivi che “il ceto intellettuale
ha fatto scena muta di fronte alla distruzione della
scuola e dell’università di cui sono stati
protagonisti due ministri di sinistra: Luigi Berlinguer
e Tullio de Mauro.” A parte che un precisino come
sei tu dovrebbe sapere che la riforma dell’università,
cioè la legge 509, è stata attuata dal
Ministro Zecchino (come ricorda sempre puntualmente,
anche di recente su La Repubblica, Aldo Schiavone)
la tua è una frase fatta. Per quanto mi risulta
c’era ben poco da rovinare, ma forse anche se
eravamo nella stessa università abbiamo visto
due realtà diverse: tu eri un giovane ed entusiasta
ricercatore, io un preside alquanto più critico.
Comunque questa frase fatta viene ripetuta pedissequamente
da molti, anche se non tutti la pensano così.
Però, nel dirla, tu abbandoni del tutto la tua
rigorosa posa metodologica e butti là una opinione
soggettiva come verità accertata e condivisa,
ma, allora, a che serve la tua competenza di ricercatore?
La “scena muta del ceto intellettuale” poi
è affermazione priva di un qualsivoglia riscontro
empirico: scusa, ma dove hai vissuto in questi anni?
Su queste riforme (scuola, università) c’è
stato un dibattito accesissimo: prima, durante, dopo.
Si sono pubblicati a favore e contro decine di libri
e centinaia, a dir poco, di articoli. Di qualità
variabile, lo ammetto, anche se un lettore che avesse
un minimo di pazienza non ci metterebbe molto a separare
il grano dal loglio. Ti sfido a trovarmi una riforma
universitaria o una riforma tout court che sia stata
più dibattuta di questa. E’ un dibattito
che continua ancora oggi e chi ha una posizione critica
verso la riforma lo grida dalle colonne dei principali
quotidiani, esattamente come stai facendo tu. Ma sono
spesso opinioni e affermazioni gratuite, come la tua,
buttate lì, con molta alterigia e poca informazione
aggiuntiva: argomentazioni e dati a sostegno se ne leggono
veramente pochi.
Tuo, Guido Martinotti
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