Dove va la
democrazia? Secondo Hilary Wainwright, che ha presentato
a Roma il suo libro, Sulla strada della partecipazione.
Dal Brasile alla Gran Bretagna, viaggio nelle esperienze
di nuova democrazia (Ediesse), quella moderna deve
essere una democrazia partecipativa in grado di aumentare
il grado di coinvolgimento della cittadinanza nei processi
decisionali. La pubblicazione in Italia di questo testo,
“salutare diario di viaggio negli abissi della
crisi della democrazia rappresentativa – come
si legge nell’interessante prefazione di Alberto
Magnaghi – è di grande utilità,
in un paese in cui la crisi di quel modello ha i suoi
prodromi nel divorzio tra sindacati e operai nei moti
di piazza Statuto a Torino nel lontano 1961 arrivando
fino ai forum sociali di Seattle, Genova e Firenze”.
Alla presentazione del libro della Wainwright, che
si è tenuta all’Università degli
Studi di Roma Tre il 14 dicembre, sono intervenuti Giovanni
Allegretti, docente di Gestione Urbana all’Università
di Firenze, Alessandro Giangrande, docente di Progettazione
e Pianificazione sostenibile all’Università
degli Studi di Roma Tre, Paolo Nerozzi, segretario confederale
della Cgil, Massimiliano Smeriglio, Presidente del Municipio
XI di Roma, e Tarcisio Tarquini, giornalista. Obiettivo
della discussione, capire in che modo si misura la tensione
tra politiche tecnocratiche e nuove forme partecipate
di cittadinanza attiva.
Direttrice di Red Pepper e giornalista del
Guardian, Hilary Wainwright riflette attorno
a ciò che viene chiamato “potenziale creativo
dormiente” ovvero la capacità di cambiamento
di un gran numero di persone che opera costantemente
mutamenti profondi nelle pratiche quotidiane. Secondo
l’autrice, l’amministrazione di Vendola
in Puglia dimostra chiaramente che esiste un modo per
superare il clientelarismo del passato e che si può
lavorare con i movimenti sociali e creare una base per
poter con-dividere il potere: “l’organizzazione
dei municipi a Bari costituisce indubbiamente una nuova
strategia, vincente, un buon esempio di democrazia partecipativa.
È per questo che l’Italia può essere
considerata per molti versi la patria della democrazia
partecipativa”.
L’esperienza del Regno Unito, di cui la Wainwright
parla approfonditamente nel libro, conferma che la democrazia
rappresentativa è in crisi perché gli
eletti hanno sempre meno potere reale e riescono a incrociare
sempre più raramente i bisogni della popolazione.
“Allo stato attuale la conoscenza più importante
è quella che detengono gli uomini politici che
agiscono autonomamente secondo le proprie idee –
prosegue l’autrice – Parlare di democrazia
partecipativa significa, al contrario, parlare di una
maggiore distribuzione della conoscenza e porre rimedio
al forte scollamento tra i bisogni della cittadinanza
e l’agire politico”.
Massimiliano Smeriglio individua nel rapporto tra trasformazioni
urbanistiche e consenso della comunità uno degli
elementi chiave del processo di costruzione della partecipazione:
reti tra città, costruzione di un’etica
del servizio pubblico, rottura dell’uguaglianza
“pubblico uguale Stato” e costruzione di
una nuova uguaglianza, “pubblico uguale cittadinanza
locale”. “Oggi, di fatto – dice Smeriglio
– la democrazia dei pochi viene addirittura teorizzata
(la dottrina Bush ne è un chiaro esempio) e,
proprio per questo, non può essere considerata
una semplice patologia”.
“La protesta della Val di Susa – prosegue
Smeriglio – ci indica una strada differente. Piccole
città e piccoli sindaci hanno intercettato una
questione centrale: ripensare le forme di sviluppo e
di democrazia. Il governo locale non deve essere più
sponda dei movimenti né luogo neutrale ma soggetto
attivo chiamato a intervenire sulle questioni primarie
della contemporaneità”.
Ma secondo il Professor Giangrande l’autonomia
del processo partecipativo dal governo è una
condizione molto difficile da raggiungere: “La
necessità di essere autonomi rispetto agli organismi
delle democrazia rappresentativa – sostiene Giangrande
– è giustificata dall’autoreferenzialità
che caratterizza quasi invariabilmente i comportamenti
di tutte le amministrazioni, statali e locali”.
Siamo dunque di fronte a un problema di rappresentanza
politica e un problema di rappresentanza sociale. Oggi,
di fatto, assistiamo a una supremazia della rappresentanza
politica, sebbene si professi spesso il contrario; bisogna
invece riconoscere l’autonomia politica dei movimenti
ridando spazio e forza alla rappresentanza sociale.
Per farlo si devono mettere a punto strumenti efficaci,
e quelli esistenti, spesso, non sono sufficienti, soprattutto
quando non vengono rispettate le regole: “Anche
le forme della partecipazione – conclude Paolo
Nerozzi – hanno regole definite che devono essere
controllate dai cittadini. Se ciò non accade
si rischia di esaurire immediatamente la partecipazione
dopo il soddisfacimento di certi bisogni. La partecipazione,
al contrario, deve essere continuativa, prolungata,
costante e controllata dalla cittadinanza”.
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