292 - 09.01.06


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Come parli, Europa?

Daniele Castellani Perelli



“La lingua dell’Europa è la traduzione, questa Europa nasce coltivando le proprie differenze anche linguistiche”, ha detto una volta, in visita a Trieste, l’allora presidente della Commissione europea Romano Prodi. Una bella formula, ma andatela a spiegare allora agli europarlamentari italiani e a tutti quelli che nell’anno appena trascorso si sono impegnati in due battaglie di politica linguistica non da poco, e che hanno rilanciato una domanda che ancora non trova risposta: che lingua parla l’Europa?

La polemica nasce a febbraio, quando diversi deputati italiani del Parlamento europeo e di quello nazionale contestano la Commissione per due presunte offese all’Italia e alla sua lingua: non aver previsto nessun italiano tra i portavoce e l’aver tagliato, per motivi di bilancio, alcune traduzioni delle conferenze stampa. Nella Commissione Barroso ci sono 6 portavoce francesi, 5 tedeschi, 5 britannici, 3 portoghesi, 2 polacchi, e uno ciascuno per altri 9 paesi. Visto che nelle conferenze stampa tutti i portavoce devono usare inglese e francese, la questione è soprattutto politica: meno portavoce significa una riduzione della rappresentanza nazionale in posti di indubbia visibilità nella Commissione, oltre a qualche facilitazione in meno per i giornalisti italiani. L’Italia, paese fondatore, ha anche perduto negli ultimi tempi alcune importanti direzioni generali.

Nel caso delle traduzioni, l’italiano faceva parte di un gruppo di lingue aggiunte, a rotazione, al francese e all’inglese. La nuova Commissione aveva deciso di mantenere la traduzione in tutte le lingue dell’Unione per le conferenze stampa del mercoledì, giorno in cui si riunisce l’eurogoverno e vengono annunciati i maggiori provvedimenti. Negli altri giorni erano assicurate quelle che la portavoce di Barroso, Françoise Le Bail, ha definito le “tre lingue base” (francese, inglese e tedesco), aggiungendo a turno quelle dei commissari impegnati nella conferenza e dei paesi più interessati ai temi trattati. L’innovazione andava incontro a esigenze di bilancio reali: l’allargamento ha fatto salire le lingue ufficiali da 11 a 21, il numero dei traduttori sta lievitando dagli 800 dello scorso anno ai 2.070 previsti entro il 2008. Le spese per gli aspetti linguistici sono pari a 807 milioni di euro l’anno e potrebbero salire fino a un miliardo dopo l’ingresso degli altri paesi in lista di attesa.

Dopo la protesta ufficiale del rappresentante permanente presso l’Ue Rocco Cangelosi e dopo che Roma ha ottenuto l’appoggio di Madrid, il 15 marzo il problema delle traduzioni trova una soluzione ufficiale. L’italiano torna ad essere presente nelle conferenze della Commissione europea, non solo in quelle del mercoledì. La questione del portavoce italiano rimane invece tuttora in sospeso, anche se il 6 dicembre scorso il vicepresidente della Commissione Franco Frattini ha annunciato che l’Italia ne avrà presto due.

Destra e sinistra si sono ritrovati unite in questa doppia difesa della presunta italianità offesa, pochi mesi prima che scoppiasse un’altra polemica di retroguardia su un’altra “italianità” a rischio, quella delle banche. Il 12 dicembre scorso due eurodeputati di Forza Italia, Mario Mantovani ed Alfredo Antoniozzi, hanno cominciato una raccolta di firme in favore di una dichiarazione scritta in difesa del multilinguismo nelle istituzioni europee. Questa la loro motivazione: “La nostra azione è in linea con un maggior rispetto del nostro paese, della sua cultura e dei suoi cittadini”. Insomma, non può sfuggire che questa battaglia per il multilingusimo celi in realtà una battaglia nazionalista.

La ragione di tutto ciò è che l’italiano sta perdendo peso nell’Ue a 25. Lo dice più di una ricerca. Secondo l’ultimo sondaggio Eurobarometro pubblicato dalla Commissione europea, l’inglese è la lingua più parlata in Europa al di fuori del proprio paese (dal 34% dei cittadini europei), il tedesco (12%) e il francese (11%) si contendono il secondo e terzo posto, lo spagnolo (5%) si conferma al quarto e il russo (5) fa il suo ingresso in quinta posizione, scalzando l’italiano che retrocede al sesto posto (2%), appena sopra a polacco e olandese (1%). La mappa della diffusione dell’italiano nell’Ue si limita a quattro paesi in tutto: è la seconda lingua più parlata a Malta, e la terza a Cipro, in Grecia e in Austria.

Ma dietro c’è una questione ancora più importante. L’italiano perde peso politico perché l’Italia e la cultura italiana perdono peso politico. È la cultura che decide la diffusione delle lingue. Le imposizioni dall’alto possono aiutare, ma in regimi non dittatoriali ogni lingua si fa strada da sé, senza aiuti. Se le istituzioni di Bruxelles, per paradosso, vietassero l’uso dell’inglese, oltre a funzionare peggio (masochismo), non impedirebbero certo lo sviluppo dell’inglese in Europa. Il quale passa infatti da altri canali: l’economia, la musica, il cinema, i libri, i rapporti tra gli uomini. Se il cinema, la letteratura, la politica e l’economia italiana sapessero farsi esempio europeo crescerebbe naturalmente il numero di quanti vogliono studiare l’italiano.

L’inglese è prima lingua del continente per tanti motivi storici, ma anche perché la cultura anglosassone ha informato di sé il mondo occidentale e europeo degli ultimi 50 anni. Anche il francese, che tra ‘700 e ’800 era la lingua della cultura, ha perso peso politico e ora è stata superata anche dal tedesco. E’ quello che in qualche modo ha ammesso lo stesso Prodi, quando a maggio ha denunciato che “il potere dei media inglesi” condiziona l’azione di Bruxelles: “Quando sono partito credevo che ci fosse il potere della burocrazia franco-tedesca. Quando sono tornato mi sono accorto che c’è il potere dei media inglesi che hanno il dominio della lingua”.

L’inglese è stato ammesso come lingua ufficiale solo 10 anni fa, ma ora la fa da padrone nelle istituzioni di Bruxelles, dove il francese conserva un suo peso soprattutto grazie al fatto che le due sedi del Parlamento sono in territorio francofono. Uno studio della Eurydice mostra che la lingua di Shakespeare è la più insegnata nelle scuole primarie (con le sole esclusioni del Belgio e del Lussemburgo) e nell’insegnamento secondario, dove tra il 1998 e il 2002 ha avuto una forte diffusione anche nei paesi dell’Europa centrale e orientale.

Invece di chiedere privilegi alle istituzioni, l’Italia dovrebbe pensare a tornare faro dell’Europa, magari spendendo di più in cultura all’estero, attraverso gli istituti italiani di cultura. A quel punto non si dovranno più mendicare favori, perché i cittadini dell’Europa vorranno naturalmente parlare (anche) la nostra lingua. Le ricerche dicono che i ragazzi europei sono sempre più poliglotti, viaggiano molto, e partecipano sempre più al progetto Erasmus per lo studio universitario all’estero: nell’anno accademico 2003/2004 sono stati oltre 135.000 gli studenti che ne hanno approfittato, con un aumento del 9,4% rispetto all’anno precedente.

Proprio i dati Erasmus confermano il declino del nostro paese. La destinazione preferita dagli universitari europei è infatti la Spagna, che ha ospitato oltre 22.000 studenti, seguita dalla Francia (19.000) e dalla Germania (16.000), mentre a scegliere il Belpaese sono stati solo 12.000 allievi, e così l’Italia è al quinto posto. Gli italiani, in tutti questi dati, non brillano, e questo è un altro segnale di declino. Se da Germania, Francia e Gran Bretagna partono ogni anno più di 20.000 studenti Erasmus, dall’Italia espatriano solo in 17.000. Se in media il 50% degli europei conosce un’altra lingua, in Italia la percentuale è solo del 36%, terz’ultima prestazione nell’Ue a 25. Che lingua parla l’Europa? Alcuni secoli fa parlava l’italiano. Ora se l’è dimenticato, perché non le serve più.



 

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