Narrare la
situazione degli emarginati o divulgare notizie riguardo
alle tensioni interne ad uno Stato, creare uno show
dedicato alle donne, riunire i giornalisti in un sindacato
o diffondere attraverso Internet le foto di una manifestazione.
In buona parte del pianeta questi sono motivi validi
di incarcerazione, tortura, condanna a morte, ma per
Reporter sans frontières queste sono azioni che
meritano di essere premiate perché testimonianza
della lotta per la libertà d’informazione.
E la stessa associazione, a venti anni dalla sua nascita,
è stata insignita (ex-aequo con le Donne in bianco
cubane e l’avvocato nigeriana Hauwa Ibrahim) del
Premio Sacharov, conferito dal Parlamento europeo per
la difesa dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, fra cui la libertà d’espressione.
A sua volta Reporters sans frontières –
Fondation del France 2005, ha assegnato il suo premio
giunto ormai alla tredicesima edizione. I riflettori
continuano ad essere puntati su quelle che rappresentano,
dal punto di vista della libertà di stampa, le
zone buie del pianeta. Prima tappa: la Cina.
Zhao Yan ha 42 anni, alle spalle un’esperienza
come reporter della rivista “La Riforma in Cina”,
una serie di reportage sulle condizioni di vita dei
contadini e una collaborazione con il New York Times.
Ma dal 17 settembre 2004 Zhao è detenuto a Pechino
e rischia la pena di morte. Il capo d’accusa è
“aver divulgato dei segreti di Stato” e
“frode”. Più semplicemente il giornalista
ha inviato ad alcuni colleghi del NYT appunti sulle
voci riguardanti le presunte tensioni fra il presidente
cinese Hu Jintao e il suo predecessore Jiang Zemin.
La famiglia non può vederlo, gli sono negate
alcune cure mediche, le pressioni del Governo americano
non sembrano servire a niente e il suo processo viene
continuamente rimandato. Un caso emblematico, il primo
dei quattro premiati da Rsf in questa edizione.
Dalla Cina all’Afghaninstan, dove non è
difficile morire per una trasmissione televisiva: nel
maggio scorso la giornalista Shaima Rezayee, ventiquattrenne
animatrice dello show televisivo “Hop” su
Tolo Tv, è stata la prima giornalista uccisa
in Afghanistan dalla fine della guerra 2001. Oggi la
stessa emittente propone una trasmissione condotta dalla
giovane psicologa Farzana Samini, nella quale tre volte
alla settimana si parla dei problemi sociali e psicologici
delle donne afgane, ma propone anche programmi di informazione
indipendente e clip musicali. Grazie a questo coraggioso
palinsesto, poco allineato con la programmazione di
Stato e condannato a più riprese come “immorale
e anti-islamico”, Tolo Tv, la principale emittente
televisiva privata e indipendente del Paese, si è
guadagnata il riconoscimento di Reporters sans frontières.
Non solo Cina e Afghanistan, i riflettori della libertà
di stampa si muovono verso un altro continente: l’Africa,
e precisamente la Somalia, dove ha sede l’Unione
nazionale dei giornalisti somali (NUSOJ, ex SOJON),
creata nel 2002 a Mogadiscio. In questa Nazione allo
sbando – dove solo nel 2005 sono stati uccisi
due giornaliste, Kate Peyton inviato speciale della
Bbc e Duniya Muhiyadin Nur, della radio HornAfrik –
difendere i giornalisti e battersi per la libertà
della stampa sono gli obiettivi del sindacato. Ma la
stessa associazione è vittima di persecuzioni,
tanto che nel settembre scorso il segretario generale
del Consiglio supremo del NUSOJ, Omar Faruk Osman, e
il presidente Mohamed Barre Haji hanno dovuto lasciare
il paese al seguito di minacce e attacchi da parte di
una milizia locale.
Infine la luce del premio colpisce la Siria, dove ancora
oggi non esiste una stampa libera e indipendente. Una
figura si distingue fra tutte, è quella del cyberdissidente
Massoud Hamid, ventinovenne studente di giornalismo
colpevole di aver scattato e fatto pubblicare all’estero
(sul sito www.amude.com)
le foto di una manifestazione pro-curdi organizzata
nel Paese. Massoud è stato condannato nel 2004
a tre anni di prigione e ha trascorso il primo anno
in cella di isolamento, dove il giornalista è
stato torturato fino a perdere l’uso di entrambi
i piedi.
Ognuno dei vincitori riceverà la somma di 2500
euro, ma soprattutto avrà la speranza di poter
continuare la sua battaglia per il diritto ad un’informazione
libera come è accaduto nel caso di Grigory Pasko
(Russia-2002), condannato per aver denunciato gravi
episodi di inquinamento ambientale e rilasciato nel
gennaio 2003 .
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