292 - 09.01.06


Cerca nel sito
Cerca WWW
I nobel della libertà di stampa

Beatrice Mani



Narrare la situazione degli emarginati o divulgare notizie riguardo alle tensioni interne ad uno Stato, creare uno show dedicato alle donne, riunire i giornalisti in un sindacato o diffondere attraverso Internet le foto di una manifestazione. In buona parte del pianeta questi sono motivi validi di incarcerazione, tortura, condanna a morte, ma per Reporter sans frontières queste sono azioni che meritano di essere premiate perché testimonianza della lotta per la libertà d’informazione. E la stessa associazione, a venti anni dalla sua nascita, è stata insignita (ex-aequo con le Donne in bianco cubane e l’avvocato nigeriana Hauwa Ibrahim) del Premio Sacharov, conferito dal Parlamento europeo per la difesa dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, fra cui la libertà d’espressione.

A sua volta Reporters sans frontières – Fondation del France 2005, ha assegnato il suo premio giunto ormai alla tredicesima edizione. I riflettori continuano ad essere puntati su quelle che rappresentano, dal punto di vista della libertà di stampa, le zone buie del pianeta. Prima tappa: la Cina.
Zhao Yan ha 42 anni, alle spalle un’esperienza come reporter della rivista “La Riforma in Cina”, una serie di reportage sulle condizioni di vita dei contadini e una collaborazione con il New York Times. Ma dal 17 settembre 2004 Zhao è detenuto a Pechino e rischia la pena di morte. Il capo d’accusa è “aver divulgato dei segreti di Stato” e “frode”. Più semplicemente il giornalista ha inviato ad alcuni colleghi del NYT appunti sulle voci riguardanti le presunte tensioni fra il presidente cinese Hu Jintao e il suo predecessore Jiang Zemin. La famiglia non può vederlo, gli sono negate alcune cure mediche, le pressioni del Governo americano non sembrano servire a niente e il suo processo viene continuamente rimandato. Un caso emblematico, il primo dei quattro premiati da Rsf in questa edizione.

Dalla Cina all’Afghaninstan, dove non è difficile morire per una trasmissione televisiva: nel maggio scorso la giornalista Shaima Rezayee, ventiquattrenne animatrice dello show televisivo “Hop” su Tolo Tv, è stata la prima giornalista uccisa in Afghanistan dalla fine della guerra 2001. Oggi la stessa emittente propone una trasmissione condotta dalla giovane psicologa Farzana Samini, nella quale tre volte alla settimana si parla dei problemi sociali e psicologici delle donne afgane, ma propone anche programmi di informazione indipendente e clip musicali. Grazie a questo coraggioso palinsesto, poco allineato con la programmazione di Stato e condannato a più riprese come “immorale e anti-islamico”, Tolo Tv, la principale emittente televisiva privata e indipendente del Paese, si è guadagnata il riconoscimento di Reporters sans frontières.

Non solo Cina e Afghanistan, i riflettori della libertà di stampa si muovono verso un altro continente: l’Africa, e precisamente la Somalia, dove ha sede l’Unione nazionale dei giornalisti somali (NUSOJ, ex SOJON), creata nel 2002 a Mogadiscio. In questa Nazione allo sbando – dove solo nel 2005 sono stati uccisi due giornaliste, Kate Peyton inviato speciale della Bbc e Duniya Muhiyadin Nur, della radio HornAfrik – difendere i giornalisti e battersi per la libertà della stampa sono gli obiettivi del sindacato. Ma la stessa associazione è vittima di persecuzioni, tanto che nel settembre scorso il segretario generale del Consiglio supremo del NUSOJ, Omar Faruk Osman, e il presidente Mohamed Barre Haji hanno dovuto lasciare il paese al seguito di minacce e attacchi da parte di una milizia locale.

Infine la luce del premio colpisce la Siria, dove ancora oggi non esiste una stampa libera e indipendente. Una figura si distingue fra tutte, è quella del cyberdissidente Massoud Hamid, ventinovenne studente di giornalismo colpevole di aver scattato e fatto pubblicare all’estero (sul sito www.amude.com) le foto di una manifestazione pro-curdi organizzata nel Paese. Massoud è stato condannato nel 2004 a tre anni di prigione e ha trascorso il primo anno in cella di isolamento, dove il giornalista è stato torturato fino a perdere l’uso di entrambi i piedi.
Ognuno dei vincitori riceverà la somma di 2500 euro, ma soprattutto avrà la speranza di poter continuare la sua battaglia per il diritto ad un’informazione libera come è accaduto nel caso di Grigory Pasko (Russia-2002), condannato per aver denunciato gravi episodi di inquinamento ambientale e rilasciato nel gennaio 2003 .


 

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it