291 - 26.12.05


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Se welfare e sviluppo
non si fanno la guerra

Andrea Borghesi



“Non c’è antinomia tra politiche per l’equità sociale e politiche per l’efficienza economica”. È molto netto il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, stretto collaboratore della Casa Bianca ai tempi dell’Amministrazione Clinton, nella sua risposta alle domande poste a lui e al segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, da Marcello Messori e Laura Pennacchi in occasione di un recente iniziativa della Fondazione Di Vittorio sul modello sociale europeo. Per l’economista americano esiste “complementarietà” tra coesione sociale e sviluppo; un’evidenza dimostrata proprio dalla situazione americana. Detassando i ricchi e disinteressandosi degli strati più bassi della società, infatti, George W. Bush “non ha stimolato l’economia ma creato deficit”, mentre gli aumenti di produttività e del Pil registrati durante gli ultimi anni sono il frutto della crescita di Internet e delle biotecnologie, settori nei quali gli Stati Uniti detengono una quota preponderante del mercato mondiale, e del comparto dell’industria militare, che, nell’epoca delle guerra al terrorismo, deve rispondere alle imponenti commesse del ministero della Difesa.

In sostanza, Stiglitz, che è stato tra l’altro vice presidente della Banca Mondiale, come d’altronde altri suo illustri colleghi d’oltreoceano, mette in luce quanto i successi della politica neoliberista propagandati dall’attuale amministrazione (alta crescita, bassa disoccupazione) siano soprattutto il frutto di una forte presenza dello Stato in economia. Stridente contraddizione che Epifani sottolinea affermando che “la domanda militare americana corrisponde a tutta la spesa pubblica italiana con importanti ricadute su tutta l’economia e sulla ricerca”.

Il panorama mondiale propone due soli altri modelli di successo negli ultimi dieci anni, quello cinese, un liberismo oligarchico guidato dallo Stato, e quello scandinavo che per entrambi gli interlocutori rappresenta un contraltare adeguato capace di far convivere equità e crescita. Due i tratti caratteristici del sistema nordeuropeo: alta imposizione fiscale e alti investimenti pubblici in ricerca, scuola e industria innovativa, che hanno consentito alla Finlandia, per esempio, di diventare il più grande produttore di telefoni cellulari al mondo. Stiglitz ha poi notato come “quelle società abbiano accettato un tasso di tecnologia e di innovazione più alto grazie proprio alle prestazioni sociali di cui godono” (contro la disoccupazione, per la vecchiaia, per la maternità e sanitarie). Paesi, ha ricordato l’economista, che possono vantare, inoltre, “un indice di sviluppo umano (indice promosso dall’Onu che classifica gli stati in base al benessere dei cittadini, ndr) ben superiore a quello statunitense dove tasso di istruzione e redditi della classe media risultano in calo, mentre la criminalità è in crescita con una popolazione carceraria dieci volte superiore a quella degli altri paesi avanzati”.

Guardare al modello scandinavo, quindi, dimenticando quello americano perché troppo ineguale, e non essere ossessionati nemmeno dal Pil, “come indicatore di ricchezza in quanto può crescere anche con l’aumento delle divaricazioni sociali” è quanto affermano all’unisono il sindacalista e l’economista, che negli ultimi anni ha approfondito i suoi studi sulle cause e sulle conseguenze delle crisi finanziarie degli anni ’90 (La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, 2002); d’accordo anche sulle politiche da adottare nel breve periodo per rilanciare l’economia in Europa ed in Italia in particolare: un no all’aumento del costo del danaro (deciso, invece, in questi giorni dalla Banca Centrale Europea) ed un sì ad investimenti pubblici nei settori strategici e sull’istruzione superiore che rimane “uno dei punti di forza del sistema americano”.

 

 

 

 

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