Predrag Matvejevic
vede nero. Dopo la “sconfitta totale” del
recente vertice Euromed, le due sponde del Mediterraneo
rimangono terribilmente lontane: “Il rapporto
economico-finanziario, nonostante gli annunci, si è
rivelato quasi inconsistente. La priorità dell’Ue,
nell’ultimo decennio, è stato il rapporto
con un’altra Europa, quella dei paesi orientali”.
Studioso, poeta, saggista, Matvejevic una volta ha detto:
“Le frontiere vere del Mediterraneo non sono statali,
non sono neanche storiche. Le frontiere vere del Mediterraneo
sono l’ulivo, il mandorlo, il fico, il melograno.
Fin dove va il fico senza diventare selvaggio è
il Mediterraneo. Fin dove va il melograno senza diventare
acido è il Mediterraneo. Fin dove va l’ulivo
e sull’altra sponda la palma. Dunque così
si può vedere il Mediterraneo, fuori da queste
contingenze storiche, da queste vicende conflittuali
che stiamo vivendo”. La biografia di Matvejevic,
autore tra l’altro di Breviario Mediterraneo,
Epistolario dell’altra Europea e del recente Un’Europa
maledetta, basta da sola a fare di quest’uomo
un vero europeo, un grande europeo. Nato a Mostar nel
1932 da padre russo e madre croata della Bosnia-Erzegovina,
è professore all’Università di Zagabria
e poi alla Sorbona a Parigi, mentre oggi insegna letterature
slave a La Sapienza di Roma. Ex consulente per il Mediterraneo
per la Commissione europea di Romano Prodi, nel 2000
ha ricevuto un incarico dall’Alto Commissariato
dell’Onu per i territori dell’ex-Jugoslavia,
e oggi vive tra Parigi e Roma.
“È utopistico pensare ad un processo di
adesione per i paesi della sponda sud del mediterraneo
– ci dice – ma la cosa peggiore sarebbe
la politica del Ponzio Pilato”. Matvejevic loda
Zapatero, rimprovera l’Italia di “non avere
più una politica mediterranea”, e spiega
sconsolato che, in questo momento in cui la politica
sembra aver fallito, solo attraverso le fondazioni culturali
può mantenersi vivo il dialogo euromediterraneo.
Il vertice Euromed, svoltosi a Barcellona a
fine novembre, è stato definito “una grande
occasione mancata del dialogo mediterraneo”. Le
due sponde del “mare bianco” rimangono sempre
lontane?
Io parlo da tempo del fallimento della conferenza di
Barcellona del 1995, ma non riesco a convincere i miei
amici spagnoli del fatto che quel processo non sta realizzando
i suoi progetti. Durante la preparazione il vertice
ero in Francia, e sono stato coinvolto dalla delegazione
francese. Ci sono delle formulazioni che provengono
anche dai miei testi, e per questo un po’ mi sento
anche colpevole. Il pericolo su cui ho sempre richiamato
l’attenzione è la mitizzazione del partenariato,
che è una parola chiave del processo di Barcellona.
Intendo dire che non tutti i partner sono uguali. Non
si può usare la stessa parola per indicare il
rapporto che l’Ue intrattiene con la Svizzera
e con l’Algeria. Non si può usare la parola
“partner” in assoluto, perché Svizzera
e Algeria sono partner diversi per l’Ue. Ogni
volta bisogna vedere se il partner può garantire
la sua collaborazione, se può dimostrare una
responsabilità verso l’Ue.
E quali sono i motivi per cui è fallito
il processo di Barcellona?
Anzitutto il fallimento dell’integrazione commerciale
Sud-Sud, che doveva assicurare quell’area di libero
scambio prevista dalla conferenza di Barcellona. Poi
le implosioni avvenute in certi paesi arabi come la
stessa Algeria, paesi in cui i regimi continuano a non
evolvere, a non fare passi in avanti. Poi l’11
settembre, che ha bloccato la possibilità di
comunicazione: mi è capitato di invitare un collega
di un’Università tunisina, e ha dovuto
aspettare mesi e mesi prima di ottenere un visto, cosa
che ovviamente non gli ha permesso di partecipare al
convegno cui era stato invitato. Infine i problemi del
terrorismo internazionale.
Una questione che in qualche modo coinvolge
anche il dialogo tra le religioni…
E’ evidente. Negli ultimi anni il mondo islamico
ha vissuto un momento molto difficile per quanto riguarda
la comunicazione. Da tempo dico che l’Islam vive
una fase che anche il cristianesimo ha vissuto nei secoli
precedenti: il suo dilemma odierno, islamizzare la modernità
o modernizzare l’Islam, è speculare a quello
che si pose il cristianesimo a suo tempo. Non si può
islamizzare la modernità, e neanche le nostre
fedi o le nostre chiese sono mai riuscite a cristianizzare
la modernità, perché hanno trovato sulla
loro strada la laicità dell’illuminismo.
E invece per vari motivi i paesi islamici, anche a causa
del colonialismo, non hanno vissuto un vero illuminismo,
che fosse capace di opporsi ad un’espansione della
religione.
Qual è oggi, nel rapporto tra Ue e paesi
della sponda sud del Mediterraneo, il problema che va
risolto più urgentemente? L’immigrazione?
La questione economico-finanziaria?
Il rapporto economico-finanziario, nonostante gli annunci,
si è rivelato purtroppo quasi inconsistente.
Erano poche cose, e non si sono fatte. La priorità
dell’Ue, nell’ultimo decennio, è
stato il rapporto con un’altra Europa, quella
dei paesi orientali. Tra i dieci nuovi entrati solo
due sono paesi del Mediterraneo, e sono Malta e Cipro,
ma la prima è una piccola isola, e la seconda
è entrata divisa. Senza giustificare con ciò
le istituzioni europee, ma per spiegare il fallimento
del dialogo euromediterraneo, va detto che l’allargamento
ad Est è stato molto costoso, ha assorbito tutti
i mezzi dell’Ue. E quello che rimaneva per il
Mediterraneo era veramente poco.
Quali sono, oggi, le prospettive del rapporto
economico-finanziario?
Io temo che, nei tempi che verranno, l’aiuto sarà
ancora più ristretto, la pressione dell’immigrazione
si farà sempre più forte, e temo anche
che l’Europa non saprà aiutare i paesi
della sponda sud del Mediterraneo a risolvere i problemi
posti dalla nuova immigrazione proveniente dall’Africa
subsahariana. Da soli questi paesi non possono farcela,
e se non li aiutiamo creeranno anche a noi gravissimi
problemi.
La politica ha bisogno di leader, di protagonisti,
e a Barcellona il padrone di Casa era José Luis
Zapatero. La posizione severa che ha tenuto sull’immigrazione
clandestina, nelle vicende di Ceuta e Melilla, nuoce
al suo prestigio o lo rende ancora più autorevole
nel suo ruolo di mediatore del rapporto euromediterraneo?
Zapatero è un leader molto positivo e non ha
abbastanza sostegno. Su questo tema la sua posizione
in Spagna è molto forte, anche perché
il partito popolare, all’opposizione, è
una destra moderata. Zapatero fa passi avanti, ma con
difficoltà. Sarebbe un grave danno se l’Europa
perdesse un politico come lui.
L’Italia invece sembra aver perso tutto
il suo storico prestigio, agli occhi del mondo arabo.
L’Italia non ha una politica mediterranea definita.
Ogni tanto si assiste a un piccolo sforzo, ma invece
di seguire la sua configurazione geopolitica, invece
di diventare protagonista della politica dell’Europa
nei confronti del Mediterraneo intero, l’Italia
preferisce essere alla coda di alcuni piccoli progetti
europei. Oltre a non avere una politica ben definita,
al momento è molto preoccupata dai suoi problemi
interni, è molto rivolta verso se stessa. E così
il suo ruolo nel Mediterraneo finisce con l’essere
passivo.
Cosa si può fare per rilanciare il dialogo
tra le due sponde del Mediterraneo? Che ne pensa della
possibilità di aprire un percorso, lungo ma concreto,
che sia analogo a quello che l’Ue ha già
sperimentato con i paesi dell’Est? Un percorso
che porti prima o poi all’integrazione di alcuni
paesi della sponda sud, un po’ come si sta già
cercando di fare, dall’altro lato del Mediterraneo,
con la Turchia.
Al momento, l’adesione all’Ue da parte dei
paesi della sponda sud rimane un’utopia, a differenza
di quanto sta accadendo con la Turchia. La cosa peggiore
sarebbe la politica del Ponzio Pilato. Occorre una seria
riflessione. Ci sono livelli in cui possono essere coinvolti
rappresentanti del mondo arabo, e con un po’ di
buona volontà ci sono delle cose concrete che
si possono fare. Io sono stato nel gruppo di saggi istituito
dall’allora presidente della Commissione europea
Romano Prodi, e siamo riusciti a costruire una fondazione
euromediterranea. Una fondazione che poteva avere sede
in Italia, perché la maggior parte dei partecipanti
erano favorevoli e l’Italia aveva allora la credibilità
per prendersi questa responsabilità. Lungaggini
ed esitazioni hanno fatto invece sì che la fondazione
venisse stabilita a Alessandria d’Egitto. E’
collegata a piccole associazioni spagnole e italiane,
come l’ottima e decennale fondazione Laboratorio
Mediterraneo di Napoli, in cui sono io stesso presente
con il ruolo di presidente del comitato scientifico.
Questa rete di fondazioni potrebbe essere un modo per
continuare a riflettere, a mantenere in qualche modo
vivo il dialogo mediterraneo. Per evitare quella che,
al momento, sembra una sconfitta totale.
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