291 - 26.12.05


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Tra illusione e utopia
è morta Euromed

Predrag Matvejevic con
Daniele Castellani Perelli



Predrag Matvejevic vede nero. Dopo la “sconfitta totale” del recente vertice Euromed, le due sponde del Mediterraneo rimangono terribilmente lontane: “Il rapporto economico-finanziario, nonostante gli annunci, si è rivelato quasi inconsistente. La priorità dell’Ue, nell’ultimo decennio, è stato il rapporto con un’altra Europa, quella dei paesi orientali”.
Studioso, poeta, saggista, Matvejevic una volta ha detto: “Le frontiere vere del Mediterraneo non sono statali, non sono neanche storiche. Le frontiere vere del Mediterraneo sono l’ulivo, il mandorlo, il fico, il melograno. Fin dove va il fico senza diventare selvaggio è il Mediterraneo. Fin dove va il melograno senza diventare acido è il Mediterraneo. Fin dove va l’ulivo e sull’altra sponda la palma. Dunque così si può vedere il Mediterraneo, fuori da queste contingenze storiche, da queste vicende conflittuali che stiamo vivendo”. La biografia di Matvejevic, autore tra l’altro di Breviario Mediterraneo, Epistolario dell’altra Europea e del recente Un’Europa maledetta, basta da sola a fare di quest’uomo un vero europeo, un grande europeo. Nato a Mostar nel 1932 da padre russo e madre croata della Bosnia-Erzegovina, è professore all’Università di Zagabria e poi alla Sorbona a Parigi, mentre oggi insegna letterature slave a La Sapienza di Roma. Ex consulente per il Mediterraneo per la Commissione europea di Romano Prodi, nel 2000 ha ricevuto un incarico dall’Alto Commissariato dell’Onu per i territori dell’ex-Jugoslavia, e oggi vive tra Parigi e Roma.
“È utopistico pensare ad un processo di adesione per i paesi della sponda sud del mediterraneo – ci dice – ma la cosa peggiore sarebbe la politica del Ponzio Pilato”. Matvejevic loda Zapatero, rimprovera l’Italia di “non avere più una politica mediterranea”, e spiega sconsolato che, in questo momento in cui la politica sembra aver fallito, solo attraverso le fondazioni culturali può mantenersi vivo il dialogo euromediterraneo.

Il vertice Euromed, svoltosi a Barcellona a fine novembre, è stato definito “una grande occasione mancata del dialogo mediterraneo”. Le due sponde del “mare bianco” rimangono sempre lontane?

Io parlo da tempo del fallimento della conferenza di Barcellona del 1995, ma non riesco a convincere i miei amici spagnoli del fatto che quel processo non sta realizzando i suoi progetti. Durante la preparazione il vertice ero in Francia, e sono stato coinvolto dalla delegazione francese. Ci sono delle formulazioni che provengono anche dai miei testi, e per questo un po’ mi sento anche colpevole. Il pericolo su cui ho sempre richiamato l’attenzione è la mitizzazione del partenariato, che è una parola chiave del processo di Barcellona. Intendo dire che non tutti i partner sono uguali. Non si può usare la stessa parola per indicare il rapporto che l’Ue intrattiene con la Svizzera e con l’Algeria. Non si può usare la parola “partner” in assoluto, perché Svizzera e Algeria sono partner diversi per l’Ue. Ogni volta bisogna vedere se il partner può garantire la sua collaborazione, se può dimostrare una responsabilità verso l’Ue.

E quali sono i motivi per cui è fallito il processo di Barcellona?

Anzitutto il fallimento dell’integrazione commerciale Sud-Sud, che doveva assicurare quell’area di libero scambio prevista dalla conferenza di Barcellona. Poi le implosioni avvenute in certi paesi arabi come la stessa Algeria, paesi in cui i regimi continuano a non evolvere, a non fare passi in avanti. Poi l’11 settembre, che ha bloccato la possibilità di comunicazione: mi è capitato di invitare un collega di un’Università tunisina, e ha dovuto aspettare mesi e mesi prima di ottenere un visto, cosa che ovviamente non gli ha permesso di partecipare al convegno cui era stato invitato. Infine i problemi del terrorismo internazionale.

Una questione che in qualche modo coinvolge anche il dialogo tra le religioni…

E’ evidente. Negli ultimi anni il mondo islamico ha vissuto un momento molto difficile per quanto riguarda la comunicazione. Da tempo dico che l’Islam vive una fase che anche il cristianesimo ha vissuto nei secoli precedenti: il suo dilemma odierno, islamizzare la modernità o modernizzare l’Islam, è speculare a quello che si pose il cristianesimo a suo tempo. Non si può islamizzare la modernità, e neanche le nostre fedi o le nostre chiese sono mai riuscite a cristianizzare la modernità, perché hanno trovato sulla loro strada la laicità dell’illuminismo. E invece per vari motivi i paesi islamici, anche a causa del colonialismo, non hanno vissuto un vero illuminismo, che fosse capace di opporsi ad un’espansione della religione.

Qual è oggi, nel rapporto tra Ue e paesi della sponda sud del Mediterraneo, il problema che va risolto più urgentemente? L’immigrazione? La questione economico-finanziaria?

Il rapporto economico-finanziario, nonostante gli annunci, si è rivelato purtroppo quasi inconsistente. Erano poche cose, e non si sono fatte. La priorità dell’Ue, nell’ultimo decennio, è stato il rapporto con un’altra Europa, quella dei paesi orientali. Tra i dieci nuovi entrati solo due sono paesi del Mediterraneo, e sono Malta e Cipro, ma la prima è una piccola isola, e la seconda è entrata divisa. Senza giustificare con ciò le istituzioni europee, ma per spiegare il fallimento del dialogo euromediterraneo, va detto che l’allargamento ad Est è stato molto costoso, ha assorbito tutti i mezzi dell’Ue. E quello che rimaneva per il Mediterraneo era veramente poco.

Quali sono, oggi, le prospettive del rapporto economico-finanziario?

Io temo che, nei tempi che verranno, l’aiuto sarà ancora più ristretto, la pressione dell’immigrazione si farà sempre più forte, e temo anche che l’Europa non saprà aiutare i paesi della sponda sud del Mediterraneo a risolvere i problemi posti dalla nuova immigrazione proveniente dall’Africa subsahariana. Da soli questi paesi non possono farcela, e se non li aiutiamo creeranno anche a noi gravissimi problemi.

La politica ha bisogno di leader, di protagonisti, e a Barcellona il padrone di Casa era José Luis Zapatero. La posizione severa che ha tenuto sull’immigrazione clandestina, nelle vicende di Ceuta e Melilla, nuoce al suo prestigio o lo rende ancora più autorevole nel suo ruolo di mediatore del rapporto euromediterraneo?

Zapatero è un leader molto positivo e non ha abbastanza sostegno. Su questo tema la sua posizione in Spagna è molto forte, anche perché il partito popolare, all’opposizione, è una destra moderata. Zapatero fa passi avanti, ma con difficoltà. Sarebbe un grave danno se l’Europa perdesse un politico come lui.

L’Italia invece sembra aver perso tutto il suo storico prestigio, agli occhi del mondo arabo.

L’Italia non ha una politica mediterranea definita. Ogni tanto si assiste a un piccolo sforzo, ma invece di seguire la sua configurazione geopolitica, invece di diventare protagonista della politica dell’Europa nei confronti del Mediterraneo intero, l’Italia preferisce essere alla coda di alcuni piccoli progetti europei. Oltre a non avere una politica ben definita, al momento è molto preoccupata dai suoi problemi interni, è molto rivolta verso se stessa. E così il suo ruolo nel Mediterraneo finisce con l’essere passivo.

Cosa si può fare per rilanciare il dialogo tra le due sponde del Mediterraneo? Che ne pensa della possibilità di aprire un percorso, lungo ma concreto, che sia analogo a quello che l’Ue ha già sperimentato con i paesi dell’Est? Un percorso che porti prima o poi all’integrazione di alcuni paesi della sponda sud, un po’ come si sta già cercando di fare, dall’altro lato del Mediterraneo, con la Turchia.

Al momento, l’adesione all’Ue da parte dei paesi della sponda sud rimane un’utopia, a differenza di quanto sta accadendo con la Turchia. La cosa peggiore sarebbe la politica del Ponzio Pilato. Occorre una seria riflessione. Ci sono livelli in cui possono essere coinvolti rappresentanti del mondo arabo, e con un po’ di buona volontà ci sono delle cose concrete che si possono fare. Io sono stato nel gruppo di saggi istituito dall’allora presidente della Commissione europea Romano Prodi, e siamo riusciti a costruire una fondazione euromediterranea. Una fondazione che poteva avere sede in Italia, perché la maggior parte dei partecipanti erano favorevoli e l’Italia aveva allora la credibilità per prendersi questa responsabilità. Lungaggini ed esitazioni hanno fatto invece sì che la fondazione venisse stabilita a Alessandria d’Egitto. E’ collegata a piccole associazioni spagnole e italiane, come l’ottima e decennale fondazione Laboratorio Mediterraneo di Napoli, in cui sono io stesso presente con il ruolo di presidente del comitato scientifico. Questa rete di fondazioni potrebbe essere un modo per continuare a riflettere, a mantenere in qualche modo vivo il dialogo mediterraneo. Per evitare quella che, al momento, sembra una sconfitta totale.

 

 

 

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