291 - 26.12.05


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Le ragioni di un fallimento

Bichara Khader con Luca Sebastiani



Allo scorso vertice euro-mediterraneo di Barcellona, bilancio e rilancio del partenariato avviato nella stessa città spagnola dieci anni fa, la divergenza e la deriva tra le due sponde del Mediterraneo si è manifestata, anche visivamente, con l’assenza della controparte meridionale.
Morte dell’ambizioso progetto Euromed o solo crisi passeggera? Ne abbiamo parlato con Bichara Khader, professore alla Facoltá di Scienze politiche economiche e sociali di Louvain-la-Neuve e membro del Gruppo di saggi per il dialogo culturale euro-mediterraneo che alle relazioni che si intrecciano nel bacino mediterraneo ha dedicato diversi volumi.

Professore, al vertice di Barcellona appena concluso otto dei dieci capi di stato dei paesi partner dell’Ue nel processo Euromed erano assenti. Per quale motivo hanno disertato il summit?

Sono diversi i motivi che hanno spinto dei dirigenti arabi a non presentarsi in Spagna. Il primo è l’ossessione britannica per la lotta contro il terrorismo. Dopo gli attentati di Londra questa paura è legittima e necessaria, e d’altronde gli stati arabi sono molto sensibili a questa questione, visto che sono stati loro stessi vittime di atti terroristici inqualificabili. Allo stesso tempo però i governanti dei paesi del mediterraneo meridionale hanno la sensazione che il Partenariato si stia trasformando in una piattaforma di discussione su questioni relative alla sola sicurezza dell’Europa, come se la sicurezza degli arabi, soprattutto dei palestinesi, fosse di minore importanza.
Un altro motivo che ha indotto gli stati arabi a disertare il vertice è che si sono sentiti costretti a sedersi sul banco degli accusati e di rispondere alle accuse di non aver fatto abbastanza sforzi per riformare le loro economie, per aprire i loro mercati e ristabilire lo stato di diritto. Di conseguenza, la visione comune dei paesi partecipanti al summit prevedeva che se il partenariato non è decollato è soprattutto a causa “loro”, dei paesi della riva sud. Un modo poco elegante da parte dell’Europa di sganciarsi da tutte le responsabilità e dimenticare tutte le lunghezze amministrative, la modicità degli investimenti in una regione comunque percepita come prioritaria nel discorso politico e mediatico europeo, l’asimmetria nell’apertura commerciale (la Pac), il rifiuto della circolazione regolare delle persone, il ruolo di gendarme dell’immigrazione assegnato ai paesi mediterranei, la compiacenza con le politiche israeliane di colonizzazione e di costruzione di un muro che separa la Palestina dalla Palestina.
Infine, i dirigenti arabi hanno avuto la sensazione che la presidenza britannica non abbia sufficientemente preparato il summit e non abbia cercato di consultare i partner sui dossier da dibattere.

A Barcellona i partecipanti del summit sono riusciti a mettersi d’accordo solo su un “codice di condotta contro il terrorismo”. E’ il segno che la priorità europea è diventata la sicurezza?

Magro risultato quello del “codice di condotta contro il terrorismo”. Bisognava comunque che l’Ue si felicitasse di qualcosa per evitare di riconoscere che il summit è stato un fiasco. Quello che l’Ue dimentica è che gli stati arabi sono fermamente impegnati nella lotta contro il terrorismo e che questa “strategia antiterrorismo” li conforta, per così dire, perché non fa che rinforzare il loro controllo sulle loro società con la repressione di tutte le contestazioni sotto il pretesto di lottare contro il terrorismo. All’evidenza le preoccupazioni della sicurezza hanno primeggiato sul partenariato economico e sociale e soprattutto sul necessario dialogo culturale, da tempo messo male.

Dieci anni dopo il lancio del processo di avvicinamento tra Sud e Nord del Mediterraneo le disuguaglianze si accentuano. Quali erano allora le intenzioni dei protagonisti e quali si sono realizzate?

La firma della Dichiarazione di Barcellona nel 1995 fu importante perché con il suo ambizioso obiettivo in tre punti – zona di pace e stabilità, crescita e prosperità, dialogo sociale e culturale – servì a rompere con la tradizione della preferenza commerciale nelle relazioni tra l’Europa e il Mediterraneo. Ora, dopo dieci anni, il bilancio è piuttosto magro e tutte le constatazioni convergono nel sottolineare l’utilità del partenariato ma anche la sua insufficienza. Alla fine dei conti bisogna prendere atto che la posizione europea risponde prima a preoccupazioni di sicurezza e che è centrata essenzialmente sul libero scambio industriale.

Cosa spinse l’Ue alla dichiarazione di Barcellona?

La presa d’atto del pericolo che l’Europa avrebbe corso con un troppo grande scarto di sviluppo tra le due rive del Mediterraneo. Divenne così imperativo l’impegno ad accelerare il ritmo dello sviluppo economico, a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni, ad aumentare il tasso d’occupazione e a promuovere l’integrazione regionale nel Sud-Est del Mediterraneo. Soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino e la ricomposizione geopolitica nell’Est europeo, per la quale l’Ue si spese molto, il partenariato euro-mediterraneo rispose a una volontà di riequilibrio della politica europea nelle due zone prioritarie per la sua sicurezza: il Mediterraneo e l’Europa centrale e orientale.

Quanto la conflittualità dell’area ha impedito i progressi sperati in termini d’integrazione e sviluppo?

Evidentemente i conflitti (arabo-israeliano e quello del Sahara occidentale) costituiscono un ostacolo alla cooperazione regionale. Ma non bisogna farsi illusioni: la fine della conflittualità non produrrà i suoi effetti positivi se non sarà accompagnata da un impegno fermo da parte dell’Ue e dei paesi mediterranei ad approfondire il progetto euro-mediterraneo.

Come rilanciare il partenariato Euromed?

Ci vuole da parte dell’Ue un impegno risoluto a sviluppare con i partner delle attività durevoli, generatrici di reddito, risparmio e investimenti. La politica attuale, centrata sui soli scambi commerciali, conduce a far entrare le economie mediterranee nel mercato comunitario, ma non può in alcuna maniera, da sola, far uscire i paesi dell’altra sponda dalla loro letargia. Al di là del commercio, ci vuole uno “sviluppo condiviso” e questo passa attraverso la diffusione della conoscenza, il miglioramento della condizione femminile, la gestione delle risorse idriche e il lancio d’infrastrutture regionali.
Da parte loro i partner del Mediterraneo del Sud devono assumere la loro parte di responsabilità nella messa in opera delle raccomandazioni della Dichiarazione di Barcellona, principalmente in quello che concerne l’apertura dei sistemi politici con tutto quello che implica in termini di governance (mettere fine alla corruzione), di trasparenza (finirla con l’opacità delle procedure), d’efficacia e d’equità (distribuire equamente i sacrifici e i benefici). Tutto questo suppone dei dirigenti e non solo dei governanti, lo sviluppo di una vera classe d’imprenditori e non solamente una borghesia speculativa e gravitante nell’orbita del potere.

 

 

 

 

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