Allo scorso
vertice euro-mediterraneo di Barcellona, bilancio e
rilancio del partenariato avviato nella stessa città
spagnola dieci anni fa, la divergenza e la deriva tra
le due sponde del Mediterraneo si è manifestata,
anche visivamente, con l’assenza della controparte
meridionale.
Morte dell’ambizioso progetto Euromed o solo crisi
passeggera? Ne abbiamo parlato con Bichara Khader, professore
alla Facoltá di Scienze politiche economiche
e sociali di Louvain-la-Neuve e membro del Gruppo di
saggi per il dialogo culturale euro-mediterraneo che
alle relazioni che si intrecciano nel bacino mediterraneo
ha dedicato diversi volumi.
Professore, al vertice di Barcellona appena
concluso otto dei dieci capi di stato dei paesi partner
dell’Ue nel processo Euromed erano assenti. Per
quale motivo hanno disertato il summit?
Sono diversi i motivi che hanno spinto dei dirigenti
arabi a non presentarsi in Spagna. Il primo è
l’ossessione britannica per la lotta contro il
terrorismo. Dopo gli attentati di Londra questa paura
è legittima e necessaria, e d’altronde
gli stati arabi sono molto sensibili a questa questione,
visto che sono stati loro stessi vittime di atti terroristici
inqualificabili. Allo stesso tempo però i governanti
dei paesi del mediterraneo meridionale hanno la sensazione
che il Partenariato si stia trasformando in una piattaforma
di discussione su questioni relative alla sola sicurezza
dell’Europa, come se la sicurezza degli arabi,
soprattutto dei palestinesi, fosse di minore importanza.
Un altro motivo che ha indotto gli stati arabi a disertare
il vertice è che si sono sentiti costretti a
sedersi sul banco degli accusati e di rispondere alle
accuse di non aver fatto abbastanza sforzi per riformare
le loro economie, per aprire i loro mercati e ristabilire
lo stato di diritto. Di conseguenza, la visione comune
dei paesi partecipanti al summit prevedeva che se il
partenariato non è decollato è soprattutto
a causa “loro”, dei paesi della riva sud.
Un modo poco elegante da parte dell’Europa di
sganciarsi da tutte le responsabilità e dimenticare
tutte le lunghezze amministrative, la modicità
degli investimenti in una regione comunque percepita
come prioritaria nel discorso politico e mediatico europeo,
l’asimmetria nell’apertura commerciale (la
Pac), il rifiuto della circolazione regolare delle persone,
il ruolo di gendarme dell’immigrazione assegnato
ai paesi mediterranei, la compiacenza con le politiche
israeliane di colonizzazione e di costruzione di un
muro che separa la Palestina dalla Palestina.
Infine, i dirigenti arabi hanno avuto la sensazione
che la presidenza britannica non abbia sufficientemente
preparato il summit e non abbia cercato di consultare
i partner sui dossier da dibattere.
A Barcellona i partecipanti del summit sono
riusciti a mettersi d’accordo solo su un “codice
di condotta contro il terrorismo”. E’ il
segno che la priorità europea è diventata
la sicurezza?
Magro risultato quello del “codice di condotta
contro il terrorismo”. Bisognava comunque che
l’Ue si felicitasse di qualcosa per evitare di
riconoscere che il summit è stato un fiasco.
Quello che l’Ue dimentica è che gli stati
arabi sono fermamente impegnati nella lotta contro il
terrorismo e che questa “strategia antiterrorismo”
li conforta, per così dire, perché non
fa che rinforzare il loro controllo sulle loro società
con la repressione di tutte le contestazioni sotto il
pretesto di lottare contro il terrorismo. All’evidenza
le preoccupazioni della sicurezza hanno primeggiato
sul partenariato economico e sociale e soprattutto sul
necessario dialogo culturale, da tempo messo male.
Dieci anni dopo il lancio del processo di avvicinamento
tra Sud e Nord del Mediterraneo le disuguaglianze si
accentuano. Quali erano allora le intenzioni dei protagonisti
e quali si sono realizzate?
La firma della Dichiarazione di Barcellona nel 1995
fu importante perché con il suo ambizioso obiettivo
in tre punti – zona di pace e stabilità,
crescita e prosperità, dialogo sociale e culturale
– servì a rompere con la tradizione della
preferenza commerciale nelle relazioni tra l’Europa
e il Mediterraneo. Ora, dopo dieci anni, il bilancio
è piuttosto magro e tutte le constatazioni convergono
nel sottolineare l’utilità del partenariato
ma anche la sua insufficienza. Alla fine dei conti bisogna
prendere atto che la posizione europea risponde prima
a preoccupazioni di sicurezza e che è centrata
essenzialmente sul libero scambio industriale.
Cosa spinse l’Ue alla dichiarazione di
Barcellona?
La presa d’atto del pericolo che l’Europa
avrebbe corso con un troppo grande scarto di sviluppo
tra le due rive del Mediterraneo. Divenne così
imperativo l’impegno ad accelerare il ritmo dello
sviluppo economico, a migliorare le condizioni di vita
delle popolazioni, ad aumentare il tasso d’occupazione
e a promuovere l’integrazione regionale nel Sud-Est
del Mediterraneo. Soprattutto dopo la caduta del muro
di Berlino e la ricomposizione geopolitica nell’Est
europeo, per la quale l’Ue si spese molto, il
partenariato euro-mediterraneo rispose a una volontà
di riequilibrio della politica europea nelle due zone
prioritarie per la sua sicurezza: il Mediterraneo e
l’Europa centrale e orientale.
Quanto la conflittualità dell’area
ha impedito i progressi sperati in termini d’integrazione
e sviluppo?
Evidentemente i conflitti (arabo-israeliano e quello
del Sahara occidentale) costituiscono un ostacolo alla
cooperazione regionale. Ma non bisogna farsi illusioni:
la fine della conflittualità non produrrà
i suoi effetti positivi se non sarà accompagnata
da un impegno fermo da parte dell’Ue e dei paesi
mediterranei ad approfondire il progetto euro-mediterraneo.
Come rilanciare il partenariato Euromed?
Ci vuole da parte dell’Ue un impegno risoluto
a sviluppare con i partner delle attività durevoli,
generatrici di reddito, risparmio e investimenti. La
politica attuale, centrata sui soli scambi commerciali,
conduce a far entrare le economie mediterranee nel mercato
comunitario, ma non può in alcuna maniera, da
sola, far uscire i paesi dell’altra sponda dalla
loro letargia. Al di là del commercio, ci vuole
uno “sviluppo condiviso” e questo passa
attraverso la diffusione della conoscenza, il miglioramento
della condizione femminile, la gestione delle risorse
idriche e il lancio d’infrastrutture regionali.
Da parte loro i partner del Mediterraneo del Sud devono
assumere la loro parte di responsabilità nella
messa in opera delle raccomandazioni della Dichiarazione
di Barcellona, principalmente in quello che concerne
l’apertura dei sistemi politici con tutto quello
che implica in termini di governance (mettere fine alla
corruzione), di trasparenza (finirla con l’opacità
delle procedure), d’efficacia e d’equità
(distribuire equamente i sacrifici e i benefici). Tutto
questo suppone dei dirigenti e non solo dei governanti,
lo sviluppo di una vera classe d’imprenditori
e non solamente una borghesia speculativa e gravitante
nell’orbita del potere.
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