Il cammino
della Costituzione europea si è preso una pausa.
Dopo i fatidici “no” di Francia e Olanda,
la Commissione ha deciso di prendere un po’ di
tempo per riflettere, prima di riproporre il Trattato
alla ratifica dei paesi membri. Da dove riparte la riflessione
sulla Costituzione europea? Con quali strumenti, quali
obiettivi realisticamente raggiungibili e politicamente
desiderabili?
Per cercare risposta a questi interrogativi la Fondazione
Basso ha organizzato un convegno dal titolo “Per
un’Europa Costituzionale”.
Quello che segue è l’intervento del prof.
Maurizio Fioravanti.
Guardo alla storia recente del Trattato Costituzionale,
quella storia che ha inizio nel Consiglio Europeo del
dicembre 2001, quando l’espressione “processo
costituente europeo” divenne abbastanza diffusa
per poi arrivare quasi a scomparire nel 2005, dopo i
noti referendum, francese ed olandese. Guardo a questo
quinquennio e vedo un punto debole del percorso nel
cammino verso la costituzione, vedo l’incertezza
nell’affrontare il problema del fondamento democratico
del processo di costituzionalizzazione dell’Europa.
Voglio fare una distinzione tra il “processo di
costituzionalizzazione dell’Europa” e quello
che chiamiamo invece “processo costituente europeo”.
A mio parere dal primo può nascere il secondo
solo nel caso in cui si sviluppino, nel suo svolgimento,
il principio democratico e il principio di unità
politica.
Sul piano storico questi due principi non hanno necessariamente
una forma statale o nazionale, in altre parole e rovesciando
il ragionamento, possiamo dire che la forma statal-nazionale
non è il necessario modo d’essere del principio
di unità politica e del principio democratico.
Ecco allora che, visto in questa prospettiva, il caso
europeo diviene un terreno di verifica di tale assunto;
allo stesso tempo indica una direzione di ricerca e
illumina il versante in cui ci troviamo oggi: se vogliamo
far ripartire il cammino della Costituzione europea,
se vogliamo far continuare la discussione, dobbiamo
avere le idee chiare sul fatto che prima di ogni altra
cosa, il nostro percorso passa attraverso una “costituzionalizzazione”
dell’Europa fondata su un proprio principio democratico
e orientata alla costruzione di un principio di unità
politica.
Da parte mia, anch’io come molti vedo il pericolo
che le bocciature referendarie francesi e olandesi facciano
rinascere una dottrina che potremmo chiamare tradizionale.
Niente di male in questo, poiché le dottrine
tradizionali sono quelle da cui veniamo tutti e che
riscriviamo continuamente, ed anzi, in materia costituzionale
le dottrine forti sono proprio quelle che hanno una
tradizione. Tuttavia dentro quella tradizione è
diffuso l’assunto secondo cui costituzionalizzare
vuol dire statalizzare e quindi, nel caso europeo, si
può fare una costituzione solo nella misura in
cui si realizzi uno stato federale europeo. Togliamoci
subito dalla testa questo assunto o non faremo molta
strada. Esso contiene una spiegazione semplicistica
dei fallimenti referendari, un’interpretazione
secondo la quale la causa di quei fallimenti è
nell’incertezza sulla natura stessa del processo
costituente, in un contesto in cui la Costituzione appariva
ai cittadini, in quei referendum, come una complicata
questione di diritto internazionale che vedeva gli Stati
partecipare in maniera separata e individuale. C’è
del vero in questa interpretazione, ma enfatizzandola
non si va da nessuna parte, si rimane fermi e senza
poter far altro che immaginare una triste conclusione
di tutta questa vicenda.
Secondo me l’assunto secondo il quale a una costituzione
si associa necessariamente la nascita di uno Stato è
profondamente sbagliato per ragioni sia storiche che
teoriche. In primo luogo il Trattato costituzionale
per l’Unione Europea è già in sé
una smentita di quell’assunto. In secondo luogo,
di fronte a quella che abbiamo chiamato dottrina tradizionale,
propongo un atteggiamento culturale diverso, adeguato
ai fatti, che li sappia constatare senza aggredirli
. Non voglio con queste parole ammettere di avere una
teoria nuova da contrapporre a visioni tradizionali,
quello che mi interessa è invece provare a ragionare
sull’opportunità di trovare una teoria
adeguata ai fatti che abbiamo davanti. Allo stesso tempo,
tuttavia, comprendo anche quanto sia insidioso applicare
la categoria dell’adeguatezza ai fatti, specialmente
in materia costituzionalistica. E allora lo sforzo dovrebbe
essere indirizzato verso la comprensione comune di quello
che significa “costituzionalizzare l’Europa”,
verso il superamento di quelle posizioni che nel recente
passato si sono limitate a dire del Trattato costituzionale
che è un “ibrido”, e della Unione
Europea che è un “oggetto non identificato”,
senza invece provare a spendere energie per indagare
l’uno e l’altra nella loro interezza.
Ora, a mio avviso, il testo di cui abbiamo sempre parlato
contiene due limiti in particolare. Il primo di questi,
ho già avuto altre occasioni di segnalarlo, attiene
soprattutto la prima parte del Trattato e quelli che
in una Costituzione di stampo tradizionale si chiamerebbero
i Principi Fondamentali. A questo proposito, credo che
nella stesura del testo si sia proceduto per giustapposizione
e che sia mancato, rispetto a un’ideale misura
costituente, il coraggio della selezione, e quindi l’esito
della sintesi. Si dice comunemente che il Trattato costituzionale
appare distante dalla forma della Costituzione soprattutto
a causa della sua lunghezza, ed in particolare del carattere
analitico della parte terza, ma bisogna aggiungere che
non meno rilevante è in proposito l’evidente
incertezza nella formulazione dei principi nella parte
prima.
Ora, io non dico che l’elettorato francese e
olandese abbia percepito questi difetti al momento di
votare il referendum di ratifica, ma sto dicendo che
se volessimo rilanciare la battaglia, dovremmo avere
in testa una misura ideale di ciò che può
essere Costituzione. Il testo è costruito seguendo
troppo il metodo della ricognizione dell’esistente
e del riconoscimento delle fonti già esistenti
mediante la loro giustapposizione.
Senza voler prendere a modello le Costituzioni nazionali,
c’è un insegnamento che ci può venire
dalle Costituzioni democratiche e sociali del ‘900
europeo: l’incertezza sui principi fondamentali
è incertezza sul principio di unità politica,
perché la scelta sui primi è parte essenziale
del secondo, della sua sostanza e di cosa significhi.
Io salverei in questo senso un uso della nozione di
costituzione secondo cui questa è un insieme
di principi e di finalità che sono state scelte
dal Costituente, costituiscono il nucleo fondamentale
della Costituzione e rappresentano il limite materiale
al procedimento di revisione costituzionale. Questi
principi, quindi, non sono solamente un’espressione
teorica, ma sono qualcosa che vive dentro il diritto
costituzionale e svolge funzioni ben precise. Nel testo
nato per l’Unione europea, invece, esiste un andamento
irrisolto proprio su questo punto delicatissimo, e dunque
sul principio di unità politica. Come procedere
avanti in questa direzione? Per fare una Costituzione
non è necessario fare uno Stato, ma è
necessario che si abbia di mira la realizzazione di
un principio di unità politica. E invece la realizzazione
di questo principio è stata persa di vista, come
mostrano le incertezze nella costruzione della prima
parte del Trattato costituzionale.
Quanto alla forma che può avere l’Unione
Europea, credo che l’obiettivo debba essere la
realizzazione di una Federazione, che è concetto
ben più vasto di quello di Stato federale. L’Europa
può e deve assumere una forma politica federale,
ma non espressa in forma statale (cioè non destinata
a tradursi nelle forme tradizionali dello stato nazionale)
e che veda le sue basi nel contratto costituzionale
europeo. Ma purtroppo il testo che abbiamo di fronte
è lontano da questo traguardo. Si pensi, ad esempio,
a due norme che nel testo sono poste una di seguito
all’altra, la 1.5 e la 1.6, il rispetto delle
identità nazionali da una parte e il principio
di prevalenza del Diritto comunitario dall’altra.
Si tratta di due principi da vedersi in un rapporto
di tensione-integrazione produttivo potenzialmente di
unità politica, e che invece sono rimasti a livello
di giustapposizione tra principi diversi.
Se, da una parte, lo Stato nazionale è ben rappresentato
da un cerchio che come tale ha un centro, unico per
definizione; l’Europa invece andrebbe letta con
la metafora dell’ellisse, una figura in cui due
fuochi, quelli rispettivamente rappresentati nelle due
norme sopra citate, producono e sorreggono una forma
definita che contiene un’unità politica,
che ha un suo modo di esistere, diverso da quello dello
Stato nazionale. Da una parte il cerchio, dall’altra
l’ellisse; da una parte una figura centrata in
un solo punto, dall’altra una forma che ha due
fuochi vitali; da una parte un singolo stato nazionale
con la sua storia e la sua identità, dall’altra
un accordo fondato su un contratto che crea una obbligazione
salda e durevole tra tanti soggetti, nella tensione
continua tra le identità nazionali e la prevalenza
del diritto comune.
Al secondo limite della più recente vicenda
europea dedicherei solo una battuta conclusiva. Una
rinnovata battaglia per la Costituzione europea non
potrà più prescindere, a mio avviso, dalla
dimensione della approvazione popolare. Penso a un referendum
da tenersi contestualmente in ogni Stato, nello stesso
giorno e con regole condivise. E penso alla necessità
di una doppia maggioranza qualificata, degli Stati,
e della popolazione europea, corrispondente a quei due
“fuochi”, di cui sopra si discorreva. Se si vuole
davvero la Costituzione europea, bisogna pensarci.
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