Fuochi, incendi
nella notte. Prima auto, poi edifici e bus. Fumo nero
che si leva in quantità. Denso come quello delle
Torri Gemelle. Squadre di poliziotti si proteggono con
gli scudi da oggetti che arrivano da chissà dove.
In lontananza alcune persone si muovono velocemente,
si piegano indietro e lanciano qualcosa che scoppia
in vampate di fiamme. Una voce animata parla di guerriglia
urbana, rivolta, intifada, situazione cecena, guerra
civile. Ma dove, dove siamo? Non sembra Ramallah, non
pare Baghdad. Un logo in sovrimpressione, come quello
della guerra in Iraq, dice: “Parigi in fiamme”.
In Francia!
E’ più o meno così che hanno visto
i fatti delle banlieues negli Stati Uniti.
Almeno chi è stato spettatore della Cnn, delle
sue sensazionalistico-drammatiche corrispondenze dai
sobborghi in rivolta e delle sue mappe surreali, con
Cannes ai piedi dei Pirenei e Tolosa sulla Alpi. Oltre
ad aver segnato per sempre le cognizioni geografiche
dei propri spettatori, la mitica Cnn ha permesso loro
di farsi un’idea abbastanza vicina alla realtà
dei fatti?
In Francia sono in pochi a crederlo. I francesi hanno
guardato la Fox News, sugli schermi della quale campeggiava
la scritta “Rivolte musulmane” su un tricolore
sventolante. Hanno guardato preoccupati le altre emittenti
americane, poi quelle del mondo intero e per un momento
hanno vacillato: o la stampa nazionale sottovaluta gli
avvenimenti in corso o quella straniera li sopravvaluta.
A quel punto hanno gettato uno sguardo fuori dalla finestra,
avuto un saggio diretto della realtà e tirato
un sospiro di sollievo. I secondi erano decisamente
“sopra le righe”.
“Quando si parla di una Francia a fuoco, si è
molto lontani dai fatti”. Il governo francese
non ha retto, ha convocato gli inviati esteri e ha mandato
loro un portavoce per “correggere” l’immagine
del Paese e spiegare “le cose quali sono, nella
loro realtà, senza tabù e ugualmente senza
esagerazioni”.
Ma qual è la giusta misura? Il governo, che
prende provvedimenti misurati sull’entità
della stessa realtà su cui i corrispondenti costruiscono
i loro servizi, ha decretato lo stato d’urgenza,
misura eccezionale che s’impone in occasioni eccezionali.
E allora d’accordo: non drammatizzare, non esagerare,
ma se “il Paese in fiamme non è la realtà,
in tutto il Medioriente i telespettatori non comprendono
come sia possibile che lo stato d’urgenza sia
istaurato in un paese come la Francia”, ha eccepito
Michel Kik, corrispondente di Al-Jazira.
Ha esagerato il governo o hanno esagerato i media?
Oppure anche la politica fa parte della stessa rappresentazione
della realtà, della famigerata società
dello spettacolo?
Quel che è certo è che ognuno vede le
cose a seconda della propria vista e delle proprie proiezioni.
Che ognuno ha trasformato la Francia con le sue banlieues
povere ed emarginate nel pieno di una rivolta nichilista,
nello specchio in cui osservare le proprie paure: il
terrorismo, l’islamismo che si infiltra ovunque,
l’immigrazione minacciosa, il pericolo.
Questo per quanto riguarda le corrispondenze per i
paesi lontani, ma dal di dentro, come hanno agito i
media francesi? Per lo più, almeno le testate
principali, hanno cercato di accompagnare il loro lavoro
con un ragionamento sul modo più giusto e responsabile
di avvicinare le violenze urbane. Responsabilità
nei confronti dei lettori. Come rendere conto degli
avvenimenti senza aggravare la situazione né
minimizzare i fatti? Come rendere conto del punto di
vista dei rivoltosi se questi identificano la figura
del giornalista come un emissario dello Stato? Quali
parole scegliere per definire gli attori sulla scena?
Come sfuggire alle pressioni politiche? E’ necessario
dare il bilancio quotidiano delle auto bruciate se questo
può innescare un effetto di competizione tra
i gruppi di incendiari?
Molti giornali hanno così deciso di mandare
nelle banlieues giornalisti usciti dall’immigrazione.
Della propria redazione, come ha fatto Tf1,
o free lance, come ha fatto le Monde. A le
Parisien, il direttore della redazione ha inviato
una lettera a tutti i giornalisti per invitarli ad un
surplus di oggettività e “dar prova d’un
estremo rigore e di una grande umiltà di fronte
ai fatti”. France 2 e France 3 hanno
deciso di non annunciare più il bilancio dei
danni per ogni banlieue “al fine di evitare un
effetto hit-parade”. Il presidente di France
Télévision, Patrick de Carolis, ha
dato consegna ai canali di “trattare gli avvenimenti
solo nei programmi d’informazione e non, quindi,
nei programmi di divertimento o spettacolo”.
Insomma, alla fine a secondo del posto da dove si è
guardato agli accadimenti, si sono avute idee differenti
degli stessi. E non è stata solo la distanza
dalle banlieues a determinare la correttezza delle corrispondenze.
Hanno giocato le diverse concezioni e pratiche del giornalismo.
Hanno giocato le diverse paure.
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