“Non
possiamo rinunciare ai nostri valori e alla nostra storia,
specialmente se hanno saputo interpretare le esigenze
del paese. Ma non possiamo nemmeno esserne schiavi”.
In questa duplice necessità Romano Prodi sintetizza
un principio che certo potrà tornare utile, se
il centrosinistra andrà al governo. L’ex
presidente della Commissione europea interviene a Roma
alla presentazione dell’ultimo di Pietro Scoppola,
La democrazia dei cristiani. Il cattolicesimo
politico nell’Italia unita (Laterza editore,
a cura di Giuseppe Tognon), e l’occasione è
buona per fare il punto sulla tenuta dell’alleanza
su un tema molto caldo, il rapporto tra la politica
e la Chiesa cattolica. Occasione ghiotta anche perché,
insieme al Candidato, siede e parla Piero Fassino, segretario
dei Ds.
Sebbene il titolo possa generare facili ironie, sebbene
la platea sia evidentemente canuta, i non-nostalgici
possono tuttavia tirare un sospiro di sollievo: “Se
il centrosinistra vincerà non tornerà
affatto la Democrazia Cristiana – sembrano dire,
con eccezionale armonia Prodi, Fassino e Scoppola –
ma questo non ci vieterà di ispirarci ai momenti
migliori di quella tradizione, nel tentativo di aggiornare
quel cammino all’Italia di oggi e di chiudere
la frattura tra clericali e anticlericali”. Quest’ultima
frase la dice Prodi, cui, da candidato premier, spetterà
il difficile compito di trovare una sintesi, di far
convivere Mastella e Capezzone, De Mita e Boselli.
Da parte sua, Piero Fassino appare sinceramente impegnato
nella stessa operazione. Il segretario dell’ex
partito comunista, che da poco ha rivelato di essere
credente, ripercorre con una certa passione tutti i
momenti in cui i cattolici hanno fatto progredire la
democrazia italiana, in cui “hanno ricoperto un
ruolo progressista, maieutico rispetto all’evoluzione
del paese”: Don Sturzo che supera il non expedit
di papa Pio IX, il riformismo bianco tra i due secoli
(“non meno importante di quello rosso”),
il contributo nella Costituzione repubblicana (“che
a differenza di quella francese è una sintesi
di diverse culture, dottrine e esperienze”), l’impegno
nella diffusione di un anticomunismo democratico che
dal centro guardava a sinistra, il ruolo della Dc e
di De Gasperi nelle due scelte che hanno segnato l’identità
italiana e europea: l’Europa e l’Alleanza
atlantica, due opzioni felicemente completari, a differenza
di quanto accade oggi con il governo Berlusconi, e che
sono state rese possibili anche grazie alla costruzione
di un solido asse italo-tedesco dalle radici cristiano-democratiche
(non a caso andato perso, quando, finita la Dc, Helmut
Kohl è stato costretto a spostare a destra il
Ppe).
Fassino riconosce “la concezione democratica
forte dei cattolici”, “la loro straordinaria
capacità di far crescere una cultura laica”,
e anche quella di “tenere unita la società,
intorno a valori forti come la solidarietà, la
libertà, la fratellanza e l’uguaglianza”.
Prodi ricorda l’eredità di don Sturzo,
De Gasperi, Dossetti e Moro. Rivendica che l’Ulivo
ha saputo rendere attuale anche quella tradizione. Scoppola,
che il professor Andrea Riccardi (fondatore della Comunità
di Sant’Egidio) definisce “un uomo in ricerca,
dalla costante inquietudine verso ogni realismo e ogni
ideologismo”, conclude esprimendo la speranza
che le forze politiche “sappiano instaurare un
rapporto più maturo, meno strumentale con il
proprio passato, perché in giro c’è
uno sperpero di storia”.
“Bisogna guardare indietro senza nostalgie e
senza pregiudizi – conclude lo storico cattolico
– Lo studio delle radici deve avere un ruolo catartico,
non si deve rimanere schiavi del passato”. Quanto
all’attualità, alle polemiche sul Concordato
e dintorni, Scoppola sembra avere una parola saggia
da consegnare ai politici: “E’ importante
rafforzare il rapporto tra laici e cattolici, che, invece
di fermarsi alle piccole polemiche quotidiane, dovrebbero
riscoprire le loro solide radici comuni”. E’
quella che Scoppola chiama la “laicità
all’italiana”, che è riconosciuta
anche dalle sentenze della Corte Costituzionale e dalla
giurisprudenza e che, a differenza della laïcité
alla francese, riconosce l’esperienza religiosa
come una ricchezza anche per i laici.
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