Il fenomeno
della rivolta delle periferie francesi ha aperto numerosi
dibattiti sulle condizioni delle aree periferiche delle
grandi città. Invitati dalla Società Geografica
Italiana alcuni esperti e studiosi hanno dato vita a
un incontro dal titolo “Roma come Parigi: periferie
a rischio?” per discutere eventuali analogie tra
le due capitali, tra le banlieues e le borgate, e per
dare risposta ad alcune preoccupazioni sul futuro sollevate
dai recenti fatti parigini.
Partendo dalla conclusione del dibattito, la risposta
alla domanda “Roma come Parigi?” è
stata unanime: non si può paragonare la situazione
francese a quella romana, il rischio di una rivolta
nelle periferie della Capitale da parte di immigrati
residenti è pressoché inesistente.
Come ha spiegato Luigi Frudà, docente di Metodologie
e tecniche della ricerca sociale all’Università
La Sapienza, “la questione si può racchiudere
tutta nel binomio esclusione-identità, ovvero
il fenomeno sociale dell’out-sider contrapposto
a quello dell’in-sider. La Francia ha avuto un
passato colonialista; la sua cultura sociale si è
formata grazie alle continue interazioni con altri popoli,
questo in Italia non è mai avvenuto. Nel nostro
Paese il fenomeno immigratorio è recente. In
Francia c’è stato il tempo di far maturare
nella popolazione di origine centro africana e maghrebina
una massa critica, una coscienza di massa tale da innescare
una rivolta sociale”.
Ha continuato il discorso il geografo e ricercatore
a Parigi, Angelo Battaglia, parlando a proposito di
Saint Denis, una delle zone di Parigi dove sono avvenuti
gli scontri peggiori: “la periferia di Saint Denis
è composta per la stragrande maggioranza da centro
africani e in misura minore da maghrebini. I problemi
che hanno scatenato la rivolta dei cittadini di Saint
Denis sono molteplici, bisogna partire dall’analisi
storica e sociologica del luogo; la periferia ha subito
continue trasformazioni sociali nel corso dei secoli,
ha ospitato prima cittadini spagnoli, poi portoghesi
e infine maghrebini e centro africani che sono andati
ad abitare le cosiddette zuus, zone di urbanizzazione
sensibile. Tutte queste diverse culture hanno lasciato
segni profondi nel tessuto urbano”.
Battaglia ha continuato affermando che le periferie
francesi sono aree dinamiche, in continua evoluzione:
“nella Capitale abbiamo il 70% o l’80% di
romani che vivono nelle periferie e a Parigi la situazione
è capovolta, i francesi hanno un’altissima
percentuale di immigrati che vivono da decenni nelle
periferie e fanno ormai parte del tessuto urbano, seppur
in maniera distaccata rispetto al centro metropolitano”.
La situazione riguardante Saint Denis è stata
approfondita da Giuseppe Bettoni, ricercatore a Parigi
e studioso del fenomeno delle periferie, “la gente
qui vive in dei casermoni informi, è segregata,
tagliata fuori dal ritmo del centro città, i
residenti vivono in una situazione di degrado. Parlerei
del fenomeno in termini di “secessione sociale”
subita negli anni dai cittadini di periferia. Il termine
sta ad indicare il fatto che la gente vive in spazi
ristretti ed è completamente separata dal centro
città”. Bettoni ha concluso il suo intervento
esprimendosi sulle nostre periferie: “non credo
ci sia il rischio di rivolte in Italia o a Roma. In
Francia i tumulti sono stati generati da immigrati africani
che ammontano a 5 milioni di individui, da noi la questione
è completamente diversa”.
Arginato il problema su possibili rivolte da parte
di immigrati residenti a Roma, gli studiosi presenti
sono passati all’analisi della questione del degrado
e dell’immigrazione in zone periferiche della
Capitale, quali Tor Bella Monaca o quartieri multi etnici
come l’Esquilino. Ne è venuto fuori che,
nelle nostre aree sensibili, il rischio numero uno è
accentuare con il passare degli anni lo scollamento
già profondamente esistente tra il centro di
Roma e il resto del territorio comunale mentre il rischio
numero due è di tralasciare i problemi di degrado
sociale nelle varie zone di periferia portando i residenti
verso una lenta ma costante esasperazione.
A tale proposito si è espresso Armando Morgia,
presidente della Commissione Scuola Culture Politiche
Giovanili del Municipio delle Torri di Tor Bella Monaca.
“La rivolta delle periferie francesi non ha avuto
un’origine religiosa, né politica, a meno
che non si pensi al tema dell’urbanistica dove
entra il fattore politico, oppure al fatto che tutti
gli africani residenti nelle periferie di Parigi hanno
ottenuto la cittadinanza francese, ma sono cittadini
solo a metà, non vivono certo come il resto dei
parigini bianchi. Il fattore scatenante la rivolta è
stato il degrado sociale. Alcune nostre periferie possono
essere assimilate a quelle francesi sotto questo aspetto,
parlando ad esempio di abusivismo, povertà e
delinquenza. Nella periferia di Tor Bella Monaca il
livello di vivibilità è più alto
rispetto ad altri quartieri periferici di Roma –
continua Morgia - le condizioni sociali ed economiche
sono tutto sommato accettabili, abbiamo un teatro, un’Università,
supermercati e negozi, ma ci sono anche degrado, illegalità
e disoccupazione. Allora il modello in crisi non è
solo quello francese, dal punto di vista sociale e economico
tutte le periferie sono simili e sono a rischio. La
frase pronunciata da Prodi non è poi tanto assurda”.
“Potrebbero esasperarsi anche i residenti delle
nostre periferie – conclude Morgia – poco
importa che si tratti di maghrebini o romani, la nostra
città ospita molti meno immigrati rispetto a
Parigi, non abbiamo seconde e terze generazioni di africani
e Roma non ha ghetti urbani, ma ogni quartiere è
un universo a sé con problemi diversi da caso
a caso e i disagi non sono da poco”.
Il giornalista radiofonico Giorgio Zanchini, mediatore
del convegno, ha posto la seguente domanda: “A
Roma l’86% della popolazione vive fuori dell’anello
ferroviario, in zone periferiche, che tipo di realtà
si vive in queste aree?
Eraldo Affinati, scrittore e insegnante di storia ed
italiano nella periferia romana, ha tentato di dare
una risposta partendo dalla sua esperienza personale:
“Insegno ai cosiddetti ‘minori non accompagnati’
ovvero ragazzi slavi, maghrebini, albanesi, che non
hanno genitori in grado di accompagnarli a scuola. Questi
ragazzi arrivano dalle periferie alla Stazione Termini,
qui sono prelevati dalla Caritas e portati nel nostro
Istituto della Città dei Ragazzi, dove tentiamo
di dar loro un’educazione. Di cosa hanno bisogno
questi giovani? Hanno bisogno di figure stabili che
li guidino verso l’età adulta e hanno bisogno
di imparare l’italiano per poter trovare un lavoro.
Sicuramente la vita per loro è complicata, è
difficile, eppure hanno una grande voglia di imparare
e integrarsi nel tessuto sociale”.
Affinati è nato nel quartiere Esquilino e ha
visto il quartiere trasformarsi sotto i suoi occhi.
“Come è noto il quartiere è da anni
abitato da asiatici, in particolare da cinesi. Problemi
ce ne sono, ma almeno in questo caso si è creata
una sorta di integrazione tra culture differenti. Una
zona di Roma al centro di vere polemiche è l’Aventino
38, dove anni fa sono stati costruiti dei ponti sopraelevati
(oggi abbandonati) che sono diventati la “casa”
di tanti immigrati e romani. Il Comune ora vorrebbe
abbattere i ponti e offrire una casa alle persone che
finora vi hanno abitato, ma i senza tetto che non vivono
sotto i ponti che non verranno abbattuti si sono giustamente
risentiti e hanno preteso una casa anche per loro. Ne
è nato un putiferio, per assurdo si è
creata una guerra tra poveri”.
Lorenzo Pavolini, caporedattore della rivista “Nuovi
Argomenti”, ha evidenziato un altro aspetto riguardante
le periferie romane dove gli ultimi dati dimostrano
che il 12% di residenti in periferia sono disoccupati,
mentre nelle banlieues parigine la percentuale sale
al 40%.
“La precarietà lavorativa associata al
disagio sociale crea la rivoluzione ovunque, prima o
poi. E’ tutta una questione di esasperazione.
Quando si dibatte sulle periferie romane si etichetta
di solito il quartiere Esquilino come “il salotto
buono dell’integrazione culturale”. L’Esquilino
ha supermercati, mercati, cinema, scuole, negozi, ma
certamente le tensioni sociali non mancano, perché
è il quartiere romano con il più alto
tasso di immigrati cinesi che da anni si sono più
o meno integrati nel tessuto sociale. La Capitale è
un centro fondamentale per l’import-export di
merce cinese che dalla città si dipana in tutta
l’Europa”.
Lorenzo Tavolini ha collaborato alla fondazione di
un’associazione culturale nel quartiere Esquilino
denominata Apollo. Ne fanno parte italiani e stranieri
del quartiere che sentono l’esigenza di ritrovarsi
e svolgere attività culturali comuni, come vedere
film, leggere libri, discutere di temi sociali, etc.
“In questo modo – spiega Tavolini –
si è creata una comunanza di quartiere che è
rara in altre aree periferiche romane e che invece dovrebbe
essere incentivata e sviluppata”.
Diana Alessandrini, autrice del libro Roma, il
futuro è un cantiere risponde alla domanda
posta da Giorgio Zanchini: “A cosa sta andando
incontro Roma dal un punto di vista urbanistico?”
“Roma – risponde l’Alessandrini –
è una città fortemente policentrica, ha
40 km di diametro comunale, questo significa che la
popolazione è sparpagliata in un territorio molto
vasto, che va ben oltre le mura Aureliane. Questo crea
uno scollamento tra quello che è il centro di
Roma vero e proprio e tutto il resto della città
che tende ad agglomerarsi in aree sempre più
vaste e a se stanti, è come se Roma fosse una
città con diverse frazioni al proprio interno,
ognuna con i propri problemi legati all’urbanistica,
all’abbandono edilizio, all’abusivismo,
alla delinquenza, etc. Potenzialmente questa è
una situazione che può creare esasperazione –
avverte la Alessandrini – se non si porrà
freno al degrado sociale dei quartieri periferici della
Capitale, in un futuro potremo anche assistere a delle
forme di ribellione da parte dei cittadini residenti”.
In conclusione, appurato che Roma non ha una concentrazione
di cittadini immigrati integrati nel territorio come
accade in Francia e che quindi una rivolta sul modello
parigino è da escludersi ancora per molto tempo,
si può dire che il rischio nelle periferie romane
è quello di sempre, i problemi da fronteggiare
sono il degrado, l’abusivismo, la micro-criminalità,
bisognerebbe iniziare a risolvere questo tipo di problemi,
mentre si aspetta che i tempi siano maturi per risolvere
quelli che verranno.
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