289 - 25.11.05


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Muore il laicismo
e inizia la laicità

Corrado Ocone


Il laicismo, così come lo si concepiva nell’Ottocento, è finito. Al capolinea è giunto quel laicismo che ha permaeato la classe dirigente del nostro Risorgimento e che ha permesso la costruzione di uno Stato unitario con capitale a Roma, la città del Papa re. Quel laicismo che, in Francia, ha segnato con rigida chiarezza i confini della Repubblica, culminando nella legge del 1905 che ancora sorregge i rapporti fra Stato e Chiesa.

Attenzione però. Se abbiamo acume e sappiamo vedere le cose nella giusta prospettiva e con la debita distanza, ci renderemo presto conto che il laicismo è morto e va ripensato e riscritto non certo per l’affermazione della corrente teo-conservatrice, che, seppure agguerrita, è, a giudizio di chi scrive, nulla più che una delle tante “onde anomale” che travolgono per un po’ la calma compostezza del mare aperto della postmodernità e sono poi destinate a presto scomparire risucchiate nel nulla. Il laicismo è morto, invece, per motivi più sostanziali e di lunga durata. Per l’emergere, in questi anni, di due eventi dirompenti che contrassegneranno sempre più le nostre vite e le cambieranno radicalmente: da una parte la globalizzazione, che non è solo un fatto economico ma più a fondo un processo che porta a diretto contatto razze, etnie, culture e soprattutto religioni diverse; dall’altra i progressi della biologia, che sono alla base di interventi di ingegneria genetica sempre più invasivi e sempre più capaci di mettere in discussione gli elementi di base della vita, compresi i principi dell’individualità e dell’identità personale.

Queste due insorgenze mostrano a loro volta, nello stesso tempo ma non contraddittoriamente, da un lato l’insufficienza del vecchio laicismo, dall’altro l’impellente necessità del principio laico nel mondo che si delinea all’orizzonte. Solo con una forte consapevolezza laica, sia a livello di governance sia a livello di opinione pubblica, sarà possibile, infatti, affrontare le nuove emergenze, le trasformazioni epocali che già stiamo vivendo.

E’ chiaro perciò che, proprio perché tutto è cambiato, in primo luogo il sistema concettuale e pratico di riferimento del nostro essere nel mondo, se si prendono sic et sempliciter le vecchie declinazioni del laicismo, senza adattarle al nuovo, si tradisce il principio laico. Per chi rimane fermo a quelle categorie, il principio laico si converte in altra cosa, nell’altro da sé. La sfida che ci attende è invece quella di conservare il vecchio spirito del laicismo, ma adattandolo al nuovo. Bisogna combattere e mettere in luce i limiti dei concetti e delle parole del vecchio laicismo, ma proprio per essere veramente e integralmente laici.

E’ in quest’ordine di ragionamenti che si situa, a mio avviso, la distinzione fra laicità e laicismo. E’ una distinzione recente (fino a non molto tempo fa i due termini venivano usati essenzialmente come sinonimi), sollecitata soprattutto (ma non esclusivamente) da ambienti culturali cattolici. E’ una distinzione che però va accettata, in quanto è giusta ed ha un indubbio valore euristico. Ad una condizione, però: che, al contrario di quanto accade normalmente, sia esplicitata in modo concettualmente preciso e determinato. E’ vero, come scrive Pietro Scoppola nel suo contributo al recentissimo volume Le ragioni dei laici (Laterza, a cura di Geminello Preterossi), che, generalmente, “si tende a distinguere fra laicismo che implica un rifiuto della prospettiva religiosa e laicità che implica invece distinzione e autonomia reciproca ma non ostilità”. Ma è pur vero che, per giungere a una distinzione migliore e più teoreticamente pregnante, occorre far riferimento al fatto che la laicità, come ha sottolineato in più occasioni Valerio Zanone, è un metodo e non un sistema di pensiero, una procedura e un’ arte (della separazione) e non un’ideologia. Nel momento in cui la laicità si fa ideologia e si distingue per un’opposizione sistematica a ogni influsso della religione sugli uomini, nel momento in cui ad esempio diventa irreligione o ateismo di Stato, la laicità diventa per ciò stesso laicismo. E il laicismo è l’opposto speculare del teismo: l’uno richiama l’altro.

La vera e integrale laicità spariglia invece le carte, sceglie un altro tavolo da gioco, si pone in un altro ordine di azione. In quanto metodo essa è di per sé fluida: non può, pena contraddirsi, essere ipostatizzata e solidificarsi. La laicità è una sensibilità, una misura, un continuo calibrare fra sfere di appartenenza diverse. E’ soprattutto consapevolezza estrema del fatto che, se si vuole veramente rispettare l’altro, se lo si ritiene veramente portatore di un’autonoma dignità (ed è questo un insegnamento cristiano), bisogna, nello spazio pubblico, fermarsi alle verità penultime e non accedere alle ultime. Detto altrimenti: occorre separare nettamente l’etica dalla politica, le convinzioni assolute da quelle pratiche.

E’ relativismo tutto questo? Sì e no. Sì, se si considerano le cose dal punto di vista dei “fondamenti” e delle più profonde convinzioni di ognuno. No, se le si considerano dal punto di vista pratico. Si può dire, infatti, che la “superiorità” del modo di pensare laico, proprio perché si tratta di un metodo e non di un’ideologia, non è teorica ma politica: consiste nel fatto, puro e semplice, che, grazie ad esso, gli uomini non si scannano. E la politica ha un senso solo e esclusivamente come protezione della vita: in ciò consiste il suo scopo e la sua ragion d’essere.

A suo modo l’etica laica è assoluta, intransigente. E’ tollerante con tutti, ma non chi vuole mettere a repentaglio questa estrema tolleranza. Con costoro è inflessibile. L’Occidente, come concetto ideale più che storico e geopolitico, è la patria d’elezione del principio laico. Si può perciò anche ammettere con tranquillità che esso sia “superiore” al suo contrario. Ma lo è solo nella misura in cui la nostra civiltà, contrariamente alle altre, non ha un’identità fissa, forte, definitiva. Essa ha una caratteristica, che è un unicum nella storia: accetta e integra gli altri, non le si oppone. Preservare con cura questa natura “meticcia” dell’Occidente è l’impegno quotidiano dell’uomo laico.

 

 

 

 

 

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