289 - 25.11.05


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Le fiamme della miseria



Ogni tanto la realtà fa irruzione nel mondo della rappresentazione politica e ne squarcia gli ipocriti rituali, le farse elettoralistiche. In Francia successe lo scorso maggio con il referendum sulla Costituzione europea, e da qualche giorno tutte le notti, fragorosamente.

Le pietre della banlieue, le bottiglie incendiarie, sono rivolte a chi non intende, non sente, non vede. A chi aveva rivolto lo sguardo altrove, a chi permaneva intento nell’autoreferenzialità della politica, nella perenne contesa elettorale. A chi la realtà non la conosceva perché ne conosceva la rappresentazione.

Quei lanci intendono colpire un’intera classe dirigente che in trent’anni ha fatto accumulare i danni collaterali in luoghi deputati: le banlieues, letteralmente “luoghi del bando”, ghetti. Disoccupazione, emarginazione, esclusione, discriminazione sociale e razziale, mancanza di futuro e di senso, disperazione, rabbia. Una poltiglia irrazionale piano piano si è cumulata lontano dallo sguardo e ora dalla zona dov’era stata rimossa torna per mettere in crisi la rappresentazione che l’aveva espunta.

Ora ci si stupisce, si ostentano le maniere forti, si proclama lo stato d’emergenza. Ma puzza d’ipocrisia l’invocazione alla ragionevolezza laddove l’irragionevole è la quotidianità. E puzza di sfida pericolosa presentarsi in quei posti con linguaggio da teppisti.

Del resto lo disse bene François Mitterrand nel 1990, lui che veniva dalla campagna da sogno della Charente: “Che cosa può sperare un giovane essere che nasce in un quartiere senza anima, che vive in un immobile laido, circondato da altre lordure, di muri grigi su un paesaggio grigio per una vita grigia, con tutt’intorno una società che preferisce voltare lo sguardo e che non interviene se non per interdire?”. Niente di niente. E, infatti, quei fuochi nelle notti francesi non sono rinnovatori. Quei fuochi non auspicano niente.

Questi giovani in rivolta non hanno memoria né sogni. Non più africani e non ancora francesi, che non ricordano d’essere maghrebini e sanno di non essere francesi seppure il loro documento lo assicuri, non hanno lingua per chiedere alcunché.

Negli ultimi anni, in Francia, sono state soppresse tutte le politiche volte alla ricostruzione di un tessuto sociale più integrato e civile. Polizia di prossimità, interventi scolastici, mediazione sociale, contratti giovani, finanziamento alle associazioni sul terreno. Tutto quello che era stato investito con l’intento di far crescere una società sana che nelle banlieues, comunque, continua a resistere, tutto o quasi è scomparso dal budget finanziario dello Stato.

Scriveva Jacques Chirac nel suo libro-manifesto per le presidenziali del 1995, quando iniziò la sua carriera di monarca repubblicano grazie alla solenne promessa di risanare “la frattura sociale” che rischiava di compromettere il contratto sociale: “Nelle banlieues diseredate regna un terrore indolente. Quando troppi giovani non vedono che disoccupazione o piccoli stage alla fine di studi incerti, finiscono per rivoltarsi. Per ora lo Stato si sforza di mantenere l’ordine e il trattamento sociale di disoccupazione evita il peggio. Ma fino a quando?”.
Fino ad oggi.
(l.s.)

 

 

 


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