Ogni tanto
la realtà fa irruzione nel mondo della rappresentazione
politica e ne squarcia gli ipocriti rituali, le farse
elettoralistiche. In Francia successe lo scorso maggio
con il referendum sulla Costituzione europea, e da qualche
giorno tutte le notti, fragorosamente.
Le pietre della banlieue, le bottiglie incendiarie,
sono rivolte a chi non intende, non sente, non vede.
A chi aveva rivolto lo sguardo altrove, a chi permaneva
intento nell’autoreferenzialità della politica,
nella perenne contesa elettorale. A chi la realtà
non la conosceva perché ne conosceva la rappresentazione.
Quei lanci intendono colpire un’intera classe
dirigente che in trent’anni ha fatto accumulare
i danni collaterali in luoghi deputati: le banlieues,
letteralmente “luoghi del bando”, ghetti.
Disoccupazione, emarginazione, esclusione, discriminazione
sociale e razziale, mancanza di futuro e di senso, disperazione,
rabbia. Una poltiglia irrazionale piano piano si è
cumulata lontano dallo sguardo e ora dalla zona dov’era
stata rimossa torna per mettere in crisi la rappresentazione
che l’aveva espunta.
Ora ci si stupisce, si ostentano le maniere forti,
si proclama lo stato d’emergenza. Ma puzza d’ipocrisia
l’invocazione alla ragionevolezza laddove l’irragionevole
è la quotidianità. E puzza di sfida pericolosa
presentarsi in quei posti con linguaggio da teppisti.
Del resto lo disse bene François Mitterrand
nel 1990, lui che veniva dalla campagna da sogno della
Charente: “Che cosa può sperare un giovane
essere che nasce in un quartiere senza anima, che vive
in un immobile laido, circondato da altre lordure, di
muri grigi su un paesaggio grigio per una vita grigia,
con tutt’intorno una società che preferisce
voltare lo sguardo e che non interviene se non per interdire?”.
Niente di niente. E, infatti, quei fuochi nelle notti
francesi non sono rinnovatori. Quei fuochi non auspicano
niente.
Questi giovani in rivolta non hanno memoria né
sogni. Non più africani e non ancora francesi,
che non ricordano d’essere maghrebini e sanno
di non essere francesi seppure il loro documento lo
assicuri, non hanno lingua per chiedere alcunché.
Negli ultimi anni, in Francia, sono state soppresse
tutte le politiche volte alla ricostruzione di un tessuto
sociale più integrato e civile. Polizia di prossimità,
interventi scolastici, mediazione sociale, contratti
giovani, finanziamento alle associazioni sul terreno.
Tutto quello che era stato investito con l’intento
di far crescere una società sana che nelle banlieues,
comunque, continua a resistere, tutto o quasi è
scomparso dal budget finanziario dello Stato.
Scriveva Jacques Chirac nel suo libro-manifesto per
le presidenziali del 1995, quando iniziò la sua
carriera di monarca repubblicano grazie alla solenne
promessa di risanare “la frattura sociale”
che rischiava di compromettere il contratto sociale:
“Nelle banlieues diseredate regna un terrore indolente.
Quando troppi giovani non vedono che disoccupazione
o piccoli stage alla fine di studi incerti, finiscono
per rivoltarsi. Per ora lo Stato si sforza di mantenere
l’ordine e il trattamento sociale di disoccupazione
evita il peggio. Ma fino a quando?”.
Fino ad oggi.
(l.s.)
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