288 - 13.11.05


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Quale spazio
per la laicità?

Riccardo Venturi


Quando morì Giovanni Paolo II, per giorni e notti intere i mezzi di informazione del nostro Paese, in lutto nazionale, sono stati monopolizzati dalla scomparsa di papa Wojtyla, mentre in Francia ci si è limitati a esporre sugli edifici pubblici la bandiera nazionale a mezz’asta. Una scelta di governo che fu tuttavia criticata, contravvenendo al principio di laicità che fonda la Repubblica. Infatti l’art. 2 della legge 1905 dichiara che lo Stato non sovvenziona alcun culto e non riconosce un’utilità pubblica alla religione, relegata alla sfera privata. Come diceva Victor Hugo all’Assemblea Nazionale nel 1850, “L’Etat chez lui et l’Eglise chez elle”. In Francia la laicità e la libertà di coscienza sono vissuti del resto come diritti naturali, per quanto le leggi che la regolano finiscano per riaffermare simbolicamente la potenza dello Stato. Infatti, come ha giustamente ricordato Yves Charles Zarka, le religioni non sono spontaneamente compatibili con i principi di laicità: portatrici di una Verità assoluta e universalizzabile, ognuna di loro non si lasca ridurre alla sfera esclusivamente spirituale, ma mira a organizzare il complesso dell’esistenza sociale degli individui.

Come conciliare dunque la pratica di una religione con la neutralità dello Stato? Nel 2003 la Commissione Bernard Stasi, “prodotto di un’alchimia tra una storia, una filosofia politica e un’etica personale”, ha ribadito la laicità come garante delle libertà individuali e dell’unità nazionale. Per questa sua doppia funzione, la difesa della libertà di coscienza dei suoi cittadini si accompagna alla richiesta di rispettare la neutralità dello spazio pubblico. E’ sulla natura di quest’ultimo che si è aperto recentemente un interessante dibattito tra Alain Touraine e Alain Renaut (Un débat sur la laïcité, Stock, 2005).

Lo spazio pubblico deve farsi carico dei bisogni di affermazione identitaria e delle differenze degli individui? oppure la comunità civica va pensata al di là delle appartenenze comunitarie? Esiste un riconoscimento delle identità collettive compatibile con il principio della laicità e più in generale con la democrazia? Una interpretazione rigorosa della legge 1905 fa del dominio pubblico lo spazio esclusivo della cittadinanza, impermeabile a qualsiasi distinzione e marca di appartenenza politico-religiosa, confinate nel privato. Una visione più liberale vorrebbe invece incentivare i rapporti intrattenuti dallo Stato con le diverse collettività. Le affermazioni d’identità del singolo cittadino all’interno dello spazio pubblico non sono stigmatizzate ma, come accade negli Stati Uniti, riconosciute in quanto diritto fondamentale della persona.

Gli autori assumono al riguardo posizioni diverse. Alain Touraine, membro della Commissione Stasi, difende i valori della nazione civica: nello spazio autonomo della cittadinanza, si fa pubblicamente astrazione dalle differenze specifiche. Al contempo resta necessario garantire, a ciascun individuo e non a comunità precostituite, non solo i diritti politici ma anche quelli sociali e quelli culturali. Al contrario Alain Renaut, in modo più incisivo, non lesina le critiche al sistema francese, in cui l’eterogeneo spazio privato è del tutto isolato da uno spazio che “funziona attraverso la rinuncia pubblica degli individui alla loro identità”. La laicità rischia così di privatizzare l’identità, dimostrando, in ultima analisi, la sua incapacità ad aprirsi e a riconoscere la diversità culturale dell’altro. Come se questa diversità, affinché sia garantita la neutralità delle istituzioni, dovesse essere neutralizzata. Una studentessa musulmana intervistata da Le Monde, in seguito alla legge sul velo, non poteva essere più incisiva: “E’ l’insegnamento che deve essere laico, non gli studenti”.

Entrambi gli autori, alla ricerca dei fondamenti dell’ordine sociale e del vivere collettivo, evitano di cadere in una rigida contrapposizione tra cittadinanza e comunità, sfera politica e sfera sociale. O meglio tra approccio repubblicano da una parte – quello della laicità alla francese – che elide le differenze all’interno di un uniforme spazio pubblico, affinché l’altro sia uguale a noi, e approccio liberale dall’altra parte, il quale, fedele all’ideale di tolleranza, prende invece in conto la differenza dell’altro. Da evitare, infine, le rispettive derive: quella laicista, che fa della laicità un attributo dello Stato-nazione, come la sovranità, e quella comunitarista, che fa dello Stato multiculturale una macchina resa ingovernabile dalle rivendicazioni particolaristiche di riconoscimento e protezione che le diverse comunità esercitano.


 

 

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