Quando morì
Giovanni Paolo II, per giorni e notti intere i mezzi
di informazione del nostro Paese, in lutto nazionale,
sono stati monopolizzati dalla scomparsa di papa Wojtyla,
mentre in Francia ci si è limitati a esporre
sugli edifici pubblici la bandiera nazionale a mezz’asta.
Una scelta di governo che fu tuttavia criticata, contravvenendo
al principio di laicità che fonda la Repubblica.
Infatti l’art. 2 della legge 1905 dichiara che
lo Stato non sovvenziona alcun culto e non riconosce
un’utilità pubblica alla religione, relegata
alla sfera privata. Come diceva Victor Hugo all’Assemblea
Nazionale nel 1850, “L’Etat chez lui et
l’Eglise chez elle”. In Francia la laicità
e la libertà di coscienza sono vissuti del resto
come diritti naturali, per quanto le leggi che la regolano
finiscano per riaffermare simbolicamente la potenza
dello Stato. Infatti, come ha giustamente ricordato
Yves Charles Zarka, le religioni non sono spontaneamente
compatibili con i principi di laicità: portatrici
di una Verità assoluta e universalizzabile, ognuna
di loro non si lasca ridurre alla sfera esclusivamente
spirituale, ma mira a organizzare il complesso dell’esistenza
sociale degli individui.
Come conciliare dunque la pratica di una religione
con la neutralità dello Stato? Nel 2003 la Commissione
Bernard Stasi, “prodotto di un’alchimia
tra una storia, una filosofia politica e un’etica
personale”, ha ribadito la laicità come
garante delle libertà individuali e dell’unità
nazionale. Per questa sua doppia funzione, la difesa
della libertà di coscienza dei suoi cittadini
si accompagna alla richiesta di rispettare la neutralità
dello spazio pubblico. E’ sulla natura di quest’ultimo
che si è aperto recentemente un interessante
dibattito tra Alain Touraine e Alain Renaut (Un
débat sur la laïcité, Stock, 2005).
Lo spazio pubblico deve farsi carico dei bisogni di
affermazione identitaria e delle differenze degli individui?
oppure la comunità civica va pensata al di là
delle appartenenze comunitarie? Esiste un riconoscimento
delle identità collettive compatibile con il
principio della laicità e più in generale
con la democrazia? Una interpretazione rigorosa della
legge 1905 fa del dominio pubblico lo spazio esclusivo
della cittadinanza, impermeabile a qualsiasi distinzione
e marca di appartenenza politico-religiosa, confinate
nel privato. Una visione più liberale vorrebbe
invece incentivare i rapporti intrattenuti dallo Stato
con le diverse collettività. Le affermazioni
d’identità del singolo cittadino all’interno
dello spazio pubblico non sono stigmatizzate ma, come
accade negli Stati Uniti, riconosciute in quanto diritto
fondamentale della persona.
Gli autori assumono al riguardo posizioni diverse.
Alain Touraine, membro della Commissione Stasi, difende
i valori della nazione civica: nello spazio autonomo
della cittadinanza, si fa pubblicamente astrazione dalle
differenze specifiche. Al contempo resta necessario
garantire, a ciascun individuo e non a comunità
precostituite, non solo i diritti politici ma anche
quelli sociali e quelli culturali. Al contrario Alain
Renaut, in modo più incisivo, non lesina le critiche
al sistema francese, in cui l’eterogeneo spazio
privato è del tutto isolato da uno spazio che
“funziona attraverso la rinuncia pubblica degli
individui alla loro identità”. La laicità
rischia così di privatizzare l’identità,
dimostrando, in ultima analisi, la sua incapacità
ad aprirsi e a riconoscere la diversità culturale
dell’altro. Come se questa diversità, affinché
sia garantita la neutralità delle istituzioni,
dovesse essere neutralizzata. Una studentessa musulmana
intervistata da Le Monde, in seguito alla legge
sul velo, non poteva essere più incisiva: “E’
l’insegnamento che deve essere laico, non gli
studenti”.
Entrambi gli autori, alla ricerca dei fondamenti dell’ordine
sociale e del vivere collettivo, evitano di cadere in
una rigida contrapposizione tra cittadinanza e comunità,
sfera politica e sfera sociale. O meglio tra approccio
repubblicano da una parte – quello della laicità
alla francese – che elide le differenze all’interno
di un uniforme spazio pubblico, affinché l’altro
sia uguale a noi, e approccio liberale dall’altra
parte, il quale, fedele all’ideale di tolleranza,
prende invece in conto la differenza dell’altro.
Da evitare, infine, le rispettive derive: quella laicista,
che fa della laicità un attributo dello Stato-nazione,
come la sovranità, e quella comunitarista, che
fa dello Stato multiculturale una macchina resa ingovernabile
dalle rivendicazioni particolaristiche di riconoscimento
e protezione che le diverse comunità esercitano.
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