288 - 13.11.05


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Mai come oggi la
fede ha tante voci

Klaus Eder con
Mauro Buonocore


Il secolarismo è finito, finito il tempo in cui politica e religione rimangono separate sul palcoscenico della sfera pubblica. Sono i nostri, piuttosto, i tempi di una nuova impennata religiosa che si affaccia e si impone alla discussione pubblica. E di più, il cambiamento ci fa parlare non più del semplice rapporto tra politica e religione, ma di religioni, al plurale, che guadagnano spazio nell’arena pubblica. Così Klaus Eder, sociologo tedesco della HumBoldt-Universitat, descrive i nostri tempi e battezza la società in cui viviamo con il nome di post-secolare.

Prof. Eder, che cosa è la società post-secolare?

È una società che ha fatto l’esperienza del secolarismo e ne ha imparato qualcosa. Mentre allora lo spazio pubblico era diviso tra una parte politica e una parte religiosa che dovevano rimanere separate, la società post-secolare, invece, vede le conseguenze del secolarismo e ne trae la conclusione che lo spazio pubblico non dà voce solo alla religione dominante di una data realtà, ma consente l’espressione di tante voci per tante religioni. Oggi tutti coloro che manifestano e propongono un’idea di assoluto, di mistica interpretazione della vita e dell’esistenza, hanno la possibilità di esprimersi nello spazio pubblico, di far sentire la propria voce e di far entrare la propria fede attivamente nel dibattito pubblico. Così abbiamo tante religioni che offrono tante risposte diverse alle domande della nostra vita.

Dunque, secondo lei, l’incremento di religiosità nella sfera pubblica non sta nel fatto che la religione acquista maggiori rilevanza e importanza e rilevanza nei suoi rapporti con la politica, ma ha più voci diverse tra loro.

Esisteva già una religione che entrava nel discorso, la religione tradizionale istituzionalizzata e con legami particolari con lo Stato sanciti da concordati e leggi; il resto, invece, gli altri credo, erano spariti nella vita privata. Ora emergono da quella dimensione privata e individuale.
Un’altra cosa che mi colpisce molto, poi, è che molti cambiano atteggiamento religioso nel corso della loro vita; in un certo senso si è persa la stabilità della religione di fronte alla vita. Nelle generazioni più giovani, soprattutto, la convinzione religiosa è diventata sempre più difficile, volubile, dipende molto dalle proprie esperienze personali.

Nel seminario organizzato da Reset e Dissent sui confini tra religione e politica, lei ha parlato dell’importante ruolo dei media in questa nuova impennata religiosa. Crede che esista, da parte delle religioni, un uso strategico dei media per imporsi sulla scena pubblica?

Da entrambe le parti esiste un uso strategico, da parte dei media che utilizzano argomenti religiosi per attrarre spettatori, e da parte di rappresentanti religiosi che utilizzano i media per far sentire di più la propria voce e garantirsi uno spazio sulla scena pubblica. È interessante notare l’atteggiamento della Chiesa cattolica che, a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II, ha posto grande attenzione nella costruzione delle proprie strategie mediatiche. Ma, sull’esempio del Vaticano, anche le altre religioni hanno dedicato parecchie energie ai media, seguendo la strada di Papa Wojtyla. Quindi credo che possiamo parlare di una competizione sullo spazio pubblico. Da una parte i media hanno un po’ forzato l’ingresso di una pluralità di religioni nell’arena pubblica, ma allo stesso tempo è vero che se abbiamo una competizione vuol dire che ci sono più soggetti che si sentono sullo stesso piano, capaci di agire e apparire sulla scena pubblica. Questo è il fatto nuovo. Questo è post-secolarismo: maggiore presenza pubblica delle religioni nello spazio pubblico, ma allo stesso tempo tutti partecipano alla competizione per avere il proprio spazio e sopravvivere nella discussione pubblica.

Nella competizione di cui parla sembra aver fatto parte anche il dibattito sulle radici cristiane dell’Europa e la loro esplicita menzione nel preambolo della costituzione europea. Qual è la sua opinione?

Una costituzione che offre una posizione privilegiata a valori esplicitamente legati a una particolare tradizione religiosa non va bene per l’Europa. Che cosa dovrebbero farne tutti i musulmani che vivono in Europa di una costituzione che esclude palesemente la loro confessione dalla tradizione europea? Una costituzione deve essere fatta in modo tale che tutti coloro che si dicono cittadini europei vi si identifichino. Se così non è non ha senso approvarla, tanto più nei nostri giorni: se la scena pubblica si apre a una molteplicità di voci e religioni, come facciamo ad accettare una costituzione che non li rappresenti tutti allo stesso modo?

La Commissione europea ha fissato la data dell’inizio dei negoziati per l’ingresso della Turchia nell’Ue. Cosa dobbiamo aspettarci da questa scelta? La Turchia sarà una porta di dialogo dell’Unione verso realtà islamiche, oppure dobbiamo temere che il contatto così ravvicinato il mondo musulmano possa essere fonte di conflitti?

La Turchia ha compiuto un percorso molto simile a paesi come Germania e Francia, ha attraversato la sua fase secolare e adesso deve trovare il proprio modo di affrontare la realtà post-secolare. Il premier turco Erdogan, quindi, si trova nella condizione di dover controllare i movimenti religiosi e allo stesso tempo contenere il sistema istituzionale e secolare. Un altro aspetto interessante della Turchia è che al suo interno convivono e hanno spazio tante realtà diverse dell’Islam, ecco, in questo senso la Turchia fa parte dell’Europa. il suo ingresso nell’Unione è ostacolato da molti problemi, è vero, ma dal punto di vista culturale si tratta di una sfida di cui l’Ue deve assolutamente farsi carico, perché da questa può solo imparare.

 

 

 

 

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