288 - 13.11.05


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“Così mi hanno
rubato la giovinezza”

Stefan Lauter con
Christian Del Monte


Stefan Lauter oggi ha trentotto anni, lavora per lo Stasi-Museum di Berlino, e contribuisce a fare in modo che la gente non dimentichi i crimini contro l'umanità di cui si rese responsabile il regime comunista tedesco. In occasione dei festeggiamenti per il quindicennale della riunificazione della Germania, lo abbiamo incontrato per sentire dalla sua voce il racconto della sua giovinezza vissuta nella Repubblica Democratica Tedesca (Rdt) e ferita dalle violenze del regime comunista.

Per la Germania Unita lei è un perseguitato politico. Era il 1985 e, all’età di sedici anni, a causa del suo comportamento definito non “conforme”, venne internato in un Jugendwerkhof. Che cosa erano questi istituti agli ochhi di un comune cittadino?

Ufficialmente, nella Rdt per Jugendwerkhof si intendevano dei “campi” (Lager), in cui i cosiddetti ragazzi difficili, ma anche ragazze, erano detenuti senza processo, perché si mostrasse loro che le leggi dello Stato dovevano essere rispettate. Fino al mio internamento, la pensavo anch'io così. Non potevo intuire che si potesse finire lì dentro anche per ben altre ragioni e che la Rdt facesse volentieri uso di queste strutture.

In effetti gli Jugendwerkhof si presentavano sulla carta come centri di recupero giovanile, ma nei fatti si rivelavano essere più simili a strutture carcerarie, in cui si entrava senza alcun processo e da cui si usciva solo maggiorenni...

In generale gli Jugendwerkhof non erano, nel loro impianto complessivo, vere e proprie carceri, come queste comunemente si intendono. Erano in gran parte istituti della Jugendhilfe (l'assistenza sociale per i minori a rischio nella Rdt, ndr), dove venivano messi sotto chiave ragazzi tra i 14 e i 18 anni, che avevano comportamenti non conformi al sistema, come me. Ciò che rendeva queste strutture così uniche erano alcune pratiche che si esercitavano al loro interno.
Innanzitutto, a chi entrava là dentro si ritiravano tutti i documenti compresa la carta d'identità, il corso di studi veniva interrotto, ci si doveva sottoporre al corso di addestramento professionale lì presente.
Il processo educativo o, meglio, rieducativo si proponeva di formare un nuovo tipo di individuo caratterizzato da una “personalità socialista”. Chi vi si opponeva, veniva mandato nello Jugendwerkhof di Torgau, totalmente isolato e organizzato come un vero carcere, anche se diretto da “pedagogisti”. Lì si completava con l'uso della forza il processo rieducativo.
Riguardo all'uso della forza, anche gli Jugendwerkhof “aperti” disponevano di celle carcerarie, dove si poteva essere reclusi anche fino a 12 giorni nel caso si “disturbasse” il processo “educativo”, ossia qualora ci si opponesse o vi si mostrasse “reticenti”, Dato che ciò capitava spesso, si può sicuramente considerare lo Jugendwerkhof come un'istituzione affine a quella carceraria, con la differenza che nessun giudice della Rdt era competente per la disposizione degli internamenti.

La sua odissea negli istituti della Jugendhilfe è iniziata a 16 anni. Cosa avvenne?

Come lei dice, avevo allora 16 anni e mia madre pensò semplicemente, in quel periodo, di non farcela più a educarmi da sola, senza alcun aiuto. Si recò allora alla Jugendhilfe e richiese un “sostegno educativo” (Erziehungsunterstützung). E così finii sotto il controllo di queste “autorità”. Cos'era successo perché si arrivasse a ciò? Ero uscito dalla FDJ (Freie Deutsche Jugend, l'associazione giovanile del Sed, il Sozialistische Einheitspartei Deutschland) ed ero entrato in una libera comunità della chiesa evangelista. A questo proposito, è opportuno sottolineare come tali comunità fossero nel mirino del sistema, in quanto considerate nemici dello Stato, e come la Stasi le controllasse. Al contempo iniziai a impegnarmi nel movimento per la pace della Rdt, che non aveva una garanzia parlamentare e mi vestivo e sentivo come un punk, come chiunque altro a cui piacesse quel genere musicale. Come chiunque a quell'età, reagivo anche con irruenza. Così venni condotto a Freital, in un Jugendwerkhof, per farmi passare ogni fervore giovanile.

Freital, letteralmente valle libera, com'era la vita lì dentro?

Riguardo a Freital non ho molto da raccontare, rimasi lì davvero troppo poco. Da quello che ricordo, il ritmo della giornata veniva condizionato dalla subordinazione al sistema educativo esistente e su tutto pendeva la minaccia “se non collabori, finisci a Torgau!”
Cercarono con la violenza di farmi riscrivere al Fdj, cosa alla quale io naturalmente mi opposi.
La vita di tutti i giorni era paragonabile, per le continue angherie subite, a quella di un centro di rieducazione, dove l'educatore ha totale potere su chi vi è rinchiuso. Io continuavo a oppormi contro tutto questo, organizzai perfino una sorta di resistenza che coinvolgeva gran parte degli internati.

E poi venne trasferito a Torgau.

Sì, l'8 Febbraio 1985 venni condotto con la forza a Torgau.
Lì ciascuno veniva immediatamente posto in una condizione utile a che si acquisisse una totale predisposizione al processo rieducativo. In altre parole, gli si incuteva, fin da subito, una paura terribile (bisogna ricordare che parliamo di ragazzini e ragazzi tra i 14 e i 18 anni). Appena dopo la registrazione, si era condotti in una cella di isolamento di piccole dimensioni, buia e priva di riscaldamento, con una panca di legno su cui di giorno non ci si poteva sedere. Non si poteva uscirne e, per tutto il giorno, non c'era altro da fare che mandare a memoria il proprio “ordine di arresto”, sia che si fosse dislessici sia maturandi in un liceo ginnasio, andava allo stesso modo per tutti. Un ragazzo, per la paura, si impiccò subito.
Dopo, si era inseriti in uno dei gruppi in cui si suddividevano i ragazzi. La quotidianità era condizionata dall'essere perennemente in corsa e dalle continue angherie degli educatori. Una minima mancanza poteva comportare punizioni, come anche un comportamento non conforme. Si era svegliati presto, verso le 05:30, poi seguiva la “ginnastica mattutina”: centinaia di flessioni, piegamenti sulle gambe, il tutto anche tenendo pesi con le mani, e, infine, due chilometri di corsa. Questo ogni giorno. Quindi si rifacevano i letti e le pulizie (Ämtererledigung). Infine si consumava la colazione: stranamente mangiare era la cosa che si doveva fare più in fretta.
Lavoravamo quindi almeno otto ore, intervallate da una breve pausa pranzo, avvitando insieme parti per l'industria degli armamenti della Rdt. Dopo il lavoro, di nuovo via, nella stanza destinata al gruppo. Il tempo libero non esisteva affatto, non un solo minuto. Tutto era già predisposto dagli educatori. Tempo libero in Torgau significava: massiva quantità di ginnastica “punitiva” da aggiungersi a quella usuale, educazione di base premilitare, ossia l’esercitarsi per ore sul percorso di guerra fin quando uno non ce la faceva più, o aggiuntivi, consistenti spesso in insensati lavori di pulizia dentro e fuori l'edificio.
Infine alla sera, verso le otto, c'erano l'inclusione e la quiete notturna. Persino allora si era tenuti sotto osservazione.

Cosa facevano per voi gli educatori? Erano presenti altre figure istituzionali, ad esempio, ecclesiastiche?

Tanto per chiarirci subito, secondo la concezione attuale, davvero pochi “educatori” in Torgau avevano una qualsivoglia formazione pedagogica.
E di possibili operatori sociali o addirittura rappresentanti di una confessione ecclesiastica, non c’è neanche da parlarne. Ci si trovava dentro un'istituzione di una dittatura comunista, là non c'era di sicuro nessuna Chiesa!
Riguardo agli educatori, erano compiacenti, per la maggior parte, si trattava di gente caratterialmente misera che, di fronte ai detenuti, faceva la parte del padrone. Dovevano mettere in pratica tutto ciò che disponeva Horst Kretzschmar, influente direttore di quell’ Istituto, in carica per molti anni, e soprattutto stabilire, per ogni singolo ragazzo, l'obiettivo educativo da raggiungere. Lo facevano con una precisione meticolosa, in alcuni casi prendendosi anche la responsabilità per le misure pretese.
Con lo sguardo di adesso, questi cosiddetti educatori dovrebbero essere additati come criminali colpevoli di aver spezzato l'anima di ragazzini, averne torturato il corpo.

Molti credono che negli Jugendwerkhof finissero per lo più giovani nazionalsocialisti, eppure lei non lo era.

Io non sono, non ero e non sarò mai un Nazista! E per quanto mi riguarda, a Torgau non ne ho visto neanche uno di giovane nazista. Questa affermazione serviva piuttosto a discreditare gli ex-internati di Torgau e a criminalizzarli ancora di più di quanto già non lo fossero lì dentro. Si trattava, nella maggior parte dei casi, di ragazzini cresciuti in situazioni difficili, non di nazisti, per favore!

Cosa succedeva dopo le dimissioni? Gli ex-internati venivano discriminati?

Non posso parlare per tutti, dal momento che quelli che conosco tra i tanti, sono troppo pochi per fare generalizzazioni. Da parte mia, posso dire che la condanna: “Tu sei stato in uno Jugendwerkhof”, era come un marchio, i cui effetti durano a lungo, e sì, questo lo avvertivo sempre. Io stesso ebbi fino al 1988, il divieto di esercitare una professione o seguire un corso di studi, potevo essere solo Hilfsarbeiter, ossia potevo svolgere solo lavoro non qualificato. La mia vita privata veniva spiata, controllate le mie relazioni sociali.
Se questa non è discriminazione...

Quanto Torgau ha cambiato la sua vita?

Torgau mi ha totalmente cambiato la vita: non ci si deve dimenticare che io avevo 17 anni quando ciò successe. Soffro ancora di diversi disturbi che sono riconducibili tutti, senza eccezione alcuna, ai mesi trascorsi a Torgau. Tra gli altri, sono soprattutto disturbi nervosi post-traumatici che si riscontrano nelle vittime di violenze. Io sono oggi semi-invalido e posso lavorare soltanto 20 ore alla settimana.

Cosa si fa oggi in Germania per raccontare cosa è successo in quei luoghi? C'è una presa di coscienza o ritiene invece sia in atto una sorta di rimozione collettiva?

Esiste un luogo commemorativo nell'ex-Jugendwerkhof di Torgau. È collocato nell'ala amministrativa. Il vero e proprio carcere è stato trasformato in un complesso abitativo molto elegante, con balconi davvero carini.
Nel centro commemorativo ci si impegna, onestamente, in un’adeguata rielaborazione e rappresentazione dei fatti, purtroppo i pochi finanziamenti ne rendono sempre più difficile il mantenimento. Qui va così, nel 2005. La Germania sembra si dimentichi volentieri di quanto tocca negativamente la sua storia.

Il 3 Ottobre, la Germania ha ricorda il quindicennale della sua riunificazione politica. I pareri sugli esiti di questo processo politico sociale sono contrastanti: da una parte c’è chi festeggia la fine della Rdt, dall'altra c'è disillusione riguardo alle possibilità della Nuova Germania, nostalgia per il passato e, sempre più spesso, si parla di occasioni mancate, di fallimento. Per lei cosa significa questa data?

Il 3 ottobre 1989 è per me la data della liberazione.
Liberazione da una dittatura, che non avrebbe potuto essere più inumana e che, sotto questo aspetto, non teme il confronto con la Germania hitleriana.
Un Paese che ha ucciso a colpi di arma da fuoco più di mille uomini lungo i suoi confini solo per mantenere il suo potere, un sistema che ha spinto milioni di uomini all'espatrio o al suicidio, uno stato-partito che pensava di “avere sempre ragione”, scrivendolo anche sulle sue bandiere, “benemeriti pedagoghi” del Popolo che hanno sulla coscienza le anime di migliaia di bambini; un'”idea”, quella comunista, che ha portato centinaia di migliaia di persone a spiare gli amici più stretti, i membri della propria famiglia, a tradirli.., potrei continuare per ore...
E mi chiede cosa ne penso della nostalgia? Non ne penso niente! Al più, posso ritenere che i tedeschi dell'Est cerchino così di esprimere la loro frustrazione per la loro attuale condizione, cosa che posso anche comprendere. Di peggio della nostalgia c'è però che vecchi quadri dirigenti del Sed e collaboratori della Stasi raccolgono di nuovo “consenso” nei Land tedeschi, osservi solo il Linkspartei e chi c'è dentro! Non consideri solo Gysi e Lafontaine, no: in primissima fila trova anche vecchi dirigenti della Rdt.
No, chi non considera oggi la democrazia conquistata come una chance è, a mio parere, rimasto, in quest’ arco di tempo, semi-addormentato e non ha alcun diritto a decidere sul mio futuro. Nel caso in Germania si arrivasse nuovamente a una dittatura, come minimo, me ne andrei via per sempre, portando con me i miei figli e la mia compagna. In Italia c'è ancora un posto libero, nel caso?

 

 

 

 

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