G. Chiesa,
Cronache marxziane,
a cura di M. Panarari, Roma, Fazi, 2005
In tempi di consenso mediatico di massa, vedere il
mondo con gli occhi “perfidi” e disincantati
di Giulietto Chiesa è un po’ come osservare
da un disco volante il viluppo inestricabile di illusioni
e di interessi che governa noi umani. Di qui la geniale
copertina del volume, dalla quale Marx ci saluta con
una manina verde da marziano sci-fi dall’abitacolo
di un ufo atterrato in una landa desolata.
Marx, il dio Marte, i marziani. La critica della macchina
capitalista, la guerra — perenne, omnipervasiva
—, e lo sguardo alieno che, come nelle Lettres
persanes di Montesquieu, svela con la distanza
la smisurata irragionevolezza di quanto ci sembra normale.
Non disdegna gli accenti profetici, Chiesa, nel descriverci
in queste sue cronache lo stato dell’arte del
governo mondiale delle risorse, degli uomini e delle
informazioni: e lo fa, come un nuovo aruspice, cogliendo
le tracce recondite del potere, interpretando indizi
— così dobbiamo definire, oggi, le macroscopiche
evidenze celate dagli organi “ufficiali”
d’informazione — e fornendoci una prognosi
impietosa del prossimo futuro. Il quale è già
pienamente attuale: il 2017 è l’anno in
cui, secondo il Project for the New American Century
(il manifesto geopolitico dei neocon a stelle e
strisce), la Cina sarà un competitor
alla pari con gli Stati Uniti. Di qui ai prossimi due
lustri si gioca la partita, e la scacchiera è
grande quanto l’immensa distesa eurasiatica che
da Minsk corre fino all’Oceano Pacifico.
Gli attori sulla scena: l’impero americano, consumatore
inappagabile di beni e risorse, gravato da un colossale
debito estero e da una crisi senza precedenti del proprio
sistema democratico. La Cina, che si affretta a comprare
gas e petrolio a prezzi sopravvalutati in previsione
di quel nuovo Anno Mille che è il “picco
di Hubbert”, il sempre più prossimo punto
di flessione della curva di estrazione dei combustibili
fossili. La Russia, avvilita e più che mai risentita
verso gli “alleati” d’Occidente che
spadroneggiano nel suo cortile di casa, dalle repubbliche
centroasiatiche all’Ucraina. E poi l’Iran,
Israele e, naturalmente, l’Unione Europea. E,
sopra tutti, Madre Natura, con le sue grida di dolore
che battono il tempo di questa folle gara all’autodistruzione.
Il conflitto tra uomo e natura, anzi tra capitale e
natura è lo sfondo su cui Chiesa proietta la
sua analisi: dove la natura è anche quella dell’uomo,
vulnerato anzitutto nelle sue capacità psichiche
da una macchina di produzione del consenso (la «Grande
Fabbrica dei Sogni e della Menzogna») in piena
attività nel creare una realtà parallela
nella quale il soggetto-consumatore dell’emisfero
nord vive e si muove entro gli assi cartesiani dell’ansia
e del desiderio. Ma il discorso si snoda lungo una precisa
traiettoria storica, quella che dall’edificazione
del sistema imperiale statunitense durante l’età
di Roosevelt (il primo imperatore americano, magnanimo
e illuminato come un Augusto del ventesimo secolo) conduce
sino all’apogeo dell’iperpotenza sotto il
regno di Bush II.
Nella prospettiva d’analisi marxista di Chiesa,
Baghdad è l’esito ultimo di quanto ebbe
inizio a Pearl Harbour nel dicembre del 1941: è
cioè di un processo in cui il capitale si incarica
di dettare su scala globale l’agenda alla politica,
di stabilire i modi e i tempi del sostegno pubblico
alla produzione, di designare i mercati da aprire, anche
con la guerra. In questo senso, per gli equilibri geopolitici
mondiali non meno importante dell’implosione dell’Unione
Sovietica è quello che succede pochi anni dopo,
giusto a ridosso dell’elezione di Clinton, allorché
le corporation impongono la rimozione di ogni
ostacolo al free capital flow come obiettivo
strategico della Casa Bianca (dialettica poi brillantemente
superata giacché, oggi, per coincidenza di personale,
le corporation semplicemente sono la Casa Bianca).
Economia, democrazia, diritti. In quale misura può
essere considerato realmente democratico un sistema
nel quale la rappresentanza non è che una funzione
— e di certo non tra le più influenti —
di un dispositivo i cui decisori ultimi sono sottratti
alla scelta elettorale? Il «superclan»,
insomma, il cuore della tesi di Giulietto Chiesa: una
classe composta di poche centinaia di migliaia di persone,
sconosciute ai più; i grandi azionisti e i Ceo
delle multinazionali, i detentori delle risorse strategiche,
i proprietari dei maggiori network d’informazione.
Provengono da tutto il mondo e incrociano i loro interessi
nelle stanze del Washington Consensus, il triangolo
compreso fra Wall Street, il Pentagono e il Fondo Monetario
Internazionale. Occidente? Sì e no. Non l’Occidente
del modello renano, dei diritti sociali, dell’Europa
convertita al “culto di Venere” (ché
Marte risiede ormai stabilmente oltreoceano: e su questo
rinviamo al ponderoso Europa vs. America del
blairiano convertito Will Hutton) dopo un bagno di sangue
durato secoli. La divergenza fra vecchia Europa e Stati
Uniti si avvia, impercettibile, con la nascita della
politica imperiale americana sull’onda del New
Deal, per allargarsi a forbice e presentarsi oggi come
un’alternativa fra due “Occidenti”:
quello teologico, bellicista e liberista dei Born
again della Casa Bianca, tutto Bibbia e Wal-Mart,
e quello di un’Europa in cerca di equilibrio fra
tradizione illuminista, crisi economica e vocazione
a una Realpolitik in prospettiva globale. Per
inciso, le posizioni di Chiesa nella Sottocommissione
Difesa e Sicurezza del Parlamento europeo, contrarie
al riarmo dell’Unione nell’ottica di un
pieno rilancio del suo ruolo diplomatico, la dicono
lunga sulle ricadute fattuali della sua analisi.
Sarebbe sbagliato, tuttavia, considerare le Cronache
marxziane come l’ennesima riproposizione
della critica radical del modello liberista.
Si parla di «impero», ma siamo lontani anni
luce dall’apodittica summa theologiae
di Michael Hardt e Toni Negri (“teorico di corte”,
nel giudizio aspro di Chiesa). Nessun ésprit
de système, da queste parti, solo genuino
materialismo storico e impietosa analisi del reale:
Marx e Gramsci, e, dall’altra parte, Fernand Braudel
sono gli autori più citati. E poi l’antica
coscienza civile degli Stati Uniti e del Bill of Rights
che ritorna con i nomi di Gore Vidal, Michael Moore
e Joseph Stieglitz.
Un libro che, prima di tutto, parla alla sinistra,
a quella italiana in primis. Lo dobbiamo al
curatore del volume, Massimiliano Panarari, sulla scena
in qualità di intervistatore di Chiesa. Se non
un libro a quattro mani in senso stretto, quantomeno
il felice prodotto della dialettica fra due anime di
quella sinistra che ancora vuole fare il suo mestiere:
interrogarsi sulle ragioni dell’ingiustizia e
porvi rimedio con le risorse della ragione. È
Panarari, certo figlio più di John Rawls che
di Antonio Gramsci, a incalzare Chiesa, a imporgli una
più distesa scansione argomentativa, a chiedergli
conto della natura implicitamente controfattuale di
alcune sue conclusioni (vedi le pagine su Miloševic’
e l’«intervento umanitario» in Kosovo).
Quello che ne esce è una teoria critica della
globalizzazione che nulla lascia alle pregiudiziali
ideologiche della sinistra radicale. Un servizio reso
a quest’ultima, in realtà: e dispiace,
in questo senso, la miopia di Luciana Castellina quando
si limita a liquidare Panarari come fastidioso «riformista»,
senza comprendere quanto il ruolo di quest’ultimo
sia cruciale nell’imprimere al volume una peculiare
apertura a una riflessione in grado di abbracciare critica
sociale e primato dei diritti.
La sintesi, per la verità, è già
tutta in Chiesa, brillantemente definito da Panarari
un «hobbesiano di sinistra» (p. 207) per
la cruda attenzione ai rapporti di forza come generatori
della dinamiche sociali, economiche, politiche. «Io
non ho mai abiurato le mie idee comuniste. Comunista
italiano, figlio di Gramsci, ma anche di Marx, Freud
e Einstein» (p. 193): così si identifica
l’autore. Buona, anzi ottima novella, laddove
si scopre che il suo comunismo è debitore degli
ideali “borghesi” della Rivoluzione francese
assai più che non di quelli dell’Ottobre:
«Libertà, eguaglianza e fratellanza [...].
Giustizia sociale [...]. Stato di diritto. Spiritualità
e senso della condivisione di una condizione e di un
destino collettivi. [...] In una parola, umanesimo»
(104-5). È proprio all’incrocio di queste
direttrici che l’Occidente “europeo”
deve trovare la propria forza motrice e la rotta da
seguire per uscire dall’impasse di quel bellum
omnium contra omnes in cui si è trasformata
l’infausta finzione del New World Order. Su queste
direttrici la sinistra laica e democratica e quella
socialista possono convergere e recuperare la propria
mancanza più grave, la mancanza di quegli strumenti
cognitivi — propri delle élites gramsciane
— in grado di interpretare il sistema-mondo.
L’alternativa, l’unica possibile, allo
stato attuale, è quella della democrazia statunitense,
con il suo modello iperindividualistico di società
atomizzata e, in quanto tale, preda del capillare controllo
delle coscienze esercitato dai media: «L’America
è un paese libero senza democrazia. Libero nel
senso che l’individuo ha l’idea di poter
fare tutto quello che vuole, ma in realtà non
può fare affidamento su nessuna delle cose che
contano e che decidono dei destini e delle ricchezze.
Non può, perché non dispone di forme di
organizzazione politica collettiva, di luoghi dove i
suoi interessi primari si possano organizzare ed esprimere»
(30). Teoria politica a suo modo organicista, quella
di Giulietto Chiesa, fondata sul primato della società
civile fra gli istituti di democrazia. «La società
civile è lo “spirito pubblico”, quello
dove si esprime un certo grado di partecipazione collettiva
alla cosa pubblica, una certa idea di “bene comune”
sebbene comune non a tutti ma a un segmento della società
di cui si è parte» (36). In assenza di
questo fondamento del vivere comune, solo la progressiva
corruzione delle coscienze operata dal sistema mediatico
mondiale, che l’autore tratteggia con un cupo
pessimismo antropologico.
Questo ci raccontano, in buona sostanza, le Cronache
marxziane. Un libro che propone una chiave di interpretazione
“forte”, e solidamente argomentata, dell’esistente.
Un libro che ci impone l’urgenza di conoscere
le cose, anche a costo di svelare il volto funestamente
irreale della realtà. «Mi perdoni —
chiede Panarari — non è una visione piuttosto
dietrologica questa?». E Chiesa: «Certo
che lo è. Tutto questo è assolutamente,
totalmente dietrologico. Oppure lei pensa che la spiegazione
sia limpida, chiara e senz’ombre, e che dobbiamo
stare buoni a farcela raccontare come tutta questa ciurma
di assassini vuole?» (p. 143).
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|