288 - 13.11.05


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Tutte le vittime del
Washington Consensus

Franco Motta


G. Chiesa, Cronache marxziane,
a cura di M. Panarari, Roma, Fazi, 2005

In tempi di consenso mediatico di massa, vedere il mondo con gli occhi “perfidi” e disincantati di Giulietto Chiesa è un po’ come osservare da un disco volante il viluppo inestricabile di illusioni e di interessi che governa noi umani. Di qui la geniale copertina del volume, dalla quale Marx ci saluta con una manina verde da marziano sci-fi dall’abitacolo di un ufo atterrato in una landa desolata.

Marx, il dio Marte, i marziani. La critica della macchina capitalista, la guerra — perenne, omnipervasiva —, e lo sguardo alieno che, come nelle Lettres persanes di Montesquieu, svela con la distanza la smisurata irragionevolezza di quanto ci sembra normale. Non disdegna gli accenti profetici, Chiesa, nel descriverci in queste sue cronache lo stato dell’arte del governo mondiale delle risorse, degli uomini e delle informazioni: e lo fa, come un nuovo aruspice, cogliendo le tracce recondite del potere, interpretando indizi — così dobbiamo definire, oggi, le macroscopiche evidenze celate dagli organi “ufficiali” d’informazione — e fornendoci una prognosi impietosa del prossimo futuro. Il quale è già pienamente attuale: il 2017 è l’anno in cui, secondo il Project for the New American Century (il manifesto geopolitico dei neocon a stelle e strisce), la Cina sarà un competitor alla pari con gli Stati Uniti. Di qui ai prossimi due lustri si gioca la partita, e la scacchiera è grande quanto l’immensa distesa eurasiatica che da Minsk corre fino all’Oceano Pacifico.

Gli attori sulla scena: l’impero americano, consumatore inappagabile di beni e risorse, gravato da un colossale debito estero e da una crisi senza precedenti del proprio sistema democratico. La Cina, che si affretta a comprare gas e petrolio a prezzi sopravvalutati in previsione di quel nuovo Anno Mille che è il “picco di Hubbert”, il sempre più prossimo punto di flessione della curva di estrazione dei combustibili fossili. La Russia, avvilita e più che mai risentita verso gli “alleati” d’Occidente che spadroneggiano nel suo cortile di casa, dalle repubbliche centroasiatiche all’Ucraina. E poi l’Iran, Israele e, naturalmente, l’Unione Europea. E, sopra tutti, Madre Natura, con le sue grida di dolore che battono il tempo di questa folle gara all’autodistruzione.

Il conflitto tra uomo e natura, anzi tra capitale e natura è lo sfondo su cui Chiesa proietta la sua analisi: dove la natura è anche quella dell’uomo, vulnerato anzitutto nelle sue capacità psichiche da una macchina di produzione del consenso (la «Grande Fabbrica dei Sogni e della Menzogna») in piena attività nel creare una realtà parallela nella quale il soggetto-consumatore dell’emisfero nord vive e si muove entro gli assi cartesiani dell’ansia e del desiderio. Ma il discorso si snoda lungo una precisa traiettoria storica, quella che dall’edificazione del sistema imperiale statunitense durante l’età di Roosevelt (il primo imperatore americano, magnanimo e illuminato come un Augusto del ventesimo secolo) conduce sino all’apogeo dell’iperpotenza sotto il regno di Bush II.

Nella prospettiva d’analisi marxista di Chiesa, Baghdad è l’esito ultimo di quanto ebbe inizio a Pearl Harbour nel dicembre del 1941: è cioè di un processo in cui il capitale si incarica di dettare su scala globale l’agenda alla politica, di stabilire i modi e i tempi del sostegno pubblico alla produzione, di designare i mercati da aprire, anche con la guerra. In questo senso, per gli equilibri geopolitici mondiali non meno importante dell’implosione dell’Unione Sovietica è quello che succede pochi anni dopo, giusto a ridosso dell’elezione di Clinton, allorché le corporation impongono la rimozione di ogni ostacolo al free capital flow come obiettivo strategico della Casa Bianca (dialettica poi brillantemente superata giacché, oggi, per coincidenza di personale, le corporation semplicemente sono la Casa Bianca).

Economia, democrazia, diritti. In quale misura può essere considerato realmente democratico un sistema nel quale la rappresentanza non è che una funzione — e di certo non tra le più influenti — di un dispositivo i cui decisori ultimi sono sottratti alla scelta elettorale? Il «superclan», insomma, il cuore della tesi di Giulietto Chiesa: una classe composta di poche centinaia di migliaia di persone, sconosciute ai più; i grandi azionisti e i Ceo delle multinazionali, i detentori delle risorse strategiche, i proprietari dei maggiori network d’informazione. Provengono da tutto il mondo e incrociano i loro interessi nelle stanze del Washington Consensus, il triangolo compreso fra Wall Street, il Pentagono e il Fondo Monetario Internazionale. Occidente? Sì e no. Non l’Occidente del modello renano, dei diritti sociali, dell’Europa convertita al “culto di Venere” (ché Marte risiede ormai stabilmente oltreoceano: e su questo rinviamo al ponderoso Europa vs. America del blairiano convertito Will Hutton) dopo un bagno di sangue durato secoli. La divergenza fra vecchia Europa e Stati Uniti si avvia, impercettibile, con la nascita della politica imperiale americana sull’onda del New Deal, per allargarsi a forbice e presentarsi oggi come un’alternativa fra due “Occidenti”: quello teologico, bellicista e liberista dei Born again della Casa Bianca, tutto Bibbia e Wal-Mart, e quello di un’Europa in cerca di equilibrio fra tradizione illuminista, crisi economica e vocazione a una Realpolitik in prospettiva globale. Per inciso, le posizioni di Chiesa nella Sottocommissione Difesa e Sicurezza del Parlamento europeo, contrarie al riarmo dell’Unione nell’ottica di un pieno rilancio del suo ruolo diplomatico, la dicono lunga sulle ricadute fattuali della sua analisi.

Sarebbe sbagliato, tuttavia, considerare le Cronache marxziane come l’ennesima riproposizione della critica radical del modello liberista. Si parla di «impero», ma siamo lontani anni luce dall’apodittica summa theologiae di Michael Hardt e Toni Negri (“teorico di corte”, nel giudizio aspro di Chiesa). Nessun ésprit de système, da queste parti, solo genuino materialismo storico e impietosa analisi del reale: Marx e Gramsci, e, dall’altra parte, Fernand Braudel sono gli autori più citati. E poi l’antica coscienza civile degli Stati Uniti e del Bill of Rights che ritorna con i nomi di Gore Vidal, Michael Moore e Joseph Stieglitz.

Un libro che, prima di tutto, parla alla sinistra, a quella italiana in primis. Lo dobbiamo al curatore del volume, Massimiliano Panarari, sulla scena in qualità di intervistatore di Chiesa. Se non un libro a quattro mani in senso stretto, quantomeno il felice prodotto della dialettica fra due anime di quella sinistra che ancora vuole fare il suo mestiere: interrogarsi sulle ragioni dell’ingiustizia e porvi rimedio con le risorse della ragione. È Panarari, certo figlio più di John Rawls che di Antonio Gramsci, a incalzare Chiesa, a imporgli una più distesa scansione argomentativa, a chiedergli conto della natura implicitamente controfattuale di alcune sue conclusioni (vedi le pagine su Miloševic’ e l’«intervento umanitario» in Kosovo).

Quello che ne esce è una teoria critica della globalizzazione che nulla lascia alle pregiudiziali ideologiche della sinistra radicale. Un servizio reso a quest’ultima, in realtà: e dispiace, in questo senso, la miopia di Luciana Castellina quando si limita a liquidare Panarari come fastidioso «riformista», senza comprendere quanto il ruolo di quest’ultimo sia cruciale nell’imprimere al volume una peculiare apertura a una riflessione in grado di abbracciare critica sociale e primato dei diritti.

La sintesi, per la verità, è già tutta in Chiesa, brillantemente definito da Panarari un «hobbesiano di sinistra» (p. 207) per la cruda attenzione ai rapporti di forza come generatori della dinamiche sociali, economiche, politiche. «Io non ho mai abiurato le mie idee comuniste. Comunista italiano, figlio di Gramsci, ma anche di Marx, Freud e Einstein» (p. 193): così si identifica l’autore. Buona, anzi ottima novella, laddove si scopre che il suo comunismo è debitore degli ideali “borghesi” della Rivoluzione francese assai più che non di quelli dell’Ottobre: «Libertà, eguaglianza e fratellanza [...]. Giustizia sociale [...]. Stato di diritto. Spiritualità e senso della condivisione di una condizione e di un destino collettivi. [...] In una parola, umanesimo» (104-5). È proprio all’incrocio di queste direttrici che l’Occidente “europeo” deve trovare la propria forza motrice e la rotta da seguire per uscire dall’impasse di quel bellum omnium contra omnes in cui si è trasformata l’infausta finzione del New World Order. Su queste direttrici la sinistra laica e democratica e quella socialista possono convergere e recuperare la propria mancanza più grave, la mancanza di quegli strumenti cognitivi — propri delle élites gramsciane — in grado di interpretare il sistema-mondo.

L’alternativa, l’unica possibile, allo stato attuale, è quella della democrazia statunitense, con il suo modello iperindividualistico di società atomizzata e, in quanto tale, preda del capillare controllo delle coscienze esercitato dai media: «L’America è un paese libero senza democrazia. Libero nel senso che l’individuo ha l’idea di poter fare tutto quello che vuole, ma in realtà non può fare affidamento su nessuna delle cose che contano e che decidono dei destini e delle ricchezze. Non può, perché non dispone di forme di organizzazione politica collettiva, di luoghi dove i suoi interessi primari si possano organizzare ed esprimere» (30). Teoria politica a suo modo organicista, quella di Giulietto Chiesa, fondata sul primato della società civile fra gli istituti di democrazia. «La società civile è lo “spirito pubblico”, quello dove si esprime un certo grado di partecipazione collettiva alla cosa pubblica, una certa idea di “bene comune” sebbene comune non a tutti ma a un segmento della società di cui si è parte» (36). In assenza di questo fondamento del vivere comune, solo la progressiva corruzione delle coscienze operata dal sistema mediatico mondiale, che l’autore tratteggia con un cupo pessimismo antropologico.

Questo ci raccontano, in buona sostanza, le Cronache marxziane. Un libro che propone una chiave di interpretazione “forte”, e solidamente argomentata, dell’esistente. Un libro che ci impone l’urgenza di conoscere le cose, anche a costo di svelare il volto funestamente irreale della realtà. «Mi perdoni — chiede Panarari — non è una visione piuttosto dietrologica questa?». E Chiesa: «Certo che lo è. Tutto questo è assolutamente, totalmente dietrologico. Oppure lei pensa che la spiegazione sia limpida, chiara e senz’ombre, e che dobbiamo stare buoni a farcela raccontare come tutta questa ciurma di assassini vuole?» (p. 143).

 

 

 

 

 

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