Questo
testo è l’intervento tenuto al Convegno
“La Turchia in Europa”, tenutosi il 5 ottobre
2005 presso la Libera Università degli Studi
“S.Pio V”. Yasemin Taskin è corrispondente
dall’Italia per il quotidiano turco “Sabah”.
Il 3 ottobre, con la decisione dell’Unione Europea
di aprire i negoziati per l’adesione della Turchia
è cominciato un nuovo periodo per il nostro paese,
ed è iniziato un momento di transizione di lungo
termine durante il quale l’opinione pubblica europea
svolgerà il ruolo fondamentale di osservatore
attento.
Il dibattito sulla possibile adesione turca all’Ue
è iniziato circa quarantadue anni fa, e questo
ne fa un argomento vivo nell’opinione pubblica
del nostro paese. È stato più volte sottolineato
che l’aspirazione a far parte dell’Unione
europea rappresenta per la Turchia un progetto di modernizzazione
e una scelta di civiltà che coinvolge attivamente
il popolo turco il quale, negli ultimi decenni, non
solo ha seguito le linee della politica lungo la traiettoria
delle riforme, ma spesso ha trascinato i politici e
il governo verso un futuro europeo.
Ma se fino a due anni fa i sondaggi segnavano il consenso
a favore dell’adesione turca con percentuali molto
alte che arrivavano fino all’80%, oggi la situazione
è molto diversa. La fatica dimostrata dai negoziati,
la loro lunghezza, la difficoltà incontrate da
Ankara nelle diverse tappe di avvicinamento a Bruxelles,
la contrarietà manifesta di molti leader europei
verso l’adesione turca e lo scetticismo dimostrato
dall’opinione pubblica dei paesi membri, tutto
ciò ha costruito negli ultimi tempi un ostacolo
nella popolarità dei negoziati e ha avuto un
effetto negativo sull’opinione pubblica turca.
A tale proposito vorrei ricordare alcune cifre. Uno
dei più recenti sondaggi svolti su questo tema
ha coinvolto 11 mila persone appartenenti a dieci Paesi
europei più la Turchia. Ne risulta un forte calo
di pareri favorevoli all’entrata in Europa di
Ankara sia tra i cittadini europei che tra i turchi.
Solo un anno fa, ad esempio, il 73% della popolazione
turca dichiarava di voler entrare a far parte dell’Ue,
oggi la percentuale è scesa al 63%. Rilevante
poi è il fatto che, nell’arco di un anno,
il consenso all’entrata nella Comunità
Europea della Turchia è calato dal 30% al 22%.
Un altro dato da sottolineare: la gran parte degli europei,
il 42%, si è mostrata indecisa nell’esprimere
un parere; le cause di questa indecisione sono varie
e fra queste possiamo immaginare certamente diverse
fobie, tra le quali la paura del terrorismo di matrice
islamica, l’islamofobia e l’incertezza economica,
proprio come è accaduto alla Francia e all’Olanda
nei confronti della Polonia in occasione dei referendum
sulla costituzione: allora si parlò dell’idraulico
polacco, domani si potrebbe parlare dell’idraulico
turco…
La percentuale di indecisi potrebbe essere interpretata
come un dato negativo, ma credo che non lo sia, e mi
pare invece che si tratti di una cifra sulla quale iniziare
a lavorare, un punto di partenza del quale i politici
e la società civile potranno tener conto nel
tentativo di indirizzare meglio il dibattito pubblico.
È chiaro che, in ogni caso, un ruolo importante
sarà giocato da quanto gli europei saranno messi
nelle condizioni di conoscere la Turchia, la sua cultura
e la sua società.
Viviamo un momento di delicato avvicinamento tra due
civiltà, tra popoli diversi, sarebbe quindi opportuno
introdurre una serie di iniziative che stimolino e coinvolgano
diverse dimensioni della sfera pubblica europea sulla
questione turca, sollecitando delle prese di posizione
informate e competenti. Francia, Germania e Olanda,
i paesi che ospitano le più ampie comunità
europee di emigrati turchi, dimostrano una particolare
freddezza nei confronti della Turchia.
In Germania, dove la “questione turca” assume
un valore particolare negli equilibri interni della
società civile, il sostegno per l’adesione
della Turchia all’Ue è sceso del 15% nell’ultimo
anno.
Dopo il Consiglio Europeo del 17 dicembre 2004, in Europa
si è alzato una specie di vento paranoico contro
la Turchia e spetta alla diplomazia e alla politica
il compito di ricucire lo strappo tra le popolazioni
europea e la turca.
Allo stesso tempo è vero che i negoziati per
l’entrata nell’Ue hanno riacceso in Turchia
focolai di discussione intorno a temi insoluti quali
la questione armena, la situazione di Cipro e i diritti
dei curdi, incidendo fortemente sull’idea che
l’opinione pubblica del mio paese si era fatta
dell’adesione europea e facendo scendere i consensi
di quasi venti punti percentuali negli ultimi mesi.
Se guardiamo al panorama politico della Turchia notiamo
una situazione estremamente eterogenea intorno alla
questione europea.
Da una parte ci sono forze politiche di destra e frange
estremiste, come i cosiddetti “Lupi grigi”,
che rifiutano ogni idea di ingresso nell’Unione
Europea e negano ogni riconoscimento al valore di questo
processo; allo stesso tempo il partito conservatore
di sostiene l’adesione, così come sono
favorevoli i partiti di sinistra e il partito popolare
repubblicano. Leggiamo sui giornali, anche quelli italiani,
che quella compattezza di opinioni a favore dell’entrata
della Turchia in Europa ora non c’è più,
forse possiamo rintracciarla in zone periferiche come
i territori dell’Anatolia, ma nelle grandi città
moderne si avvertono un po’ di più i dubbi
sulla riuscita dell’integrazione con l’Europea,
dubbi che per altro nascono e si alimentano dei pregiudizi
che si avvertono provenire dall’Unione Europea.
Anche io credo che il percorso che lega l’Unione
europea e la Turchia sia lungo e difficile, che obbligherà
i rappresentanti politici delle due parti a riflettere
meglio su tutte le questioni sin qui affrontate. Prima
di tutto credo che sarà fondamentale, al fine
di risollevare le sorti di questo processo di negoziazione,
aprire dei canali di comunicazione tra i due paesi,
canali di scambio e di informazione tra culture. Canali
la cui costruzione spetta, prima di ogni altra cosa,
alla politica.
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