287 - 28.10.05


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La democrazia è in cammino

Nicole Pope con
Daniele Castellani Perelli


“Ho fiducia nella Turchia, ma non ho fiducia nell’Europa. Chi può dire come sarà l’Ue tra dieci anni, al termine dei negoziati di adesione?”. Nicole Pope, che è stata per quasi vent’anni, fino al mese scorso, corrispondente di Le Monde dalla Turchia, difende il processo di riforma di Ankara, incompleto ma ormai avviato. Questa terra la conosce bene, tanto da averle dedicato un libro di successo, scritto insieme al marito Hugh Pope (corrispondente del Wall Street Journal), Turkey unveiled. “Non giudicate la Turchia dalle sentenze della sua magistratura iperconservatrice – ci dice dal suo ufficio di Istanbul – Il paese è in marcia, e sarà d’esempio anche per i paesi islamici che si stanno avviando verso la democratizzazione”.

Nicole Pope, qual è oggi l’atmosfera in Turchia, dopo l’apertura dei negoziati per l’ingresso nell’Unione europea?

Qui tutti sono consapevoli del fatto che il processo che dovrà portare all’adesione sarà lungo e per nulla facile. Non direi che ci sia eccitazione, direi che c’è la sensazione che ciò che doveva essere fatto è stato fatto. La decisione dell’Ue viene vista come naturale, e in Turchia ci sarebbero sorte grandi tensioni se Bruxelles avesse disposto altrimenti.

Cosa sarebbe successo nel caso di un no europeo?

Già adesso si nota un calo dell’entusiasmo per il progetto europeo, serpeggia certamente delusione verso gli europei. C’era la sensazione che, specialmente per gli ostacoli posti alla fine dall’Austria, l’Europa stesse perdendo la sua credibilità. Al summit del dicembre 2004 gli europei avevano fatto chiare promesse alla Turchia, e alla fine se le stavano rimangiando. Alcuni avanzavano nuove richieste, cambiavano in extremis le regole del gioco. E così c’è questa sensazione che l’Europa non sia stata del tutto onesta con Ankara. Se la promessa non fosse stata mantenuta, alla fine ne avrebbero beneficiato i nazionalisti e quanti non vogliono le riforme, quanti cioè, nella loro campagna antieuropea, dicevano che le riforme rappresentavano uno sforzo inutile, perché comunque l’Europa non avrebbe mai accettato l’ingresso della Turchia.

C’è il problema armeno e quello turco. I diritti delle donne, il riconoscimento di Cipro, la libertà di espressione. Quali di queste questioni sono più lontane dall’essere risolte in Turchia?

Tutte le questioni potranno essere risolte, in particolare quella armena. I media europei hanno stigmatizzato particolarmente la volontà della corte turca di vietare, recentemente, una conferenza armena sul suolo turco. Ma chi, come me, vive in Turchia, si accorge che in questa società è in atto una vera battaglia di potere all’interno delle istituzioni. Con settori, come quello della magistratura, che si oppongono strenuamente al cambiamento. E’ il potere giudiziario, iperconservatore, che danneggia l’immagine internazionale della Turchia, con sentenze come quella che ha condannato il poeta Orhan Pamuk, o come quella che ha bloccato la conferenza armena. Ma alla fine quella stessa conferenza ha avuto luogo: ecco ciò che accade in Turchia. Io non ero presente, ma chi era lì mi ha raccontato di una manifestazione incredibile, di qualcosa di mai visto prima in questo paese: turchi e armeni fianco a fianco, intellettuali che discutono liberamente, in entrambi i gruppi persone commosse fino alle lacrime. Tutti questi temi vengono discussi, e lentamente vediamo dei progressi. I cambiamenti arrivano, ma serve tempo.

Lei è fiduciosa nell’ingresso della Turchia?

Sono fiduciosa, ma non ho fiducia nell’Europa. E’ difficile predire cosa sarà l’Ue tra dieci anni. Quello che conta è che la Turchia continui nel suo processo, che raggiunga certi standard democratici ed economici. Poi è secondario se tutto ciò la condurrà nell’Ue.

Che tipo di Islam è quello turco?

E’ un Islam molto moderato. Ovviamente ci sono anche delle frange radicali, ma sono generalmente marginali. I turchi sono piuttosto religiosi, specialmente nelle campagne, ma non sono radicali: sono culturalmente conservatori, ma non in senso “rivoluzionario”. In Turchia l’Islam non è un ostacolo al cambiamento.

Crede che l’esempio di queste riforme, l’avvicinamento tra la Turchia e l’Europa, possa aiutare la democratizzazione dei paesi islamici?

Io non mi trovo a mio agio con una visione che vede i paesi europei come democratici, e gli altri come non-democratici. Se guardiamo a come sta evolvendo l’Europa, al modo in cui sta chiudendo le sue frontiere, alla durezza con cui tratta gli immigrati, alle leggi antiterrorismo della Gran Bretagna, sono tutte misure antidemocratiche. Quindi bisogna intendersi bene su ciò che è democratico. Ma è importante che l’Europa voglia dare il messaggio che non tratta in maniera diversa i suoi vicini a seconda della loro religione, che non discrimina tra paesi cristiani e musulmani. Credo che l’influenza sui paesi islamici non sarà immediata, ma a lungo termine penso di sì: una Turchia che progredisce benestante e democratica non potrà che dare il buon esempio agli altri paesi musulmani.

Nella sua vita quotidiana, cosa la fa sentire in Europa quando è in Turchia? E quando, invece, percepisce che la Turchia non è ancora un paese pienamente europeo?

La Turchia è un paese grandissimo. La nostra vita quotidiana a Istanbul non è molto diversa da quella delle grandi città europee, a partire dal livello dei servizi, dei trasporti pubblici. A Istanbul la vita quotidiana è molto europea, ma nelle campagne la situazione è molto diversa. Ma immagino che nelle campagne siciliane, fino a 30 anni fa, la vita fosse molto diversa rispetto a Roma.

Nell’entroterra turco i diritti delle donne sono particolarmente compressi, e c’è l’uso dei matrimoni combinati...

Sì, è vero, ma anche da quel punto ci sono continui progressi. Persino nelle aree curde, che sono tra le meno sviluppate, nascono associazioni per i diritti delle donne e ci sono manifestazioni contro le violenze dei mariti. La Turchia è una società in pieno movimento.

 

 


 

 

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