“Ho
fiducia nella Turchia, ma non ho fiducia nell’Europa.
Chi può dire come sarà l’Ue tra
dieci anni, al termine dei negoziati di adesione?”.
Nicole Pope, che è stata per quasi vent’anni,
fino al mese scorso, corrispondente di Le Monde dalla
Turchia, difende il processo di riforma di Ankara, incompleto
ma ormai avviato. Questa terra la conosce bene, tanto
da averle dedicato un libro di successo, scritto insieme
al marito Hugh Pope (corrispondente del Wall Street
Journal), Turkey unveiled. “Non giudicate
la Turchia dalle sentenze della sua magistratura iperconservatrice
– ci dice dal suo ufficio di Istanbul –
Il paese è in marcia, e sarà d’esempio
anche per i paesi islamici che si stanno avviando verso
la democratizzazione”.
Nicole Pope, qual è oggi l’atmosfera
in Turchia, dopo l’apertura dei negoziati per
l’ingresso nell’Unione europea?
Qui tutti sono consapevoli del fatto che il processo
che dovrà portare all’adesione sarà
lungo e per nulla facile. Non direi che ci sia eccitazione,
direi che c’è la sensazione che ciò
che doveva essere fatto è stato fatto. La decisione
dell’Ue viene vista come naturale, e in Turchia
ci sarebbero sorte grandi tensioni se Bruxelles avesse
disposto altrimenti.
Cosa sarebbe successo nel caso di un no europeo?
Già adesso si nota un calo dell’entusiasmo
per il progetto europeo, serpeggia certamente delusione
verso gli europei. C’era la sensazione che, specialmente
per gli ostacoli posti alla fine dall’Austria,
l’Europa stesse perdendo la sua credibilità.
Al summit del dicembre 2004 gli europei avevano fatto
chiare promesse alla Turchia, e alla fine se le stavano
rimangiando. Alcuni avanzavano nuove richieste, cambiavano
in extremis le regole del gioco. E così c’è
questa sensazione che l’Europa non sia stata del
tutto onesta con Ankara. Se la promessa non fosse stata
mantenuta, alla fine ne avrebbero beneficiato i nazionalisti
e quanti non vogliono le riforme, quanti cioè,
nella loro campagna antieuropea, dicevano che le riforme
rappresentavano uno sforzo inutile, perché comunque
l’Europa non avrebbe mai accettato l’ingresso
della Turchia.
C’è il problema armeno e quello
turco. I diritti delle donne, il riconoscimento di Cipro,
la libertà di espressione. Quali di queste questioni
sono più lontane dall’essere risolte in
Turchia?
Tutte le questioni potranno essere risolte, in particolare
quella armena. I media europei hanno stigmatizzato particolarmente
la volontà della corte turca di vietare, recentemente,
una conferenza armena sul suolo turco. Ma chi, come
me, vive in Turchia, si accorge che in questa società
è in atto una vera battaglia di potere all’interno
delle istituzioni. Con settori, come quello della magistratura,
che si oppongono strenuamente al cambiamento. E’
il potere giudiziario, iperconservatore, che danneggia
l’immagine internazionale della Turchia, con sentenze
come quella che ha condannato il poeta Orhan Pamuk,
o come quella che ha bloccato la conferenza armena.
Ma alla fine quella stessa conferenza ha avuto luogo:
ecco ciò che accade in Turchia. Io non ero presente,
ma chi era lì mi ha raccontato di una manifestazione
incredibile, di qualcosa di mai visto prima in questo
paese: turchi e armeni fianco a fianco, intellettuali
che discutono liberamente, in entrambi i gruppi persone
commosse fino alle lacrime. Tutti questi temi vengono
discussi, e lentamente vediamo dei progressi. I cambiamenti
arrivano, ma serve tempo.
Lei è fiduciosa nell’ingresso
della Turchia?
Sono fiduciosa, ma non ho fiducia nell’Europa.
E’ difficile predire cosa sarà l’Ue
tra dieci anni. Quello che conta è che la Turchia
continui nel suo processo, che raggiunga certi standard
democratici ed economici. Poi è secondario se
tutto ciò la condurrà nell’Ue.
Che tipo di Islam è quello turco?
E’ un Islam molto moderato. Ovviamente ci sono
anche delle frange radicali, ma sono generalmente marginali.
I turchi sono piuttosto religiosi, specialmente nelle
campagne, ma non sono radicali: sono culturalmente conservatori,
ma non in senso “rivoluzionario”. In Turchia
l’Islam non è un ostacolo al cambiamento.
Crede che l’esempio di queste riforme,
l’avvicinamento tra la Turchia e l’Europa,
possa aiutare la democratizzazione dei paesi islamici?
Io non mi trovo a mio agio con una visione che vede
i paesi europei come democratici, e gli altri come non-democratici.
Se guardiamo a come sta evolvendo l’Europa, al
modo in cui sta chiudendo le sue frontiere, alla durezza
con cui tratta gli immigrati, alle leggi antiterrorismo
della Gran Bretagna, sono tutte misure antidemocratiche.
Quindi bisogna intendersi bene su ciò che è
democratico. Ma è importante che l’Europa
voglia dare il messaggio che non tratta in maniera diversa
i suoi vicini a seconda della loro religione, che non
discrimina tra paesi cristiani e musulmani. Credo che
l’influenza sui paesi islamici non sarà
immediata, ma a lungo termine penso di sì: una
Turchia che progredisce benestante e democratica non
potrà che dare il buon esempio agli altri paesi
musulmani.
Nella sua vita quotidiana, cosa la fa sentire
in Europa quando è in Turchia? E quando, invece,
percepisce che la Turchia non è ancora un paese
pienamente europeo?
La Turchia è un paese grandissimo. La nostra
vita quotidiana a Istanbul non è molto diversa
da quella delle grandi città europee, a partire
dal livello dei servizi, dei trasporti pubblici. A Istanbul
la vita quotidiana è molto europea, ma nelle
campagne la situazione è molto diversa. Ma immagino
che nelle campagne siciliane, fino a 30 anni fa, la
vita fosse molto diversa rispetto a Roma.
Nell’entroterra turco i diritti delle
donne sono particolarmente compressi, e c’è
l’uso dei matrimoni combinati...
Sì, è vero, ma anche da quel punto ci
sono continui progressi. Persino nelle aree curde, che
sono tra le meno sviluppate, nascono associazioni per
i diritti delle donne e ci sono manifestazioni contro
le violenze dei mariti. La Turchia è una società
in pieno movimento.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|