|  L’11 
                          settembre 2001 il Presidente degli Stati Uniti sorvolava 
                          l’America sull’Air Force One perché 
                          rientrare nella Casa Bianca dopo gli attacchi alle Torri 
                          gemelle e al Pentagono era troppo pericoloso. La sera 
                          dell’11 settembre 2005 Bush era di nuovo in volo: 
                          destinazione New Orleans. Durante la commemorazione 
                          mattutina presso la chiesa episcopale di St. John, a 
                          Washington, George e Laura Bush avevano pregato ricordando 
                          la devastazione di Ground Zero e i volti, terrorizzati 
                          e bianchi di polvere, che riemergevano dalla Manhattan 
                          di quattro anni fa. Poche ore più tardi, Bush 
                          avrebbe affrontato altri volti e un’altra desolazione 
                          fatta di acqua putrida e miseria. 
 Accusato di aver trascurato la sicurezza interna 
                          nella corsa contro il terrorismo e il nemico invisibile 
                          e sospettato di essersi disinteressato dell’uragano 
                          Katrina perché le condizioni politiche e demografiche 
                          dell’area di New Orleans erano assai distanti 
                          da quelle dell’elettore repubblicano medio - l’11 
                          settembre 2005, infatti, il presidente statunitense 
                          è volato a New Orleans per la terza volta in 
                          pochi giorni, con la speranza di recuperare qualche 
                          punto in credibilità e immagine.
 Per Bush il momento non è dei migliori. I sondaggi 
                          danno la sua immagine in caduta: il suo operato godrebbe 
                          attualmente solo del consenso del 38% della popolazione 
                          americana (fonte: Newsweek 
                          ). Quattro anni fa, invece, davanti alle ceneri 
                          del World Trade Center, quasi tutti - repubblicani o 
                          democratici che fossero - si erano stretti attorno a 
                          lui. All'epoca il 90% circa degli intervistati si era 
                          dichiarato solidale con il presidente (fonte: Brookings 
                          Institution) e i media si erano schierati, pressoché 
                          compatti, a difesa della società statunitense. Oggi, 
                          sulle pagine dei giornali, su internet, nelle trasmissioni 
                          televisive, gli analisti si affrettano a elencare le 
                          falle nella gestione della catastrofe. 
 La mobilitazione è iniziata troppo tardi ed è 
                          stata aggravata dalla distruzione quasi completa del 
                          sistema delle infrastrutture che ha reso inutilizzabili 
                          trasporti, elettricità, reti di comunicazione 
                          e strutture sanitarie. Una burocrazia appesantita e 
                          le difficoltà di interazione tra le varie agenzie 
                          – in particolare, FEMA e DHS – e tra i diversi 
                          livelli dello Stato (federale, statale e locale) sembrerebbero 
                          aver rallentato l’arrivo dei soccorsi. Secondo 
                          Pietro Nivola, vice presidente e direttore del dipartimento 
                          per gli studi governativi della Brookings Institution, 
                          la crisi emersa a New Orleans è dipesa proprio 
                          dalle disfunzioni del sistema dei rapporti intergovernativi. 
                          Sono in molti, inoltre, a sostenere che l’impegno 
                          militare in Iraq e la lotta contro il terrorismo abbiano 
                          reso il Paese più impreparato davanti a catastrofi 
                          come quella di New Orleans e del Golfo del Messico.
 
 Tuttavia, aldilà degli errori e delle incapacità 
                          organizzative, quello che nessuno riuscirà a 
                          cancellare dal ricordo degli americani sono i volti 
                          neri della New Orleans più misera. Volti di chi 
                          non aveva l’automobile per allontanarsi in tempo, 
                          facce di gente povera che viveva in quartieri al limite 
                          della segregazione sociale. Secondo Amy Liu, che nella 
                          Brookings Institution dirige il dipartimento di Hurban 
                          Studies, “la città di New Orleans è 
                          la quinta tra le cento metropoli più estese del 
                          Paese per grado di concentrazione di povertà. 
                          Ciò significa che un residente indigente su cinque 
                          vive in un quartiere estremamente povero. Situazione 
                          che si aggrava ancora di più per gli afro-americani 
                          (uno su tre). (…) Se si considera l’aspetto 
                          razziale, quasi il 70% della popolazione di New Orleans 
                          è afro-americana. Nel 1999 26mila famiglie vivevano 
                          al di sotto della soglia di povertà: il 95% di 
                          esse era di origine afro-americana”.
 
 Questioni di razza e povertà. In un articolo pubblicato 
                          pochi giorni fa su The 
                          American Prospect Online, Terence Samuel si chiedeva 
                          se fosse davvero possibile che in America i più indigenti 
                          fossero stati lasciati affamati e senza casa, privi 
                          di speranze e prospettive. "Siamo noi?" domandava. "Yes, 
                          yes, and yes!" La vera tragedia in ciò che abbiamo visto 
                          - precisava l'autore - è che "la povertà impone svantaggi 
                          durissimi e può avere enormi conseguenze mortali e de-umanizzanti."
 
 Gli Stati Uniti di Bush sono più poveri. Secondo i dati 
                          pubblicati dallo U.S. 
                          Census Bureau, negli anni del primo mandato presidenziale 
                          (2000-2004) il tasso di povertà è salito di oltre un 
                          punto e mezzo percentuale e i poveri sono diventati 
                          6 milioni in più. Per la seconda volta la politica sociale 
                          di cons e neo-cons bushiani si dimostra fallimentare: 
                          i dati storici sulla povertà negli Stati Uniti evidenziano 
                          come anche nei quattro anni di presidenza Bush senior 
                          i numeri della povertà fossero cresciuti, i poveri passati 
                          da 32 a 40 milioni circa e il tasso di povertà dal 13 
                          al 15%. Dopo Katrina si è aperta un'evidente distanza 
                          tra le priorità percepite dal popolo americano e i punti 
                          previsti dall'agenda neo-cons. L'America si 
                          è scoperta più povera e ancora vulnerabile.
 
 Oltre a distruggere Big Easy, Katrina ha sfidato 
                          così l’agenda della politica sociale del 
                          presidente repubblicano. La scelta di rimpiazzare i 
                          vecchi programmi federali contro la povertà o 
                          di tagliare i fondi ad essi destinati, i rapporti difficili 
                          con le minoranze, la riduzione delle spese per il welfare 
                          sociale hanno dirottato l’occhio del ciclone dritto 
                          sulla politica economica perseguita dal governo Bush. 
                          Non è servito affermare che le persone colpite 
                          da Katrina “non sono rifugiati ma Americani”. 
                          E neppure assumersi le responsabilità per i ritardi 
                          federali. Le delicate questioni della povertà, 
                          della razza, della classe sociale hanno – almeno 
                          per il momento - risvegliato l’attenzione del 
                          pubblico americano e indebolito le basi del programma 
                          economico conservatore fatto di tagli e privatizzazioni.
 
 
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