Di
fronte alle tragedie si vede il leader. Nei momenti
più difficili di un paese, nelle crisi più
profonde, si vede l’abilità di chi è
capace di farsi carico di responsabilità e scelte
rapide e concrete. E questa volta George W. Bush ha
sbagliato, non c’è che dire. Se ne è
accorta l’opinione pubblica americana, che secondo
molti sondaggi sta facendo scemare il livello di consenso
verso le scelte del presidente e la politica della sua
amministrazione; e se ne è accorto anche lo stesso
Bush, che forse ci ha messo un po’, ma alla fine
ha fatto pubblica ammenda davanti alle vittime dell’uragano
e a l’opinione pubblica americana tutta, accollandosi
personalmente la responsabilità degli errori,
della mancanza di tempestività degli aiuti, dell’insufficienza
delle risorse, di come un’intera regione, tra
le parti più povere degli States, sia stata lasciata
sola al proprio misero destino di fronte alla calamità
devastatrice.
Questa volta non è stato come a Ground Zero,
dopo gli attentati, spiega Thomas E. Mann, Senior Fellow
in Governance Studies presso la Brookings Institution:
“Dopo quel tragico 11 settembre, a New York la
voce del presidente risuonò dal megafono e conquistò
gli animi dei presenti e di tutti gli americani”.
Bush si mostrò, allora, forte, energico, vigoroso,
pronto a dichiarare guerra al terrore e a caricare sulle
spalle dell’America la difesa della libertà
e della democrazia. Ma a New Orleans l’atteggiamento
del presidente è stato molto diverso, e Thomas
E. Mann ci dà la sua spiegazione: “Dopo
l’uragano, non avendo un preciso nemico da denunciare
e combattere, Bush ha dimostrato difficoltà nel
trovare le parole e i toni giusti, nel mobilitare le
risorse federali e nel pronunciare la risposta chiara
e decisa che l’America si aspettava. L’immagine
di forte leadership dimostrata dopo l’11 settembre
è stata sostituita da un’immagine di indecisione
e mediocrità offerta dal governo a New Orleans”.
E l’opinione pubblica americana ha colto
questa inadeguatezza del governo. In tutti i sondaggi
il consenso verso la politica dell’amministrazione
Bush sta crollando. Possiamo dire che il governo americano
si trova di fronte a un evidente calo di popolarità
e di fiducia?
Le reazioni dell’opinione pubblica al modo in
cui il presidente Bush sta gestendo l’emergenza-Katrina
sono state decisamente negative, diciamo che le opinioni
contrarie all’operato del presidente e della sua
amministrazione sono circa il doppio di quelle che giudicano
favorevolmente gli interventi del governo. Questo è
il risultato di impressioni che si sono formate nei
primi giorni del disastro, quando Bush sembrava minimizzare
la seria portata dell’uragano e dei profondi danni
che stava provocando sulla Gulf Coast, così le
sue decisioni e i sui atteggiamenti durante le visite
iniziali alle regioni colpite sono apparsi inadeguati
alla portata di quello che stava accadendo. Inoltre
il presidente è stato attaccato da violente critiche
non solo da parte dell’opinione pubblica, ma anche
dagli stati vittime di Katrina e dai governi locali,
dai Democratici a Washington e dai media. Infine, le
immagini della tv e i servizi di giornalisti che raccontavano
i luoghi del disastro sembravano contraddire le parole
di Bush e dei membri della sua amministrazione che cercavano
di minimizzare l’accaduto. Successivamente, dopo
questo iniziale passo falso, Bush si è mostrato
molto energico nell’affrontare le decisioni da
prendere, ma è molto difficile vincere le prime
impressioni dell’opinione pubblica.
Il presidente, in conseguenza delle polemiche
e delle grandi difficoltà incontrate nel dopo
Katrina, dovrà rivedere la sua politica. È
immaginabile qualche cambiamento anche riguardo all’Iraq?
L’amministrazione Bush spenderà più
soldi, forse gli stanziamenti arriveranno a 200 miliardi
di dollari, per gli aiuti destinati alla ricerca dei
dispersi e per la ricostruzione delle zone colpite dall’uragano.
Questo significa che i principali punti dell’agenda
politica interna del governo (tagli alle tasse, riforma
fiscale, privatizzazione della sicurezza sociale e della
sanità, riforma sull’immigrazione) saranno
necessariamente rimandati se non eliminati del tutto.
Ma non credo che la situazione creata dall’uragano
possa cambiare la politica Usa in Iraq. Al di là
della grande attenzione su Katrina, sugli aiuti e sull’urgenza
della ricostruzione, la pressione dell’opinione
pubblica insiste anche sul successo della strategia
americana in Iraq. Ma ci vorrebbe proprio del coraggio
a ritirare le truppe proprio ora, facendo così
presagire il fallimento del nuovo Iraq.
L’atteggiamento del presidente di
fronte alla tragedia di New Orleans ha destato molto
scalpore anche in Europa. Ci potrebbero essere conseguenze
nei rapporti tra Usa e Unione Europea?
Così come la contestata elezione di Bush nel
2000 e la battuta d’arresto nell’Iraq del
dopo-Saddam, Katrina sembra aver affievolito l’immagine
degli Usa agli occhi dell’opinione pubblica internazionale,
compresa quella europea. È difficile rispettare
l’immagine di una superpotenza che si mostra così
inadeguata e inefficace in momenti così importanti.
Ma, nonostante questa ostilità e questi dissidi,
mi aspetto che gi Stati Uniti e l’Unione Europea
trovino il modo per giungere a una necessaria collaborazione
nei prossimi tre anni della presidenza Bush.
Lei ha scritto in un suo intervento sulle conseguenze
politiche dell’uragano Katrina: “l’assenza
di dissenso tra le élites conduce a una sorta
di risposta consensuale tra il pubblico”. Come
giudica l’atteggiamento dell’opposizione
democratica a Bush sulla questione Katrina? Crede che
il dissenso manifestato verso il presidente porterà
i Democratici a guadagnare maggiore consenso?
I Democratici sono stati molto espliciti e chiari nelle
loro critiche; adesso hanno l’opportunità
di proporre una loro idea di governo, fondata su scelte
concrete e su principi morali, da opporre all’enfasi
con cui i Repubblicani impostano le loro scelte politiche,
tutte basate sulla scelta individuale e sulla ownership
society (un modello sociale ultra liberale che
vede l’individuo il più possibile svincolato
da imposizioni legislative e che auspica la privatizzazione
di gran parte delle dimensioni della società,
dalla sanità alla scuola alle pensioni, ndr).
Resta comunque da dire che non è del tutto ovvio
che i democratici riusciranno a cogliere questa occasione
e allo stesso tempo sapranno proporre una strategia
alternativa per migliorare la nostra sicurezza nazionale.
Staremo a vedere.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|