Sofia
Basso, Pier Luigi Vercesi,
Storia del giornalismo americano,
Mondadori Università, pp. 212, euro 13,90
Giornalismo americano come impresa economica, come
voce dell’opinione pubblica, come risultato e
causa di una stratificazione di ere socio-economiche
e politiche che si sono succedute nell’evoluzione
degli Stati Uniti. Impossibile fornire un’interpretazione
unica: è per questo che Sofia Basso e Pier Luigi
Vercesi (lei veterana de l’Unità,
lui vicedirettore del Tempo e docente universitario
di new media) percorrono la storia dell’America
dai Pilgrim Fathers fino a oggi osservando
per singoli casi il caleidoscopio degli avvenimenti
e dei personaggi che hanno vissuto e operato su questo
immenso territorio che va da costa a costa. Il risultato
è il tracciato efficace del profilo di un giornalismo
pieno di eccessi, violenze, impennate di orgoglio, specchio
della nascita, infanzia, adolescenza e maturità
di un Paese che ha solo due secoli di vita.
Il testo ripercorre la storia del giornalismo americano
dai coffee shop di Boston della fine del 1600,
quando l’idea era solo quella di offrire una “relazione
fedele” degli eventi, soprattutto commerciali,
fino al salotto virtuale di Internet, sede di rivelazioni,
commenti e di un nuovo modo di vivere gli avvenimenti.
I due autori passano in rassegna una storia che inizia
con i balbettii di un neonato: il giornale del Nuovo
Mondo nel 1690 non è che un collage di pezzi
dei quotidiani inglesi, spesso vecchi di settimane,
arricchito da informazioni e pubblicità locali.
Presto però il centro di gravità si sposta
su quella che diventerà una delle funzioni del
giornalismo americano: l’intrattenimento.
Ogni epoca, dalla guerra d’Indipendenza alla
Secessione, lascia un contributo fondamentale alla crescita
del giornalismo. La concezione della stampa come simbolo
della civiltà farà viaggiare i giornalisti
dall’est al “West”, per portare cultura
e informazione nelle nuove cittadine polverose dei cercatori
d’oro e degli agricoltori. Nel frattempo cresce
la sete di informazioni: con l’aprirsi progressivo
di nuovi spazi di libertà e la nascita di strutture
interne, i giornali non sono più dispacci commerciali
per i soli addetti ai lavori, ma veicoli di informazione
per tutti.
Dopo l’epoca della party press, attenta
alla politica ma destinata a un pubblico ristretto,
nascono la penny press e il concetto di notizia
- in breve il giornalismo di massa (nella prima metà
dell’800).
L’ormai sostanziale libertà di stampa,
sconosciuta al Vecchio Continente, permette un ampliamento
della notiziabilità. La cronaca locale della
penny press, urlata dagli strilloni sulla strada
per il newyorkese che, appena alfabetizzato, vuole sapere
di incidenti, delitti, storie d’amore, si accompagna
all’interesse per gli affari pubblici; penne brillanti
scrivono su giornali come il neonato New York Times,
l’Herald e il Sun.
Basso e Vercesi lavorano su tre filoni, intrecciati
con ritmo serrato e godibile. Il racconto dell’evoluzione
del giornalismo si lega agli avvenimenti storici, scorsi
a rapidi tratti attraverso aneddoti raccontati dagli
stessi protagonisti, anima delle testate che hanno popolato
le varie stagioni del giornalismo Usa. Un’attenzione
costante viene dedicata alle evoluzioni della tecnologia,
che hanno permesso lo sviluppo concreto della stampa.
L’avvento del telegrafo, della pressa a vapore
e della carta a cellulosa (e non più a stracci)
diventano la chiave attraverso la quale capire l’epoca
d’oro dei giornali, l’epoca di Joseph Pulitzer
e di William R. Hearst, che vide lo sfondamento del
tetto del milione di copie. La guerra fra il genio dell’immigrato
ungherese e lo yellow journalism dell’imprenditore
californiano sono descritti efficacemente a tratti decisi.
La storia ripercorsa dalla Basso e da Vercesi è
un’altalena continua fra tensione verso l’obiettività
e la serietà e sperimentazione di ogni forma
di sensazionalismo: il giornalismo dello spregiudicato
Hearst e la copertura della Grande Guerra (la migliore
a livello mondiale) sono realtà che, opposte
ma complementari, formano l’identità del
giornalismo made in Usa. Specchio della società,
il giornalismo rilassa la nazione dopo periodi di tensione
e di guerre: lo yellow journalism (che deve
il suo nome alla striscia con le avventure del giovane
Yellow Kid) è il precedente storico del jazz
journalism degli anni ’20, quando il “novanta
per cento intrattenimento e dieci per cento informazione”
incontra l’esigenza di un pubblico stanco di sangue
e di specials degli inviati che ogni giorno hanno descritto
negli anni precedenti distruzione e morte.
Importante tassello nel quadro tracciato dai due giornalisti
è anche l’epoca che vede la nascita del
giornalista muckrakes, lo “scavatore
di fango”, che fa inchieste e denuncia corruzioni
e gravi anomalie. All’inizio del secolo questa
corrente contribuisce all’approvazione delle grandi
riforme, salvando la repubblica dai “baroni ladri”
e restituendola ai cittadini comuni.
L’ultima parte del testo è dedicata all’incontro
fra la robusta tradizione della stampa e la televisione
e, più tardi, il world wide web: il
giornale si reinventa, combatte la guerra contro l’immagine
e vince perché continua a far sognare gli americani.
La Seconda Guerra mondiale con i suoi orrori e i suoi
massacri deve essere dimenticata: tutti i media sono
mobilitati nel sostenere la nuova epoca, che è,
sì, di guerra fredda, ma anche di prosperità,
pace e consumismo. Il giornalismo on-line, sfondando
nuovamente il tetto della notiziabilità, diventa
una voce libera, difficile da imbavagliare e che aggira
la censura sulla guerra, regalando oggi stesso un nuovo
respiro a un’America stretta dal bavaglio dell’informazione
contingentata che dura dall’inizio della campagna
Enduring Freedom.
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