284 - 14.09.05


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Tre secoli di giornali

Marta Rovagna



Sofia Basso, Pier Luigi Vercesi,
Storia del giornalismo americano,
Mondadori Università, pp. 212, euro 13,90

Giornalismo americano come impresa economica, come voce dell’opinione pubblica, come risultato e causa di una stratificazione di ere socio-economiche e politiche che si sono succedute nell’evoluzione degli Stati Uniti. Impossibile fornire un’interpretazione unica: è per questo che Sofia Basso e Pier Luigi Vercesi (lei veterana de l’Unità, lui vicedirettore del Tempo e docente universitario di new media) percorrono la storia dell’America dai Pilgrim Fathers fino a oggi osservando per singoli casi il caleidoscopio degli avvenimenti e dei personaggi che hanno vissuto e operato su questo immenso territorio che va da costa a costa. Il risultato è il tracciato efficace del profilo di un giornalismo pieno di eccessi, violenze, impennate di orgoglio, specchio della nascita, infanzia, adolescenza e maturità di un Paese che ha solo due secoli di vita.

Il testo ripercorre la storia del giornalismo americano dai coffee shop di Boston della fine del 1600, quando l’idea era solo quella di offrire una “relazione fedele” degli eventi, soprattutto commerciali, fino al salotto virtuale di Internet, sede di rivelazioni, commenti e di un nuovo modo di vivere gli avvenimenti.
I due autori passano in rassegna una storia che inizia con i balbettii di un neonato: il giornale del Nuovo Mondo nel 1690 non è che un collage di pezzi dei quotidiani inglesi, spesso vecchi di settimane, arricchito da informazioni e pubblicità locali. Presto però il centro di gravità si sposta su quella che diventerà una delle funzioni del giornalismo americano: l’intrattenimento.

Ogni epoca, dalla guerra d’Indipendenza alla Secessione, lascia un contributo fondamentale alla crescita del giornalismo. La concezione della stampa come simbolo della civiltà farà viaggiare i giornalisti dall’est al “West”, per portare cultura e informazione nelle nuove cittadine polverose dei cercatori d’oro e degli agricoltori. Nel frattempo cresce la sete di informazioni: con l’aprirsi progressivo di nuovi spazi di libertà e la nascita di strutture interne, i giornali non sono più dispacci commerciali per i soli addetti ai lavori, ma veicoli di informazione per tutti.

Dopo l’epoca della party press, attenta alla politica ma destinata a un pubblico ristretto, nascono la penny press e il concetto di notizia - in breve il giornalismo di massa (nella prima metà dell’800).
L’ormai sostanziale libertà di stampa, sconosciuta al Vecchio Continente, permette un ampliamento della notiziabilità. La cronaca locale della penny press, urlata dagli strilloni sulla strada per il newyorkese che, appena alfabetizzato, vuole sapere di incidenti, delitti, storie d’amore, si accompagna all’interesse per gli affari pubblici; penne brillanti scrivono su giornali come il neonato New York Times, l’Herald e il Sun.

Basso e Vercesi lavorano su tre filoni, intrecciati con ritmo serrato e godibile. Il racconto dell’evoluzione del giornalismo si lega agli avvenimenti storici, scorsi a rapidi tratti attraverso aneddoti raccontati dagli stessi protagonisti, anima delle testate che hanno popolato le varie stagioni del giornalismo Usa. Un’attenzione costante viene dedicata alle evoluzioni della tecnologia, che hanno permesso lo sviluppo concreto della stampa. L’avvento del telegrafo, della pressa a vapore e della carta a cellulosa (e non più a stracci) diventano la chiave attraverso la quale capire l’epoca d’oro dei giornali, l’epoca di Joseph Pulitzer e di William R. Hearst, che vide lo sfondamento del tetto del milione di copie. La guerra fra il genio dell’immigrato ungherese e lo yellow journalism dell’imprenditore californiano sono descritti efficacemente a tratti decisi.

La storia ripercorsa dalla Basso e da Vercesi è un’altalena continua fra tensione verso l’obiettività e la serietà e sperimentazione di ogni forma di sensazionalismo: il giornalismo dello spregiudicato Hearst e la copertura della Grande Guerra (la migliore a livello mondiale) sono realtà che, opposte ma complementari, formano l’identità del giornalismo made in Usa. Specchio della società, il giornalismo rilassa la nazione dopo periodi di tensione e di guerre: lo yellow journalism (che deve il suo nome alla striscia con le avventure del giovane Yellow Kid) è il precedente storico del jazz journalism degli anni ’20, quando il “novanta per cento intrattenimento e dieci per cento informazione” incontra l’esigenza di un pubblico stanco di sangue e di specials degli inviati che ogni giorno hanno descritto negli anni precedenti distruzione e morte.

Importante tassello nel quadro tracciato dai due giornalisti è anche l’epoca che vede la nascita del giornalista muckrakes, lo “scavatore di fango”, che fa inchieste e denuncia corruzioni e gravi anomalie. All’inizio del secolo questa corrente contribuisce all’approvazione delle grandi riforme, salvando la repubblica dai “baroni ladri” e restituendola ai cittadini comuni.

L’ultima parte del testo è dedicata all’incontro fra la robusta tradizione della stampa e la televisione e, più tardi, il world wide web: il giornale si reinventa, combatte la guerra contro l’immagine e vince perché continua a far sognare gli americani. La Seconda Guerra mondiale con i suoi orrori e i suoi massacri deve essere dimenticata: tutti i media sono mobilitati nel sostenere la nuova epoca, che è, sì, di guerra fredda, ma anche di prosperità, pace e consumismo. Il giornalismo on-line, sfondando nuovamente il tetto della notiziabilità, diventa una voce libera, difficile da imbavagliare e che aggira la censura sulla guerra, regalando oggi stesso un nuovo respiro a un’America stretta dal bavaglio dell’informazione contingentata che dura dall’inizio della campagna Enduring Freedom.

 

 

 

 

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