La decisione
di Eurozine di pubblicare sul proprio sito
l’intero testo della Declaration on the obligation
of the state of Serbia, emanata da otto organizzazioni
non governative di Belgrado, rappresenta un importante
riconoscimento internazionale dei nostri sforzi unitari
per scoprire e rendere pubblica la verità riguardo
i crimini di massa commessi nella ex Jugoslavia e, in
particolare, in Bosnia ed Erzegovina. In occasione del
decimo anniversario del massacro di Srebrenica è
nostro obbligo politico e morale fondamentale prendere
una posizione chiara contro le terrificanti dimensioni
del delitto e la grandezza della catastrofe provocata
e commessa dalla fazione serba.
Oggi è evidente come negare il passato criminale
porti, in tutte le aree della ex Jugoslavia e, in particolare,
in Serbia e Montenegro, solo al prolungamento dell’esclusione
internazionale e dell’agonia interna. Affrontare
apertamente e senza ambiguità la responsabilità
collettiva rappresenta una precondizione essenziale
per il rinnovamento della sovranità morale senza
la quale Serbia e Montenegro non riusciranno a riconquistare
la propria reputazione politica né la propria
dignità internazionale.
Il genocidio di Srebrenica e il memoriale di Potocari,
che è stato innalzato a ricordo permanente degli
orrori dello sterminio di massa che ha avuto luogo in
Bosnia ed Erzegovina, sono divenuti misura decisiva
del confronto auto-correttivo con il nostro passato
criminale.
Per riuscire a comprendere le ragioni costitutive della
Dichiarazione, sottoposta all’Assemblea
Nazionale della Repubblica Serba, bisognerebbe tenere
bene a mente le circostanze che, in Serbia, hanno determinato
la negazione organizzata dei crimini e, peggio ancora,
l’arrogante auto-giustificazione del massacro
collettivo di Srebrenica. La strategia di questa vergognosa
negazione dei crimini di guerra commessi dalla fazione
serba è stata al centro della nostra perdurante
incapacità di affrontare in maniera responsabile
gli orrori del nostro passato più recente. Per
lungo tempo, la comunità politica ha vissuto
sotto un tabù, messa in croce tra la propria
colpa, la vergogna e la lealtà. L’inerzia
politica e lo stupore morale sono solo i sintomi di
una mancata liberazione da un passato agghiacciante
che ha privato numerose generazioni serbe e montenegrine
della propria autostima. Lo Stato e la società
serba sono stati riluttanti nell’accettare che
il processo di costruzione della democrazia dopo la
caduta di Milosevic¹ fosse inseparabilmente collegato
alla riflessione pubblica sulla colpevolezza serba.
In una forma estrema di negazione del proprio passato
criminale, gli orribili delitti compiuti nella ex Jugoslavia
durante gli scontri armati sono stati seppelliti dal
silenzio e in silenzio. È in risposta a questo
silenzio che la nostra rete di organizzazioni non governative
è stata costretta ad avventurarsi in polemiche
pubbliche spesso rischiose sull’occultamento dei
fatti organizzato e diretto dallo Stato e sull’autoinganno
e la menzogna spudorata. Abbiamo esercitato pressioni
sul governo serbo, sui politici, sui funzionari governativi
e sull’opinione pubblica per avviare il confronto,
a lungo posposto, con un passato traumatico pieno di
ingiustizie e bugie.
Nel muro del soffocamento della colpa, vergognoso ma
cosciente, emergono qua e là, senza controllo,
crepe sporadiche, proprio come di tanto in tanto vengono
tirati fuori dal Danubio autocarri affondati mentre
trasportavano i corpi di civili albanesi morti. Ma la
punizione per la nostra realtà criminale è
stata spietata: l’emotivamente fragile comunità
della Serbia e del Montenegro ha iniziato ad affrontare
il proprio passato criminale.
A dieci anni dalla strage di Srebrenica, quasi metà
della popolazione serba è pronta ad accettare
l’idea che i sospettati per crimini di guerra
debbano essere processati, anche se la diffidenza e
la sfiducia nelle istituzioni e nei meccanismi della
giustizia internazionale (rappresentata dal Tribunale
Criminale Internazionale per la ex Jugoslavia) sono
ancora ampiamente diffuse. Tuttavia il livello di consapevolezza
della responsabilità istituzionale per i crimini
di guerra è ancora estremamente basso: in Serbia
e Montenegro la maggioranza dei cittadini non è
ancora pronta ad affrontare il fatto che lo stato serbo
– l’unico guardiano della legge –
possa avere perpetrato crimini così mostruosi.
Nonostante i numerosi ostacoli, la consapevolezza della
responsabilità collettiva è andata gradualmente
crescendo. La diffusione, lo scorso giugno, di un documentario
video (andato in onda su numerosi canali televisivi
serbi, compresa la televisione nazionale) che mostrava
sei civili musulmani mentre venivano massacrati dalle
forze di polizia serbe nei pressi di Srebrenica, ha
contribuito in maniera significativa a far cadere l’ultimo
tabù che proteggeva l’opinione pubblica
serba e le impediva di comprendere appieno la gravità
dei crimini commessi. Questi delitti sono stati compiuti
non solo in nostro nome, ma da noi stessi.
Dopo la visione pubblica del documentario sulla tragedia
di Srebrenica, l’autoillusione collettiva, che
aveva aiutato i serbi a definirsi vittime innocenti,
è stata finalmente ridotta in frantumi. È
stato proprio questo video a dare il via alla valanga
di interrogativi che ha messo in dubbio il fondamentale
consenso nazionalistico dello Stato e della società
serbi. Una discussione approfondita ed esauriente sull’autopercezione
politica, legale e morale della società serba
non può attendere oltre.
Solo pochi giorni prima della messa in onda del video,
la Dichiarazione, a lungo preparata, era stata
trasmessa al Parlamento serbo. Benché il contenuto
della Dichiarazione sia il risultato di uno sforzo collettivo,
vorrei sottolineare che il professore Nenad Dimitrijevic,
sicuramente uno dei maggiori esperti in materia di giustizia
transitoria nella ex Jugoslavia, ha fornito l’argomentazione
politica e legale più competente possibile. In
linea con le nostre aspettative iniziali, la Dichiarazione
ha provocato un panico immediato nelle élites
politiche serbe. Per presunti motivi procedurali, la
Dichiarazione è stata respinta; nel
frattempo, i membri del Parlamento si sono dimostrati
incapaci di redigere una dichiarazione ufficiale il
cui scopo principale fosse quello di condannare il crimine
di guerra commesso a Srebrenica. Ancora una volta, la
mancanza di volontà politica e di risolutezza
morale hanno compromesso l’intero Stato della
Serbia. Benché fin dall’inizio fossimo
tutti consapevoli che il passato nazionalistico non
possa essere “depurato” e la normalità
della nazione restaurata, abbiamo chiesto che lo Stato
prendesse una posizione ufficiale chiara contro tutte
le istituzioni criminali che ha ereditato dopo la caduta
di Milosevic¹.
In risposta all’incapacità del Parlamento
di raggiungere un accordo sulla dichiarazione ufficiale
sul genocidio di Srebrenica c’è stata una
bizzarra inflazione di dichiarazioni. Lo scorso giugno
tutti i partiti politici, le organizzazioni e le istituzioni
serbe più importanti hanno infatti offerto la
propria versione politica della Dichiarazione.
C’è stata una irresponsabile e inappropriata
esplosione di dichiarazioni volte a una neutralizzazione
definitiva del massacro di Srebrenica che portasse,
alla fine, alla vergognosa equiparazione di tutti i
crimini commessi nella ex Jugoslavia. È sembrato
che stessimo entrando nella seconda fase della politica
nazionale di negazione del passato criminale.
A differenza del Parlamento serbo, che ancora osa dimostrare
una irragionevole noncuranza verso le ipoteche morali
di un passato vergognoso, il Consiglio dei Ministri
di Serbia e Montenegro ha condannato con fermezza e
decisione il crimine di Srebrenica. Si tratta di politici
che hanno affrontato con forza i nazionalisti coinvolti
nella pulizia etnica, reato che ancora una volta ha
fatto meritare alla Serbia il disprezzo internazionale.
Ma la lobby nazionalista serba non era ancora pronta
a spogliare i sospettati di crimini di guerra della
loro dozzinale maschera di orgoglio nazionale.
La Srebrenica Resolution – Call
for remembrance, approvata dal Senato statunitense,
come anche la Srebrenica Resolution adottata
dall’Unione Europea, dovrebbero essere lette come
un chiaro messaggio politico. La comunità mondiale
è unita nella sua condanna del genocidio di Srebrenica:
dopo le risoluzioni americana ed europea, è ingenuo
credere che la verità su questo crimine possa
restare nascosta. È particolarmente irresponsabile
da parte nostra sperare di potere eludere la responsabilità
come logica conseguenza di un crimine garantito dallo
Stato. La giustizia legale, politica e storica può
compiersi solo a condizione che noi seguiamo con coerenza
il principio universale espresso da Hannah Arendt: “I
nazisti non furono processati per avere commesso crimini
contro il popolo ebraico, ma per crimini contro l’umanità
compiuti contro gli ebrei”.
Infine, vorrei sottolineare che tutte le informazioni
rilevanti relative ai delitti di Srebrenica (dal video
e dai manifesti affissi nelle città serbe, fino
ai libri, ai giornali, ai testi, alla dichiarazioni)
derivano da questo tentativo coraggioso da parte delle
otto Ong. Così, non sorprende affatto che qualche
giorno fa il direttore della Agenzia per la Sicurezza
e l’Informazione abbia annunciato pubblicamente
che “la polizia sta seguendo da vicino il lavoro
di molte organizzazioni non governative in Serbia”.
Queste minacce non ci indurranno a un ripensamento.
Noi continueremo ad avvertire l’opinione pubblica
che qualsiasi arrendevolezza nei confronti dei criminali
di guerra ha in sé il potenziale per rimettere
in moto la ruota dell’orrore.
Belgrado, 7 luglio 2005
(Traduzione di Martina Toti)
Leggi la versione integrale della Declaration
on the obligation of the state of Serbia.
La versione originale di questo articolo è
apparsa sul
“Belgrade Circle Journal”
© Obrad Savic
© Eurozine
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|