L’articolo
che segue è tratto dalla rivista Reset
, numero 90, Luglio-Agosto 2005.
Nonostante la firma del Trattato costituzionale, avvenuta
a Roma il 29 ottobre 2004 da parte di venticinque capi
di Stato e di governo, il progetto di Europa unita come
entità sovranazionale, composta da quasi cinquecento
milioni di cittadini, si trova oggi davanti più
ad incertezze che a sicurezze, come testimoniano i recenti
referendum negativi di Francia e Germania. Il continente
appare smarrito e disorientato sulla sua stessa identità
e, conseguentemente, sul suo futuro di fronte al crescente
peso dei giganti americani e asiatici (reali e potenziali)
nel quadro di una globalizzazione che sta rivoluzionando
gli assetti finora consolidati nel mondo. L’integrazione
europea è davanti al bivio tra inesorabile declino
e futuro migliore, è sospesa in bilico tra possibilità
di consolidamento e rischio di sgretolamento, tra la
speranza e il cinismo, le certezze e le insicurezze
che si riflettono nella vita quotidiana dei cittadini
europei di oggi. All’Europa incerta delle istituzioni
corrisponde un’Europa dei cittadini poco amata.
La firma del Trattato costituzionale europeo ha evidenziato,
per un verso, la delusione degli euroconvinti, o euroentusiasti,
che reclamano più Europa e, per un altro, l’allarme
degli euroscettici, o eurostili, che rivendicano meno
Europa per la tutela degli interessi nazionali e/o la
salvaguardia esasperata e rassicurante delle identità
locali.
In questi anni il senso forte dell’europeismo
si è andato perdendo, o offuscando, soprattutto
a causa delle nuove incertezze indotte dalle trasformazioni
del mondo avvenute negli ultimi decenni, che hanno prodotto
una crisi di identità e messo in dubbio il senso
stesso dell’Unione. L’Europa così
è diventata un’idea, più o meno
astratta, del ceto politico e intellettuale che non
suscita l’interesse e non sprigiona lo slancio
europeista della masse dei cittadini. In questo senso,
tornano ad alimentarsi visioni diverse e contrastanti
dell’Europa nell’opinione pubblica, che
si interroga su che cosa vuole rappresentare e quali
traguardi intende raggiungere il processo di integrazione
europea. È chiaro che la fiducia dei cittadini
in questo processo dipende dalla capacità della
classe dirigente nel suo insieme di superare la stanca
retorica europeista e di dare risposte convincenti agli
interrogativi di fondo: che cosa vuole essere e che
cosa vuole fare l’Europa per se stessa e per il
mondo?
In quest’ordine di idee, la scuola non può
sottrarsi al compito di individuare e promuovere le
ragioni per essere a favore della costruzione dell’Europa
unita da parte delle nuove generazioni, ponendo al centro
la ricerca dell’identità europea come fattore
culturale e come valore partecipato. Si tratta, quindi,
di avvicinare e motivare i cittadini più giovani
a sostenere l’ideale europeo e a farne degli europei
convinti sulla base di una solida coscienza europeista.
Naturalmente, il compito di «fare gli europei»
non spetta solo alla scuola, ma anche alle istituzioni,
alle libere associazioni, ai mass-media, etc. Tuttavia
la scuola in modo particolare è chiamata ad elaborare
e realizzare proposte di educazione all’Europa,
specificando il perché e il come
mettere al centro della formazione scolastica dei ragazzi
e dei giovani l’identità europea. Per fare
ciò ci vuole un progetto pedagogico che sviluppi
una forte consapevolezza e un’intensa partecipazione
a partire dall’identificazione di alcuni valori
essenziali e dalla conoscenza delle ragioni positive
dello stare uniti nell’Europa condivisa, come
risposta ai problemi e alle inquietudini che hanno origine
nel mondo globalizzato e che pongono la necessità
di costruire un’Unione capace di incidere positivamente
al suo interno e oltre i suoi confini. Diversamente
la decadenza dell’Europa diventerà inesorabile
e inarrestabile, a scapito delle generazioni future,
degli europei di domani.
Limitare le sovranità nazionali
La linea che propongo di seguire in questo progetto
generale è, dunque, quella di partire dai valori
dell’etica pubblica per fissare gli indicatori
essenziali di un lessico etico-civile ai quali ancorare
la fiducia nel futuro dell’Europa unita come condizione
per affrontare i rischi del cambiamento e per costruire
un futuro migliore per gli europei e, più in
generale, per i cittadini del mondo. In questo senso,
al centro della coscienza europeista è necessario
porre il valore della pace, che è stato l’obiettivo
principale dei padri dell’europeismo (Spinelli,
Monnet, Schuman, etc.), finalizzato ad eliminare la
guerra che nella storia ha insanguinato i rapporti tra
gli Stati europei, fino ai cinquanta milioni di morti
della seconda guerra mondiale. Ora, non si può
non constatare che sotto questo profilo l’obiettivo
di cercare una strada diversa dalla guerra è
stato realizzato costruendo un percorso di collaborazione
per dare pace all’Europa e al mondo.
Ma per evitare che le guerre si ripetano sotto altre
forme bisogna superare o limitare le sovranità
nazionali e gli interessi locali potenziando quell’identità
comune che ha garantito la lunga pace della seconda
metà del Novecento. Il consolidamento della pacificazione
interna può trasformare l’Europa in un
fattore globale di pace e di sicurezza nel mondo per
costruire un nuovo ordine mondiale dopo la rottura dell’equilibrio
bipolare tra le superpotenze Usa e Urss, e anche a seguito
dell’irruzione del fondamentalismo islamico e
del terrorismo internazionale.
Dunque, la realizzazione di una convivenza pacifica
presuppone la composizione degli interessi particolari
tra gli Stati attraverso la crescita dell’integrazione
comunitaria, che costituisce il secondo grande
pilastro della coscienza etica europeista da sviluppare
nella formazione giovanile. Tuttavia, quello dell’integrazione
è un processo dinamico e graduale, nel senso
che il modello europeo dell’«unità
nella diversità» affermato dalla Costituzione
è ancora molto lontano dalla realizzazione del
sistema federale auspicato da Altiero Spinelli. Resta
aperto il problema cruciale se come cittadini europei
aspiriamo ad una federazione ispirata alla visione comunitaria,
oppure più semplicemente ad un’interazione
degli interessi nazionali ed europei fondata sul metodo
intergovernativo e regolato dal principio di sussidiarietà,
che è stato posto dal Trattato di Maastricht
e confermato dalla nuova Costituzione, la quale ha introdotto
una serie di innovazioni che non vanno sottovalutate.
Tuttavia, le istituzioni europee configurate secondo
un modello «multilivello» (Amato) restano
una costruzione di difficile interpretazione da parte
dei cittadini (se non dagli addetti ai lavori) e pongono
la necessità del passaggio verso uno Stato federale
vero e proprio, come nuovo sistema politico-istituzionale,
integrato non solo su scala europea (consolidamento
e allargamento), ma anche in scala mondiale (rapporti
con gli altri grandi come Usa, Russia, Giappone, Cina,
etc. e con i paesi del Terzo Mondo): una prospettiva
capace di coniugare democrazia e mondializzazione.
Allargare la partecipazione
La democrazia costituisce un altro caposaldo
valoriale della formazione dei giovani, preparati ad
essere cittadini competenti e responsabili, pronti ad
esercitare attivamente la propria cittadinanza. In questo
senso, vanno riconosciuti lo sforzo innovativo della
Costituzione e il tasso di democraticità che
da essa emana. Infatti, la nuova Europa si fonda sulla
doppia legittimazione democratica, quella degli Stati
membri e quella dei cittadini, in quanto le leggi sono
approvate sia dal Consiglio sia dal parlamento, organi
che rappresentano rispettivamente gli Stati e i cittadini.
L’organizzazione democratica dell’Europa
delle istituzioni pone al centro l’integrazione
tra gli organismi eletti dai cittadini (parlamento)
e quelli non scelti dai cittadini (Commissione, Consiglio,
Corte di giustizia, etc.). La regola di base per il
funzionamento di questi apparati complessi è
quella del negoziato, che diventa tanto più difficile
da applicare quanto più l’Europa si allarga.
In questa condizione, lo sforzo di trovare soluzioni
comuni secondo il vincolo di proporzionalità
spesso si è risolto e continua a concludersi
nel compromesso al ribasso. La conseguenza di questa
prassi realistica è il progressivo allontanamento
dall’Europa dei cittadini, i quali percepiscono
le regolazioni del metodo decisionale intergovernativo
come un’autorità lontana dai problemi reali.
Perciò, allargare la costruzione della nuova
Unione alla più ampia partecipazione dei cittadini,
per avvicinare l’Europa ai suoi popoli, costituisce
la sfida del Trattato costituzionale come capacità
di sviluppare maggiore vitalità democratica,
nel senso di dare all’Europa più trasparenza
e maggiore possibilità di esprimere unità
mantenendo le ragioni valide della diversità,
come condizione perché in futuro la democrazia
si affermi nella dimensione mondiale, nel segno della
responsabilità verso le nuove e future generazioni.
La validità e l’efficacia dell’educazione
all’Europa è misurata, quindi, anche dalla
capacità di proiettarci nel mondo come educazione
alla mondializzazione. Per la soluzione delle
questioni attinenti all’ambiente e alla vivibilità
del pianeta, allo squilibrio tra ricchezza e povertà,
alla persistenza delle malattie e dell’analfabetismo,
etc., che non possono essere affrontate se non nella
dimensione mondiale. La quale, tuttavia, a causa della
competizione globale, produce smarrimento e paura, spingendo
a difendere il benessere conquistato più che
ad affrontare le condizioni nuove della società
del rischio (Beck) e dell’incertezza (Bauman).
È chiaro che senza la forza di stare in termini
nuovi nel contesto più ampio del mondo, la civiltà
europea è destinata ad esaurirsi progressivamente
e ad andare verso un inevitabile declino. Tale potenziale
novità è misurata da diversi indicatori,
come la politica del lavoro a favore delle nuove generazioni
nel quadro della delocalizzazione delle produzioni;
la politica di modernizzazione del sistema produttivo
incentrata sulla ricerca e le nuove tecnologie; la politica
estera comune capace di interagire con i giganti internazionali
come «forza gentile» (Padoa-Schioppa), o
«potenza civile» (Rusconi e Telò),
per far pesare nel mondo la forza di una virtuosa geopolitica
globale; la politica sociale dell’inclusione e
della convivenza multietnica per imparare a vivere con
chi viene da paesi lontani.
Insomma, nel mondo globalizzato l’Europa si trova
davanti problemi sempre più complessi (clima,
produzione, immigrazione, etc.), la cui soluzione dipende
sempre meno dalle politiche dei singoli Stati e sempre
più dalle decisioni comunitarie e dalla capacità
di esercitare le responsabilità dell’Europa
nel mondo per migliorarlo. In quest’ottica, l’educazione
alla cittadinanza europea si alimenta di processi e
percorsi di educazione alla pace, alla democrazia, al
comunitarismo, all’interculturalità, alla
mondializzazione, allo sviluppo umano e sostenibile,
etc., per promuovere su scala universale i valori e
i principi dell’europeismo migliore.
Storia, economia, diritto e non solo
Nei prossimi due anni, presumibilmente entro il 2006,
la sorte dell’Unione Europea sarà definita
dall’esito della ratifica parlamentare o referendaria
della Carta costituzionale. Quello che è certo
è che i cittadini non possono stare a guardare
lo svolgersi degli eventi. Ai ragazzi e ai giovani vanno
offerte occasioni di conoscenza per sviluppare competenze
e comportamenti adeguati attraverso le discipline scolastiche,
aprendole alle tematiche europeiste. Innanzitutto, va
valorizzata la storia per scoprire le radici
dell’identità comune e i confini della
civiltà europea (attraverso il ricco e complesso
dibattito storiografico che si è sviluppato negli
anni), con particolare riferimento al percorso accidentato
dell’integrazione nei cinquant’anni appena
trascorsi.
Nell’esperienza storica rientra anche l’unificazione
economica come fusione degli interessi specifici (fino
al salto di qualità della moneta unica), che
oggi si trova davanti alla sfida della modernizzazione
competitiva nel vasto scenario mondiale e che pone il
problema di quale sia il ruolo dell’Europa nell’economia
globalizzata e quale sia la strada per evitare il declino
economico. L’insegnamento dell’economia
è in genere affiancato a quello del diritto,
che consente di conoscere le trasformazioni dell’assetto
istituzionale europeo e di capire le ragioni che hanno
spinto l’Europa a darsi una Carta costituzionale,
di cui vanno rimarcate le novità e i limiti,
soprattutto in riferimento al modello dello Stato federale,
la cui realizzazione comunque costituisce un obiettivo
ancora molto lontano, che forse non verrà mai
raggiunto se si consoliderà il modello della
«Costituzione senza Stato» (Habermas e Marramao).
Va sottolineato, tuttavia, che l’identità
europea non è solamente un fatto ecomomico e
giuridico, ma costituisce soprattutto un’espressione
culturale che deve coinvolgere tutte le discipline del
curricolo (comprese quindi la letteratura, la filosofia,
le lingue, le scienze, le tecnologie, le arti, la religione,
etc.), che vanno ricomposte progettualmente in specifiche
aree pluridisciplinari per affrontare le questioni complesse
attraverso il confronto e il dialogo tra le culture.
Questo è, forse, l’unico modo per coltivare
«il sogno europeo» (Rifkin) nei giovani,
che costituiscono la grande speranza dell’integrazione
europea. Essi sono, infatti, la prima «generazione
Ue», o «eurogeneration», proiettata
nella dimensione mondiale: questa nuova generazione
vuole avere voce per decidere sul futuro dell’Europa
e su quello del mondo, quindi sul proprio futuro.
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