284 - 14.09.05


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E se insegnassimo
l’Europa a scuola?

Giuseppe Deiana



L’articolo che segue è tratto dalla rivista Reset , numero 90, Luglio-Agosto 2005.

Nonostante la firma del Trattato costituzionale, avvenuta a Roma il 29 ottobre 2004 da parte di venticinque capi di Stato e di governo, il progetto di Europa unita come entità sovranazionale, composta da quasi cinquecento milioni di cittadini, si trova oggi davanti più ad incertezze che a sicurezze, come testimoniano i recenti referendum negativi di Francia e Germania. Il continente appare smarrito e disorientato sulla sua stessa identità e, conseguentemente, sul suo futuro di fronte al crescente peso dei giganti americani e asiatici (reali e potenziali) nel quadro di una globalizzazione che sta rivoluzionando gli assetti finora consolidati nel mondo. L’integrazione europea è davanti al bivio tra inesorabile declino e futuro migliore, è sospesa in bilico tra possibilità di consolidamento e rischio di sgretolamento, tra la speranza e il cinismo, le certezze e le insicurezze che si riflettono nella vita quotidiana dei cittadini europei di oggi. All’Europa incerta delle istituzioni corrisponde un’Europa dei cittadini poco amata. La firma del Trattato costituzionale europeo ha evidenziato, per un verso, la delusione degli euroconvinti, o euroentusiasti, che reclamano più Europa e, per un altro, l’allarme degli euroscettici, o eurostili, che rivendicano meno Europa per la tutela degli interessi nazionali e/o la salvaguardia esasperata e rassicurante delle identità locali.

In questi anni il senso forte dell’europeismo si è andato perdendo, o offuscando, soprattutto a causa delle nuove incertezze indotte dalle trasformazioni del mondo avvenute negli ultimi decenni, che hanno prodotto una crisi di identità e messo in dubbio il senso stesso dell’Unione. L’Europa così è diventata un’idea, più o meno astratta, del ceto politico e intellettuale che non suscita l’interesse e non sprigiona lo slancio europeista della masse dei cittadini. In questo senso, tornano ad alimentarsi visioni diverse e contrastanti dell’Europa nell’opinione pubblica, che si interroga su che cosa vuole rappresentare e quali traguardi intende raggiungere il processo di integrazione europea. È chiaro che la fiducia dei cittadini in questo processo dipende dalla capacità della classe dirigente nel suo insieme di superare la stanca retorica europeista e di dare risposte convincenti agli interrogativi di fondo: che cosa vuole essere e che cosa vuole fare l’Europa per se stessa e per il mondo?

In quest’ordine di idee, la scuola non può sottrarsi al compito di individuare e promuovere le ragioni per essere a favore della costruzione dell’Europa unita da parte delle nuove generazioni, ponendo al centro la ricerca dell’identità europea come fattore culturale e come valore partecipato. Si tratta, quindi, di avvicinare e motivare i cittadini più giovani a sostenere l’ideale europeo e a farne degli europei convinti sulla base di una solida coscienza europeista. Naturalmente, il compito di «fare gli europei» non spetta solo alla scuola, ma anche alle istituzioni, alle libere associazioni, ai mass-media, etc. Tuttavia la scuola in modo particolare è chiamata ad elaborare e realizzare proposte di educazione all’Europa, specificando il perché e il come mettere al centro della formazione scolastica dei ragazzi e dei giovani l’identità europea. Per fare ciò ci vuole un progetto pedagogico che sviluppi una forte consapevolezza e un’intensa partecipazione a partire dall’identificazione di alcuni valori essenziali e dalla conoscenza delle ragioni positive dello stare uniti nell’Europa condivisa, come risposta ai problemi e alle inquietudini che hanno origine nel mondo globalizzato e che pongono la necessità di costruire un’Unione capace di incidere positivamente al suo interno e oltre i suoi confini. Diversamente la decadenza dell’Europa diventerà inesorabile e inarrestabile, a scapito delle generazioni future, degli europei di domani.

Limitare le sovranità nazionali

La linea che propongo di seguire in questo progetto generale è, dunque, quella di partire dai valori dell’etica pubblica per fissare gli indicatori essenziali di un lessico etico-civile ai quali ancorare la fiducia nel futuro dell’Europa unita come condizione per affrontare i rischi del cambiamento e per costruire un futuro migliore per gli europei e, più in generale, per i cittadini del mondo. In questo senso, al centro della coscienza europeista è necessario porre il valore della pace, che è stato l’obiettivo principale dei padri dell’europeismo (Spinelli, Monnet, Schuman, etc.), finalizzato ad eliminare la guerra che nella storia ha insanguinato i rapporti tra gli Stati europei, fino ai cinquanta milioni di morti della seconda guerra mondiale. Ora, non si può non constatare che sotto questo profilo l’obiettivo di cercare una strada diversa dalla guerra è stato realizzato costruendo un percorso di collaborazione per dare pace all’Europa e al mondo. Ma per evitare che le guerre si ripetano sotto altre forme bisogna superare o limitare le sovranità nazionali e gli interessi locali potenziando quell’identità comune che ha garantito la lunga pace della seconda metà del Novecento. Il consolidamento della pacificazione interna può trasformare l’Europa in un fattore globale di pace e di sicurezza nel mondo per costruire un nuovo ordine mondiale dopo la rottura dell’equilibrio bipolare tra le superpotenze Usa e Urss, e anche a seguito dell’irruzione del fondamentalismo islamico e del terrorismo internazionale.

Dunque, la realizzazione di una convivenza pacifica presuppone la composizione degli interessi particolari tra gli Stati attraverso la crescita dell’integrazione comunitaria, che costituisce il secondo grande pilastro della coscienza etica europeista da sviluppare nella formazione giovanile. Tuttavia, quello dell’integrazione è un processo dinamico e graduale, nel senso che il modello europeo dell’«unità nella diversità» affermato dalla Costituzione è ancora molto lontano dalla realizzazione del sistema federale auspicato da Altiero Spinelli. Resta aperto il problema cruciale se come cittadini europei aspiriamo ad una federazione ispirata alla visione comunitaria, oppure più semplicemente ad un’interazione degli interessi nazionali ed europei fondata sul metodo intergovernativo e regolato dal principio di sussidiarietà, che è stato posto dal Trattato di Maastricht e confermato dalla nuova Costituzione, la quale ha introdotto una serie di innovazioni che non vanno sottovalutate. Tuttavia, le istituzioni europee configurate secondo un modello «multilivello» (Amato) restano una costruzione di difficile interpretazione da parte dei cittadini (se non dagli addetti ai lavori) e pongono la necessità del passaggio verso uno Stato federale vero e proprio, come nuovo sistema politico-istituzionale, integrato non solo su scala europea (consolidamento e allargamento), ma anche in scala mondiale (rapporti con gli altri grandi come Usa, Russia, Giappone, Cina, etc. e con i paesi del Terzo Mondo): una prospettiva capace di coniugare democrazia e mondializzazione.

Allargare la partecipazione

La democrazia costituisce un altro caposaldo valoriale della formazione dei giovani, preparati ad essere cittadini competenti e responsabili, pronti ad esercitare attivamente la propria cittadinanza. In questo senso, vanno riconosciuti lo sforzo innovativo della Costituzione e il tasso di democraticità che da essa emana. Infatti, la nuova Europa si fonda sulla doppia legittimazione democratica, quella degli Stati membri e quella dei cittadini, in quanto le leggi sono approvate sia dal Consiglio sia dal parlamento, organi che rappresentano rispettivamente gli Stati e i cittadini. L’organizzazione democratica dell’Europa delle istituzioni pone al centro l’integrazione tra gli organismi eletti dai cittadini (parlamento) e quelli non scelti dai cittadini (Commissione, Consiglio, Corte di giustizia, etc.). La regola di base per il funzionamento di questi apparati complessi è quella del negoziato, che diventa tanto più difficile da applicare quanto più l’Europa si allarga. In questa condizione, lo sforzo di trovare soluzioni comuni secondo il vincolo di proporzionalità spesso si è risolto e continua a concludersi nel compromesso al ribasso. La conseguenza di questa prassi realistica è il progressivo allontanamento dall’Europa dei cittadini, i quali percepiscono le regolazioni del metodo decisionale intergovernativo come un’autorità lontana dai problemi reali. Perciò, allargare la costruzione della nuova Unione alla più ampia partecipazione dei cittadini, per avvicinare l’Europa ai suoi popoli, costituisce la sfida del Trattato costituzionale come capacità di sviluppare maggiore vitalità democratica, nel senso di dare all’Europa più trasparenza e maggiore possibilità di esprimere unità mantenendo le ragioni valide della diversità, come condizione perché in futuro la democrazia si affermi nella dimensione mondiale, nel segno della responsabilità verso le nuove e future generazioni.

La validità e l’efficacia dell’educazione all’Europa è misurata, quindi, anche dalla capacità di proiettarci nel mondo come educazione alla mondializzazione. Per la soluzione delle questioni attinenti all’ambiente e alla vivibilità del pianeta, allo squilibrio tra ricchezza e povertà, alla persistenza delle malattie e dell’analfabetismo, etc., che non possono essere affrontate se non nella dimensione mondiale. La quale, tuttavia, a causa della competizione globale, produce smarrimento e paura, spingendo a difendere il benessere conquistato più che ad affrontare le condizioni nuove della società del rischio (Beck) e dell’incertezza (Bauman). È chiaro che senza la forza di stare in termini nuovi nel contesto più ampio del mondo, la civiltà europea è destinata ad esaurirsi progressivamente e ad andare verso un inevitabile declino. Tale potenziale novità è misurata da diversi indicatori, come la politica del lavoro a favore delle nuove generazioni nel quadro della delocalizzazione delle produzioni; la politica di modernizzazione del sistema produttivo incentrata sulla ricerca e le nuove tecnologie; la politica estera comune capace di interagire con i giganti internazionali come «forza gentile» (Padoa-Schioppa), o «potenza civile» (Rusconi e Telò), per far pesare nel mondo la forza di una virtuosa geopolitica globale; la politica sociale dell’inclusione e della convivenza multietnica per imparare a vivere con chi viene da paesi lontani.

Insomma, nel mondo globalizzato l’Europa si trova davanti problemi sempre più complessi (clima, produzione, immigrazione, etc.), la cui soluzione dipende sempre meno dalle politiche dei singoli Stati e sempre più dalle decisioni comunitarie e dalla capacità di esercitare le responsabilità dell’Europa nel mondo per migliorarlo. In quest’ottica, l’educazione alla cittadinanza europea si alimenta di processi e percorsi di educazione alla pace, alla democrazia, al comunitarismo, all’interculturalità, alla mondializzazione, allo sviluppo umano e sostenibile, etc., per promuovere su scala universale i valori e i principi dell’europeismo migliore.

Storia, economia, diritto e non solo

Nei prossimi due anni, presumibilmente entro il 2006, la sorte dell’Unione Europea sarà definita dall’esito della ratifica parlamentare o referendaria della Carta costituzionale. Quello che è certo è che i cittadini non possono stare a guardare lo svolgersi degli eventi. Ai ragazzi e ai giovani vanno offerte occasioni di conoscenza per sviluppare competenze e comportamenti adeguati attraverso le discipline scolastiche, aprendole alle tematiche europeiste. Innanzitutto, va valorizzata la storia per scoprire le radici dell’identità comune e i confini della civiltà europea (attraverso il ricco e complesso dibattito storiografico che si è sviluppato negli anni), con particolare riferimento al percorso accidentato dell’integrazione nei cinquant’anni appena trascorsi.

Nell’esperienza storica rientra anche l’unificazione economica come fusione degli interessi specifici (fino al salto di qualità della moneta unica), che oggi si trova davanti alla sfida della modernizzazione competitiva nel vasto scenario mondiale e che pone il problema di quale sia il ruolo dell’Europa nell’economia globalizzata e quale sia la strada per evitare il declino economico. L’insegnamento dell’economia è in genere affiancato a quello del diritto, che consente di conoscere le trasformazioni dell’assetto istituzionale europeo e di capire le ragioni che hanno spinto l’Europa a darsi una Carta costituzionale, di cui vanno rimarcate le novità e i limiti, soprattutto in riferimento al modello dello Stato federale, la cui realizzazione comunque costituisce un obiettivo ancora molto lontano, che forse non verrà mai raggiunto se si consoliderà il modello della «Costituzione senza Stato» (Habermas e Marramao).

Va sottolineato, tuttavia, che l’identità europea non è solamente un fatto ecomomico e giuridico, ma costituisce soprattutto un’espressione culturale che deve coinvolgere tutte le discipline del curricolo (comprese quindi la letteratura, la filosofia, le lingue, le scienze, le tecnologie, le arti, la religione, etc.), che vanno ricomposte progettualmente in specifiche aree pluridisciplinari per affrontare le questioni complesse attraverso il confronto e il dialogo tra le culture. Questo è, forse, l’unico modo per coltivare «il sogno europeo» (Rifkin) nei giovani, che costituiscono la grande speranza dell’integrazione europea. Essi sono, infatti, la prima «generazione Ue», o «eurogeneration», proiettata nella dimensione mondiale: questa nuova generazione vuole avere voce per decidere sul futuro dell’Europa e su quello del mondo, quindi sul proprio futuro.

 

 

 

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