Credo che
molti di noi, cittadini di questo paese e involontari
abitanti di questa epoca, sentano occasionalmente il
desiderio di “una nuova etica”, per rispondere
al disagio di una società, che, nei suoi aspetti
pubblici, appare profondamente corrotta, nel senso santagostiniano
di mutevole.
Coloro che credono che una componente fondamentale
della incorruttibilità sia il senso dell’onore
e della decenza, radicato nel rispetto di se stessi
e quindi nella coerenza di comportamento e di pensiero,
rimangono sconcertati. Certo siamo ben lontani sia dalle
shame cultures che dalle guilt cultures:
chi segue le dichiarazioni degli uomini politici, ma
soprattutto di quelli che si sono autonominati maestri
di morale, ha, giorno dopo giorno, l’impressione
che il famoso free-floating intellectual (Soziale
Freischwebende Intelligenz) sia diventato così
volatile e gasoso da perdere ogni parvenza di substantia.
L’ossimoro viene perseguito con accanimento, così
abbiamo gli atei clericali, i liberisti di valle, i
socialisti nel partito del padrone e i popperiani integristi.
E’ l’ondata postmodernista e decostruttivista
che investe la politica, introducendovi il bricolage
e il metissage di cui ci parlavano anni fa
i filosofi francesi e Alberto Melucci. L’importante
è, come diceva De Coubertin, partecipare, ma
con un additional twist, “sempre dalla
parte del più forte”.
Seguendo la regola del saggio babbo del mio amico Roger
Friedland che raccomandava: “quando si parla di
te sui giornali l’unica cosa di cui ti devi preoccupare
è che il tuo nome sia scritto giusto”.
E’ vero che, come ha dimostrato in un ponderoso
saggio il filosofo Derek Parfit, la nostra persona di
domani non è la medesima di oggi, neppure sul
piano fisico, ma una sottile questione filosofica non
può diventare la scusa per l’opportunismo
di massa su scala industriale. E il bello poi è
che, per rimanere nell’area ossimorica, gran numero
di coloro che non riconoscerebbero la parola data neppure
se la sentono, si stanno sgolando a parlare di identità.
Questo termine è diventato la bandiera dell’ultimo
imbecille che, come dicono gli inglesi, si scruta l’ombelico,
navel gazing.
Ma come si fa a pensare a una identità qualsivoglia,
locale, italiana, europea o cristiana o semplicemente
umana, se i soggetti che si affannano a propugnarla
appartengono a quella categoria di cristiani che, sotto
l’impero ottomano, facevano la fila per diventare
giaurri convertiti? Un campione delle conversioni è
il filosofo Pera, che mi ricorda il personaggio di Forrest
Gump che compariva dietro a ogni grande della sua epoca
senza afferrare il senso dell’evento: passa da
Popper, senza che apparentemente gli sia rimasto attaccato
alcuno dei chiari principi popperiani, compare tra i
volti dei giudici di Mani pulite, ma subito dopo, dimostrando
il coefficiente d’attrito più basso della
penisola italica, spunta a fianco di Berlusconi e tuona
contro la magistratura.
Da Popper passa a Ratzinger, scrive un saggio a quattro
mani con il futuro Papa e di colpo si trova a fare il
neogiobertiano. Anche dal punto fisico il suo volto
che compare qui e lì tra i grandi della Terra,
ha l’indimenticabile espressione di Tom Hanks,
con l’occhio sbarrato dallo stupore e dal candore.
La prossima fase? Guerriero: che oggi impugna l’alabarda
dello scontro di civiltà, ma non si rende conto
che è difficile credere alla resistenza in combattimento
(“qua l’armi, combatterò sol’io,
sol’io soccomberò”) di uno che ha
cambiato posizione tante volte, seguendo le ragioni
dell’opportunità invece di quelle della
propria coerenza.
Ed è questo, mi sembra, il maggior problema
dei combattenti per la civiltà. Chi mandiamo
al fronte? I nostri eroi della domenica? I calciatori
dell’Inter che di fronte alla prospettiva di avvicinarsi
al luogo dell’esplosione, anche dopo che il bum
c’era già stato?Non si sa mai.
Siamo sempre alla bolsa retorica fascista che ha la
sua epitome nella scritta mussoliniana che si legge
ancora sull’edificio dell’E42, entrando
in Roma da Fiumicino. L’avete mai notata? "Gli
italiani sono un popolo di poeti di artisti, di eroi,
di santi, di pensatori, di scienziati di navigatori
e di trasmigratori". Trasmigratori eccome! Ma c’è
un piccolo particolare, non c'è scritto che sono
un popolo di onesti lavoratori e buoni cittadini. E
manca anche “bravi soldati”.
Ma la Lega invita a sparare. Bravi,bravissimi, in verità.
Cosa fa il torero con il toro? Lo punzecchia e gli agita
uno straccio rosso sotto il naso finché quello
si inferocisce e carica, finendo infilzato. E questo
è esattamente quello che fa la Lega: comincia
a soffiare dalle froge e tira fuori la rivoltella. Pronti
a sparare. Ma sparare a chi? Al barbone della strada
accanto, forse Rom, forse albanese, forse marocchino,
chissà; come è avvenuto nella metropolitana
a Londra, dove hanno ucciso un brasiliano? Intanto chi
prepara le nuove bombe se la ride sotto i baffi e addita
alla platea mondiale di milioni di potenziali reclute,
il toro che nell’arena fa nuove innocenti vittime,
sbudellando qualche cavallo a caso e dimostrando a ogni
mossa di questo genere di essere debole e impaurito.
Sparare è facile, chiunque sappia tirare un grilletto
lo può fare. Ma per sparare sul giusto bersaglio
occorre prima conoscerlo e identificarlo. Tutti gli
esperti dicono che questa guerra non si vincerà
sparando, ma con l’ intelligence. E prima
ancora, aggiungerei io, con l’intelligenza. Materia
che manca largamente a chi indebolisce la battaglia
comune facendosi prendere dal panico e perdendo la testa,
come un branco di megere urlanti di Scampia, come sta
facendo la Lega.
Fanno i duri, ma mandano avanti gli altri e le soluzioni
sono sempre quelle, Dna degli immigrati (una volta erano
le impronte dei piedi tribali) e lungo fermo di polizia.
Purtroppo lasciare la mano libera ai poliziotti di pestare
i fermati è solo un vecchio rigurgito borbonico,
non serve a migliorare l’efficienza della polizia
(anzi), ma a fargli sfogare la paura. Il caso dell’iraniano,
cittadino statunitense, fermato e massacrato a Bologna
(intervista tradotta su Radio popolare, 25 Luglio 2005)
con il questurino che, tra un calcio e l’altro,
gli scorreggiava in faccia dicendo “ecco cosa
faccio io agli iraniani”. “Gli iraniani”
come se metà di quel popolo non fosse contro
gli integralisti, essendo filo-occidentali e potenziali
alleati. “Gli iraniani” come “gli
ebrei” “ i comunisti”, “i neghér”,
“ i terroni”, “gli islamici”.
Tutti quelli che non ci piacciono, insomma, che non
sono noi. Ma poi chi sono questi “noi”?
Siamo davvero sicuri che trasformare le questure in
luoghi extraterritoriali dove non comanda il diritto,
ma l’arbitrio violento molto più di quanto
non avvenga già ora, sia il modo più efficiente
per difendersi dagli attacchi terroristici? Purtroppo,
finora più che a un confronto tra civiltà,
stiamo assistendo a uno scontro di inciviltà.
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