L’est
europeo, a più di un anno dall’allargamento
dell’Ue. Un bilancio più che positivo,
secondo lo storico Roberto Morozzo della Rocca, docente
di Storia dell’Europa Orientale all’Università
Roma Tre e collaboratore della rivista Limes:
“Nessun processo storico si realizza per decreto,
ma i paesi dell’Est non sono affatto membri di
serie B dell’Ue. Certo il nazionalismo pesa ancora
molto – ammette lo storico – ma in questo
anno hanno dimostrato una loro identità e una
notevole indipendenza d’azione, come testimonia
la vicenda della guerra in Iraq, nella quale si sono
comportati da alleati degli Usa che però agiscono
di testa propria”.
Morozzo della Rocca, che è anche influente membro
della Comunità di Sant’Egidio, ricorda
il contributo di Giovanni Paolo II, il papa della Nuova
Europa, all’integrazione del continente, e spiega
perché la Russia non è affatto vista in
modo favorevole tra i nuovi membri: “Per loro
rappresenta ancora l’Unione sovietica, ed è
anche per questo che l’allargamento ha reso l’Ue
più antirussa”.
Professor Morozzo della Rocca, a poco più
di un anno dall’ingresso nell’Ue, come le
sembra che stia evolvendo l’integrazione dei paesi
dell’Est europeo? Per le istituzioni e l’opinione
pubblica continentale sono ancora dei paesi di serie
B?
Non direi. I paesi dell’Est europeo hanno dimostrato,
attraverso diverse scelte di politica interna e internazionale,
di possedere una loro identità e una notevole
indipendenza d’azione. E’ vero che dal punto
di vista economico sono ancora arretrati rispetto all’ovest,
ma hanno continuato il percorso delle riforme già
intrapreso negli anni Novanta, e hanno preso sul serio
i criteri che imponeva loro Bruxelles. In politica estera
hanno dimostrato indipendenza anche nel rapporto con
gli Stati Uniti. Prima si sono smarcati dall’Europa
franco-tedesca e hanno appoggiato la guerra in Iraq,
alcuni anche attraverso l’invio delle truppe.
Poi però hanno saputo prendere atto dell’inconsistenza
del motivo di quella guerra, ovvero la presunta presenza
di armi di distruzione di massa, e hanno cominciato
a ritirare i propri soldati. I paesi dell’Est
hanno dimostrato di essere degli alleati degli Usa che
però agiscono di testa propria.
Uno dei temi sui quali i paesi dell’Est
sono sembrati più sensibili e pronti nel rivendicare
la propria identità è quello della Storia.
Ad esempio i leader dei paesi baltici non hanno partecipato
il 9 maggio alle celebrazioni di Mosca per i 60 anni
della vittoria contro il nazismo. E’ un segno
positivo per l’Europa?
E’ anzitutto un segno di nazionalismo. E’
ben comprensibile che, dopo che per decenni la loro
indipendenza è stata conculcata, sentano la necessità
di rivendicare la propria identità, e tuttavia
la sconfitta del nazismo è parte della storia
di tutti, e dovrebbe essere un dovere partecipare al
ricordo di un tale evento. Ecco perché la loro
assenza è una scelta che non possiamo non considerare
meschina.
Rientra in questo discorso anche la proposta
di cancellare il simbolo della falce e martello, partita
proprio da alcuni eurodeputati orientali?
La proposta è nata più precisamente da
Vytautas Landsbergis, ex presidente della Lituania,
e anche questo si spiega con la storia del ‘900.
Dopo il ’39 i paesi baltici sono stati occupati
dall’Urss, e quell’occupazione si è
poi tramutata in sovranità dopo il ’45.
E’ naturale che la negazione della nazionalità
abbia reso invisi quei simboli.
Questo nazionalismo non è oggi un ostacolo
all’integrazione del continente?
Il nazionalismo è stato vissuto da tutti i paesi
europei. Nella cosiddetta “vecchia Europa”
è andato stemperandosi negli ultimi 50 anni,
ma ricordiamoci che l’Est ha riconquistato la
propria indipendenza solo negli ultimi 15. Per di più
non hanno mai goduto di un’indipendenza stabile,
e valga per tutti il caso della Polonia dell’800,
occupata e frazionata più volte fino a scomparire.
Non è possibile dare un giudizio positivo o negativo
su questo nazionalismo, che è frutto di una storia
terribilmente sofferta e recente. E’ la realtà,
ed è del tutto normale. Serviranno anni per superarlo,
e ci vorrà una frequentazione maggiore con i
vecchi stati membri, un autentico scambio culturale.
Ci vogliono anni, e d’altronde nessun processo
storico si realizza per decreto.
Cosa rappresenta oggi la Russia per i paesi
dell’Est? Una zavorra? Solo il passato?
La Russia rappresenta ancora l’Unione Sovietica,
un paese da cui sono stati soggiogati, uno Stato temuto
soprattutto dalla Polonia e dai Baltici. I tempi storici
sono di lunga durata e serviranno anche qui degli anni
perché si chiudano certe ferite. In generale
non c’è assolutamente un atteggiamento
favorevole verso la Russia, e l’allargamento ad
est ha reso l’Ue più antirussa. Non è
solo colpa di Putin: la verità è che la
società russa non è affatto cambiata negli
ultimi dieci anni.
Lei è anche un esperto di religioni.
La religione oggi è un ostacolo o può
al contrario aiutare l’integrazione dei paesi
dell’Est?
La religione non è per nulla un ostacolo, anzi
è un elemento positivo. Negli ultimi tempi è
emersa una volontà ecumenica, specialmente da
parte dei cattolici e anche degli ortodossi. Il problema
religioso sussiste casomai con Mosca, come dimostrano
i rapporti freddi tra Papa Giovanni Paolo II e la Chiesa
russa.
A questo proposito, si è parlato tantissimo
di Papa Wojtyla, ma non si è forse sottolineato
abbastanza che è stato un papa profondamente
europeo, oltre che globale. Si può dire che sia
stato uno dei primi padri della Nuova Europa?
Certo. Anzitutto il papa inviò quel celebre messaggio
ai polacchi in occasione del referendum per l’ingresso
della Polonia nell’Ue, e poi ha sempre parlato
di est e ovest come dei due polmoni del continente,
in questo condividendo implicitamente il sogno di De
Gaulle di “una grande Europa dall’Atlantico
agli Urali”. Wojtyla ha avuto sempre una concezione
molto chiara dell’Europa, si è sempre battuto
per una Grande Europa, e, anche se non lo si può
dire con certezza, è probabile che nella sua
idea d’Europa fosse incluso anche il mondo russo.
Va però precisato che la sua idea d’Europa
non era un’idea politica, non era cioè
in funzione dell’Europa di Bruxelles. L’Unione
europea era, al contrario, un elemento di una visione
più grande, di una visione spirituale dell’Europa.
Parliamo infine delle prospettive di un ulteriore
allargamento dell’Unione. Lei nel 2002 ha pubblicato
un libro dal titolo Nazione e religione in Albania.
Hanno delle concrete prospettive europee paesi come
il Kosovo, l’Albania e la Bosnia?
Il principio è che man mano che ci si allarga
si cerca di eliminare le isole. Questo è un fatto
tecnico più che politico. La situazione dei Balcani
è molto complessa, persino dal punto di vista
costituzionale e di sovranità, visto che Bosnia
e Kosovo sono sotto protettorato internazionale. Per
quanto riguarda l’Albania so per certo che è
stato aperto un canale con l’Ue. A Bruxelles si
pensa che i problemi dei Balcani si risolveranno quando
aderiranno all’Unione. E’ anche la nostra
speranza, perché significherebbe che in quei
paesi sarebbero finalmente garantiti il rispetto delle
minoranze e la vita democratica.
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