282 - 27.07.05


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Ma non chiamiamoli
europei di serie B

Roberto Morozzo della Rocca
con Daniele Castellani Perelli


L’est europeo, a più di un anno dall’allargamento dell’Ue. Un bilancio più che positivo, secondo lo storico Roberto Morozzo della Rocca, docente di Storia dell’Europa Orientale all’Università Roma Tre e collaboratore della rivista Limes: “Nessun processo storico si realizza per decreto, ma i paesi dell’Est non sono affatto membri di serie B dell’Ue. Certo il nazionalismo pesa ancora molto – ammette lo storico – ma in questo anno hanno dimostrato una loro identità e una notevole indipendenza d’azione, come testimonia la vicenda della guerra in Iraq, nella quale si sono comportati da alleati degli Usa che però agiscono di testa propria”.

Morozzo della Rocca, che è anche influente membro della Comunità di Sant’Egidio, ricorda il contributo di Giovanni Paolo II, il papa della Nuova Europa, all’integrazione del continente, e spiega perché la Russia non è affatto vista in modo favorevole tra i nuovi membri: “Per loro rappresenta ancora l’Unione sovietica, ed è anche per questo che l’allargamento ha reso l’Ue più antirussa”.

Professor Morozzo della Rocca, a poco più di un anno dall’ingresso nell’Ue, come le sembra che stia evolvendo l’integrazione dei paesi dell’Est europeo? Per le istituzioni e l’opinione pubblica continentale sono ancora dei paesi di serie B?

Non direi. I paesi dell’Est europeo hanno dimostrato, attraverso diverse scelte di politica interna e internazionale, di possedere una loro identità e una notevole indipendenza d’azione. E’ vero che dal punto di vista economico sono ancora arretrati rispetto all’ovest, ma hanno continuato il percorso delle riforme già intrapreso negli anni Novanta, e hanno preso sul serio i criteri che imponeva loro Bruxelles. In politica estera hanno dimostrato indipendenza anche nel rapporto con gli Stati Uniti. Prima si sono smarcati dall’Europa franco-tedesca e hanno appoggiato la guerra in Iraq, alcuni anche attraverso l’invio delle truppe. Poi però hanno saputo prendere atto dell’inconsistenza del motivo di quella guerra, ovvero la presunta presenza di armi di distruzione di massa, e hanno cominciato a ritirare i propri soldati. I paesi dell’Est hanno dimostrato di essere degli alleati degli Usa che però agiscono di testa propria.

Uno dei temi sui quali i paesi dell’Est sono sembrati più sensibili e pronti nel rivendicare la propria identità è quello della Storia. Ad esempio i leader dei paesi baltici non hanno partecipato il 9 maggio alle celebrazioni di Mosca per i 60 anni della vittoria contro il nazismo. E’ un segno positivo per l’Europa?

E’ anzitutto un segno di nazionalismo. E’ ben comprensibile che, dopo che per decenni la loro indipendenza è stata conculcata, sentano la necessità di rivendicare la propria identità, e tuttavia la sconfitta del nazismo è parte della storia di tutti, e dovrebbe essere un dovere partecipare al ricordo di un tale evento. Ecco perché la loro assenza è una scelta che non possiamo non considerare meschina.

Rientra in questo discorso anche la proposta di cancellare il simbolo della falce e martello, partita proprio da alcuni eurodeputati orientali?

La proposta è nata più precisamente da Vytautas Landsbergis, ex presidente della Lituania, e anche questo si spiega con la storia del ‘900. Dopo il ’39 i paesi baltici sono stati occupati dall’Urss, e quell’occupazione si è poi tramutata in sovranità dopo il ’45. E’ naturale che la negazione della nazionalità abbia reso invisi quei simboli.

Questo nazionalismo non è oggi un ostacolo all’integrazione del continente?

Il nazionalismo è stato vissuto da tutti i paesi europei. Nella cosiddetta “vecchia Europa” è andato stemperandosi negli ultimi 50 anni, ma ricordiamoci che l’Est ha riconquistato la propria indipendenza solo negli ultimi 15. Per di più non hanno mai goduto di un’indipendenza stabile, e valga per tutti il caso della Polonia dell’800, occupata e frazionata più volte fino a scomparire. Non è possibile dare un giudizio positivo o negativo su questo nazionalismo, che è frutto di una storia terribilmente sofferta e recente. E’ la realtà, ed è del tutto normale. Serviranno anni per superarlo, e ci vorrà una frequentazione maggiore con i vecchi stati membri, un autentico scambio culturale. Ci vogliono anni, e d’altronde nessun processo storico si realizza per decreto.

Cosa rappresenta oggi la Russia per i paesi dell’Est? Una zavorra? Solo il passato?

La Russia rappresenta ancora l’Unione Sovietica, un paese da cui sono stati soggiogati, uno Stato temuto soprattutto dalla Polonia e dai Baltici. I tempi storici sono di lunga durata e serviranno anche qui degli anni perché si chiudano certe ferite. In generale non c’è assolutamente un atteggiamento favorevole verso la Russia, e l’allargamento ad est ha reso l’Ue più antirussa. Non è solo colpa di Putin: la verità è che la società russa non è affatto cambiata negli ultimi dieci anni.

Lei è anche un esperto di religioni. La religione oggi è un ostacolo o può al contrario aiutare l’integrazione dei paesi dell’Est?

La religione non è per nulla un ostacolo, anzi è un elemento positivo. Negli ultimi tempi è emersa una volontà ecumenica, specialmente da parte dei cattolici e anche degli ortodossi. Il problema religioso sussiste casomai con Mosca, come dimostrano i rapporti freddi tra Papa Giovanni Paolo II e la Chiesa russa.

A questo proposito, si è parlato tantissimo di Papa Wojtyla, ma non si è forse sottolineato abbastanza che è stato un papa profondamente europeo, oltre che globale. Si può dire che sia stato uno dei primi padri della Nuova Europa?

Certo. Anzitutto il papa inviò quel celebre messaggio ai polacchi in occasione del referendum per l’ingresso della Polonia nell’Ue, e poi ha sempre parlato di est e ovest come dei due polmoni del continente, in questo condividendo implicitamente il sogno di De Gaulle di “una grande Europa dall’Atlantico agli Urali”. Wojtyla ha avuto sempre una concezione molto chiara dell’Europa, si è sempre battuto per una Grande Europa, e, anche se non lo si può dire con certezza, è probabile che nella sua idea d’Europa fosse incluso anche il mondo russo. Va però precisato che la sua idea d’Europa non era un’idea politica, non era cioè in funzione dell’Europa di Bruxelles. L’Unione europea era, al contrario, un elemento di una visione più grande, di una visione spirituale dell’Europa.

Parliamo infine delle prospettive di un ulteriore allargamento dell’Unione. Lei nel 2002 ha pubblicato un libro dal titolo Nazione e religione in Albania. Hanno delle concrete prospettive europee paesi come il Kosovo, l’Albania e la Bosnia?

Il principio è che man mano che ci si allarga si cerca di eliminare le isole. Questo è un fatto tecnico più che politico. La situazione dei Balcani è molto complessa, persino dal punto di vista costituzionale e di sovranità, visto che Bosnia e Kosovo sono sotto protettorato internazionale. Per quanto riguarda l’Albania so per certo che è stato aperto un canale con l’Ue. A Bruxelles si pensa che i problemi dei Balcani si risolveranno quando aderiranno all’Unione. E’ anche la nostra speranza, perché significherebbe che in quei paesi sarebbero finalmente garantiti il rispetto delle minoranze e la vita democratica.

 

 

 

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