Fabio D’Andrea
insegna sociologia all’Università di Perugia.
E’ un uomo dalle dimensioni fisiche contenute,
ma gli occhi vivacissimi sono lì a testimoniare
una personalità decisa e accattivante, incontenibile
nel modo di parlare e di esprimere le proprie idee.
In questi giorni ha dato alle stampe L’uomo
mediano. Religiosità e bildung nella cultura
occidentale, per i tipi della Franco Angeli, in
cui esprime delle tesi tanto documentate quanto controcorrente,
che cerchiamo di chiarire insieme a lui.
Professor D’Andrea, quando nel suo libro
parla di radici cristiane si riferisce al medesimo impianto
culturale e valoriale di cui parlano le alte sfere vaticane,
oppure si riferisce ad altro?
Non volevo e non voglio entrare nel merito della querelle
sulla Carta costituzionale europea. Le radici cristiane
possono trovarvi riferimento esplicito oppure no, ma
è un dato di fatto che esse esistono, fanno parte
del nostro Dna culturale. Il problema semmai è
un altro. Il cristianesimo, inteso in senso lato, si
è arreso all’iper-razionalismo e alla cultura
materialistica e consumistica dell’Occidente.
In questo senso, illuminismo, marxismo, ma anche il
liberalismo, hanno subordinato l’uomo alla Ragione,
che fosse una ragione teoretica, materiale od economica.
Da questo non siamo sfuggiti e non sfugge neppure la
religione cristiana.
Beh, questa è una delle tesi forti del
suo libro. Può spiegarcela meglio?
Da quando il cristianesimo da espressione della religiosità
più profonda (in quanto tramite tra l’uomo
e il trascendente), si è completamente trasformato
in religione istituzionalizzata, e questo secondo i
miei studi risale almeno al VI secolo d.C., ha finito
anch’esso con l’arrendersi alla Ragione.
Ha cercato di farsi razionale, mondano, di costruire
degli impianti culturali e valoriali (ma anche “militari”)
per confliggere con la politica mondana, che fosse l’Imperatore,
il Re o lo stato laico di oggi. Questa lenta ma inesorabile
trasformazione ha comportato dei risultati non trascurabili:
da una parte si è provato a “dimostrare”
la veridicità degli assunti religiosi con l’uso
della ragione; dall’altra la chiesa ha svilito
il suo ruolo accettando più di un compromesso
per lottare col potere temporale. Ma soprattutto, e
questo è l’aspetto più importante,
così facendo la chiesa e la religione cristiana
hanno lasciato da solo il cristiano. Venendo meno alla
sua funzione di tramite tra l’uomo e il trascendente,
la chiesa ha lasciato solo proprio l’uomo, in
balìa di una ricerca di senso il cui surrogato,
di volta in volta, è stato rappresentato dalle
grandi ideologie politiche, dall’idea di stato
nazione, dalle fede nell’ideale del progresso.
Tutti aspetti che sono entrati in forte crisi
con quella che viene chiamata l’epoca della post-modernità,
o se vogliamo della globalizzazione.
E’ proprio così. L’eclisse dello
stato nazione, la crisi delle grandi ideologie e anche
la notevole crisi economica, hanno minato molte delle
certezze dell’uomo contemporaneo. Non ci si riconosce
più in una nazione, non più in un grande
progetto politico. Fino a poco tempo fa tutto ciò
veniva compensato dal consumismo: il benessere economico
ci permetteva di cercare nell’acquisto la salvezza
e il senso del nostro vivere. Ma oggi, un po’
la grande crisi economica e un po’ la grande velocità
delle mutazioni commerciali (per cui un prodotto diventa
superato nel giro di breve tempo), l’acquisto
è diventato più che altro una “tossicodipendenza”,
in cui gradualmente e inesorabilmente l’intensità
dello stimolo tende sempre a superare di gran lunga
il tempo della soddisfazione. Da qui la crisi dell’individuo,
certo non compensata dall’insufficienza di una
nuova identità europea fondata solo sull’economia.
E’ il grande insegnamento che ci hanno lasciato
autori come Dumont e Maffesoli, ma che abbiamo tranquillamente
ignorato, salvo poi sorprenderci dell’indifferenza,
quando non vera e propria opposizione dei cittadini
rispetto al grande progetto europeo.
Chi è l’uomo mediano,
che dà il titolo al suo libro?
E’ la tipologia, o se vuole semplificazione, dell’uomo
contemporaneo. Un soggetto che è esposto ad un’oscillazione
continua. L’uomo ha bisogno di religiosità,
fa parte del suo stesso vivere, a prescindere da come
poi intende viverla. Il problema è che oggi questa
religiosità non trova rappresentanti alti, entità
simboliche che se ne facciano carico. Per cui l’uomo
di oggi si trova ad oscillare tra una religione istituzionalizzata
(che entra in contrasto con lo stato senza più
occuparsi della trascendenza) e forme di surrogati di
religione (le cosiddette religioni fai da te, le pratiche
pseudo orientali, il fenomeno Dan Brown etc.) che sovente
lo espongono a rischi di strumentalizzazione o peggio
di raggiro. L’evangelizzazione, l’idea di
missione che comporta il dover spiegare con strumenti
razionali, hanno fatto sì che l’istituzione
preposta a rappresentare il bisogno di religiosità,
abbassasse l’obiettivo, sminuisse il fine supremo.
Quindi, in sostanza, la crisi dell’Europa
è figlia anch’essa della crisi della modernità?
In un certo senso sì. E’ figlia della crisi
dell’individuo, cui sono venute meno le idee portanti
degli ultimi secoli, è figlia anche di quell’idea
di progresso che ci ha reso tutti più soli, atomi
in mezzo alla grande folla, a un villaggio globale che
non ci protegge dalla solitudine esistenziale.
C’è una soluzione, secondo lei,
o paradossalmente dovremmo dire con Heidegger che “solo
un Dio ci può salvare”?
Beh, sicuramente un Dio potrebbe salvarci, il problema
che non possiamo essere sicuri che esista. Se già
la religione tornasse ad accettare la propria a-razionalità
e la chiesa rinunciasse a pretendere di spiegare troppo
(per poi crederci solo essa, fino in fondo), potremmo
compiere un bel passo avanti. Se non recuperiamo l’individuo
solo e malato, che ha bisogno della propria religiosità,
non potremo mai pensare di veder realizzato nessun grande
progetto. Meno che mai politico. Meno che mai di grande
difficoltà quale è quello di una grande
Europa unita.
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