Dal dossier sulla Rai "Tv pubblica, missione impossibile" del numero numero 90 di Reset, in questi giorni in edicola e in lbreria, anticipiamo il testo che segue.
Se avessimo chiesto a John Reith, primo direttore generale
della Bbc tra il 1924 e il 1938, in cosa consiste il
servizo pubblico radiotelevisivo la risposta avrebbe
avuto la forma sintetica ma chiarissima di tre verbi:
educare, informare, intrattenere. La definizione di
Reith, nata per la radio e tradotta per la televisione
nel 1936 (anno di inizio delle trasmissioni regolari
della tv pubblica inglese), ha sin dalla sua prima comparsa
permeato la vocazione del servizio pubblico radiotelevisivo
di tutta Europa. Allora le trasmissioni si irradiavano
in stretto regime di monopolio statale e i programmi
nascevano per rispondere agli imperativi di quella che
è passata alla storia come la «triade reithiana».
Dalle parole di Reith traiamo spunto per guardare alla
situazione italiana e cercare di individuare alcuni
dei contenuti che appartengono alla definizione di servizio
pubblico e che però sono assenti dai palinsesti
televisivi della Rai.
Da una parte la televisione rappresenta per gli italiani
lo strumento privilegiato (in molti casi esclusivo)
di informazione, di mediazione tra cittadini e arena
politica, di formazione dell’opinione pubblica.
Allo stesso tempo, il mercato televisivo mostra un’accresciuta
dinamicità, grazie soprattutto alle nuove tecnologie
che aprono l’orizzonte alla concreta possibilità
di moltiplicare canali e offerte di contenuti. Di fronte
a questa complessità, però, la tv italiana
non sa uscire dall’anomalia del duopolio in cui
due soli soggetti (uno pubblico, l’altro privato)
si dividono le risorse del settore televisivo in regime
di ristretta ed esclusiva concorrenza. Diretta conseguenza
di tale situazione è che la competizione commerciale
si fa vera protagonista tra i palinsesti, e la corsa
all’audience soffoca caratteristiche essenziali
del servizio pubblico televisivo. In particolare, questo
perde una delle sue funzioni fondamentali all’interno
delle democrazie contemporanee: il compito di farsi
strumento di sostegno dell’opinione pubblica per
elevarne la partecipazione al dibattito su argomenti
di pubblico interesse, migliorarne la competenza e la
qualità.
Contro l’ignoranza razionale
Le norme che regolamentano le trasmissioni di informazione,
come la cosiddetta par condicio, pur nell’obiettivo
di garantire elementi indispensabili nella comunicazione
politica di un paese democratico, non sono sufficienti
alla realizzazione di un vero e proprio servizio pubblico.
Non basta il rispetto (ove praticato) dell’equilibrio
tra gli spazi messi a disposizione di ciascuna forza
politica, non bastano le garanzie di imparzialità
di giornalisti e operatori che ideano, realizzano e
conducono i programmi di approfondimento e di dibattito.
La tv pubblica può svolgere un ruolo concreto
nell’impegnare i telespettatori, in quanto cittadini,
in attività che li coinvolgano nella partecipazione
al discorso pubblico con lo scopo di giungere a una
maggiore consapevolezza e accresciuta competenza in
argomenti che riguardano da vicino la vita di ciascuno
e su cui la politica è chiamata a prendere decisioni.
La riforma delle pensioni, le questioni poste dalla
bioetica, dall’immigrazione o dalla revisione
del sistema fiscale, per fare solo alcuni esempi, sono
tutti argomenti che richiedono un’analisi approfondita
per essere compresi, per formarsi un’opinione
su di essi e dotarsi così di strumenti adeguati
per giudicare le scelte che i governi sono chiamati
a compiere.
Una televisione che voglia dirsi di servizio pubblico
ha il compito di proporsi come lo spazio del confronto
delle idee e della partecipazione al discorso pubblico.
Il pubblico televisivo sembra evitare questa partecipazione,
sembra schivarla per rimanere semplice spettatore del
teatro della politica. L’interesse dei cittadini
ad informarsi, ad esprimere la propria opinione, a confrontarla
con quella di altri e a discuterla per migliorarla ed
approfondirla deriva, tra le altre cose, anche dal modo
in cui ciascuno percepisce l’importanza del proprio
pensiero nella società. In altre parole, una
persona può essere portata a non esprimersi,
a non manifestare la propria opinione perché
la reputa ininfluente. È quella che gli esperti
chiamano ignoranza razionale, ossia l’assenza
di ogni incentivo alla partecipazione consapevole prodotta
dalla percezione dell’inutilità pratica
della propria opinione ai fini di quello che sarà
poi deciso. Insomma, se la mia opinione si perde, scompare
e si dissolve, tra quelle di milioni di altri spettatori
(o elettori), la soffocherò giudicandola incapace
di produrre cambiamento e di offrire un contributo al
processo democratico e alla realtà in cui vivo.
E così non avrò alcun interesse a prestare
attenzione e a riflettere su questioni di carattere
pubblico che giudico distanti dalla mia realtà
mentre, al contrario, determinano aspetti fondamentali
della mia esistenza, dalla pensione ai consumi domestici
di energia, alle tasse che dovrò pagare ogni
anno.
Ora, se la tv è uno dei principali luoghi di
mediazione tra le istituzioni e le persone, tra il potere
e gli individui, tra la politica e la società,
allora al servizio pubblico spetta il compito di evitare
che si produca ignoranza razionale tra i cittadini e
di cercare forme di sperimentazione che accendano l’interesse
a partecipare attivamente alla vita pubblica.
Il confronto delle opinioni, la produzione di informazione
equilibrata imparziale e approfondita, la spiegazione
delle questioni controverse che attraversano il dibattito
pubblico, la ricerca di soluzioni innovative che creino
le condizioni per la formazione di un’opinione
pubblica competente e consapevole. Questi sono i compiti
dai quali una televisione di servizio pubblico non può
esimersi.
Gli esempi dall’estero
Uno degli scogli principali alla realizzazione di programmi
ispirati dalla missione del servizio pubblico sta nell’opposizione
di chi li ritiene un peso nella corsa per la conquista
dell’audience. In realtà simili critiche
non hanno modo di esistere per almeno due ragioni.
In primo luogo, il rispetto della funzione del servizio
pubblico passa attraverso la produzione di contenuti
che, a prescindere dal calcolo degli ascolti, si ritengono
utili, se non necessari, al miglioramento della vita
democratica.
Deve far riflettere, a questo proposito, come la Rai,
nonostante la moltiplicazione dei canali resa possibile
dalle tecnologie digitali, non si sia ancora dotata
di un canale di informazione civica che, cioè,
si dedichi completamente ai lavori parlamentari e a
servizi giornalistici, rendendo conto costantemente
della vita istituzionale del nostro paese. Questo ritardo
della televisione pubblica italiana è aggravato
dagli esempi che vengono da alcuni paesi europei come
Bbc Parliament (nel Regno Unito), Phoenix (in Germania)
e Lcp (in Francia), che garantiscono dirette dei lavori
parlamentari, offrono programmi di approfondimento giornalistico
legati all’attualità del dibattito politico
nazionale dell’Unione europea e, grazie ai rispettivi
siti internet, mantengono un continuo spazio di accessibilità
e di contatto con il pubblico.
In secondo luogo, esistono all’estero esempi
concreti di trasmissioni sperimentali finanziate dalla
tv pubblica e ispirate dall’obiettivo di svolgere
in pieno la missione di servizio pubblico.
Esistono cioè trasmissioni nate dalla volontà
di stimolare la partecipazione attiva dei cittadini
alla vita pubblica, di fornire approfondimenti e spiegazioni
su argomenti controversi, di dotare i telespettatori
di strumenti di conoscenza per elaborare una propria
autonoma visione delle questioni trattate ed esprimere
un’opinione competente da confrontare con quella
degli altri. Si tratta di programmi che riescono a utilizzare
in modo innovativo la convergenza tra tv internet e
radio per creare discussioni e dibattiti con esperti
e politici. Questi programmi mettono a disposizione
dei cittadini-telespettatori la possibilità di
svolgere un ruolo attivo, partecipe e ragionato, nella
formazione di un’opinione pubblica più
competente e dinamica di quella a cui si rivolge un
semplice talk-show televisivo. Il meccanismo dell’ignoranza
razionale è così spezzato da modi innovativi
di fare tv, chiamando singoli individui, comuni cittadini,
semplici telespettatori, a partecipare in prima persona
ai dibattiti, ad esprimere le proprie idee, ad informarsi
dove hanno lacune, a confrontarsi con la varietà
di opinioni che vengono da altre persone.
In Italia tutto questo manca. Mancano canali dedicati
all’informazione civica, manca qualsiasi tipo
di iniziativa che porti la tv pubblica a sperimentare
tecniche innovative per migliorare la competenza dei
telespettatori su questioni di pubblico interesse e
incoraggiarne l’attiva partecipazione al discorso
pubblico.
I sondaggi deliberativi di James Fishkin
La nostra risposta a quali contenuti rispondano alla
missione del servizio pubblico televisivo guarda alle
possibilità concrete di migliorare la discussione
italiana su argomenti di pubblico interesse. La realizzazione
di una opinione pubblica migliore, competente e partecipe
non è un’idea utopica, ma una necessità
la cui soddisfazione rientra tra i doveri della Rai:
una domanda a cui si può trovare una risposta
concreta e realizzabile. Una risposta che in altri paesi
esiste già.
Il sondaggio deliberativo (Deliberative poll)
è un esperimento nato dalle ricerche del prof.
James Fishkin che dirige il Center for Deliberative
Polling all’Università di Stanford.
La domanda essenziale a cui il sondaggio deliberativo
vuole trovare risposta è: «Quale sarebbe
l’opinione espressa dai cittadini se, posti di
fronte a un preciso argomento, avessero la possibilità
di informarsi discutere e fare domande a esperti?».
Per rispondere alla domanda Fishkin ha inventato un
sondaggio che si articola in fasi diverse. Si seleziona
un campione a caso in modo che sia rappresentativo della
popolazione che si vuol prendere in considerazione;
le persone estratte vengono sottoposte a delle domande
su un tema specifico (il programma dei candidati alle
elezioni, come ridurre il consumo energetico, come combattere
la criminalità, cosa pensano di una riforma della
costituzione). Poi si forniscono queste persone di materiale
informativo sull’argomento scelto. I membri del
campione vengono poi invitati a partecipare a una sessione
deliberativa: divisi in piccoli gruppi discuteranno
tra di loro, potranno fare domande ad esperti e rappresentanti
politici. Una volta che avranno letto i materiali, discusso,
fatto domande e ascoltato le risposte si torna a sottoporre
loro le domande iniziali. Nella differenza delle risposte
date prima della sessione deliberativa e dopo, sta la
differenza tra un campione di opinione pubblica informato
e uno che non lo è.
Il ruolo fondamentale della tv nell’esperimento
sta nel seguire tutta la sessione deliberativa, i dibattiti
in gruppi, gli incontri con politici ed esperti e trasmetterli
su scala nazionale. In questo modo la televisione funziona
come vera e propria cassa di risonanza del processo
di formazione di un’opinione pubblica informata,
mostra cittadini attivi, impegnati a manifestare le
proprie opinioni e a confrontarle con quelle degli altri.
Dal 1988 fino ad oggi sono più di una ventina
i sondaggi deliberativi realizzati da Fishkin e dal
suo staff in diversi paesi.
Vediamo qualche esempio.
2004: Bush o Kerry?
Due settimane prima del giorno in cui gli elettori americani
avrebbero riconfermato Gorge W. Bush presidente, in
17 città degli Stati Uniti si è svolto
il deliberation day seguito dalle telecamere della trasmissione
della Pbs, Newshour.
Alla fine dell’esperimento si poteva verificare
un significativo spostamento tra l’opinione iniziale
e la rilevazione effettuata dopo la deliberazione. Più
nel dettaglio si vede che argomenti chiave della campagna
elettorale come la questione irachena e la politica
economica di tagli alle tasse sono stati i terreni in
cui era maggiore lo spostamento di voto verso i democratici
tra un elettorato che si era affidato ai soli dibattiti
televisivi tra i candidati, dove si giocava la battaglia
delle frasi ad effetto e degli slogan, e l’elettorato
che invece si era informato dettagliatamente e criticamente
sulle specifiche posizioni dei due schieramenti, ne
aveva discusso e si era formato così un’opinione
competente (per un report completo del sondaggio del
deliberation day del 16 ottobre 2004: www.pbs.org/newshour/btp/polls.html).
2002: come combattere
la criminalità in Bulgaria?
In Bulgaria il sondaggio deliberativo è stato
organizzato dal Centre for Liberal Strategies e da Alpha
Research, mentre la copertura mediatica era garantita
dal canale televisivo Btv. Le questioni su cui il campione
deliberativo è stato chiamato ad esprimersi riguardavano
le possibili soluzioni per combattere e ridurre la criminalità
nel paese.
Ancora una volta i risultati mostravano sensibili spostamenti
di opinione tra i rilevamenti precedenti e quelli successivi
alla sessione deliberativa e, soprattutto, in ogni domanda
scendeva sempre considerevolmente il numero di persone
che non avevano opinione a riguardo.
Ma, cosa ancora più importante, la copertura
televisiva a livello nazionale di tutto l’evento,
aveva fornito l’opportunità completa di
mostrare e di vedere come la democrazia non si limita
al momento delle libere elezioni, ma può mettere
cittadini informati nelle condizioni di influenzare
le scelte politiche dei governanti (per un report completo
del sondaggio deliberativo del 2002 in Bulgaria: http://cdd.stanford.edu/polls/press/2002/bulgaria.pdf).
1999: l’Australia repubblica?
A circa un mese dal referendum che chiamava gli australiani
a decidere se diventare o meno una repubblica, un campione
di trecento persone si è incontrato a Camberra
per dar vita a una due giorni di sondaggio deliberativo
organizzato da Issues Deliberation Australia e da Hawke
Institute; la copertura mediatica era assicurata da
ABC tv e News Radio che hanno trasmesso la diretta integrale
dell’evento, mentre un’altra emittente nazionale,
Channel 9, ha dedicato al sondaggio deliberativo una
trasmissione speciale di un’ora a esperimento
concluso.
Dopo la sessione deliberativa, i risultati hanno mostrato
un evidente spostamento di opinione verso i «sì»
(+20%), ma il dato più interessante è
che il numero di coloro che avevano risposto «non
so», dal 7% iniziale, si è addirittura
annullato (per un report completo del sondaggio deliberativo
sul referendum australiano del 1999: http://www.ida.org.au/repub_press.htm).
Il «public journalism»
All’inizio degli anni Novanta nasce negli Usa
un genere giornalistico che mira a impegnare direttamente
i cittadini nelle discussioni su argomenti di pubblico
interesse. Se il giornalismo tradizionale riserva a
lettori e telespettatori il semplice ruolo di ricettori
passivi delle notizie, il public journalism promuove
l’idea di un’informazione che si faccia
strumento di comprensione della realtà e di formazione
di una cittadinanza democratica attivamente partecipe
della vita pubblica. Grazie a forum di discussione su
internet, trasmissioni televisive, dibattiti radiofonici,
il lavoro del giornalista si avvicina ai cittadini,
portando la loro voce in primo piano, e chiamandoli
ad esprimersi e a confrontarsi con esperti e politici.
Qualche esempio concreto ci darà la reale dimensione
del fenomeno.
Best
Practices in Journalism
È un’organizzazione che promuove la realizzazione
di programmi televisivi che da una parte vanno alla
ricerca delle opinioni delle persone comuni su questioni
di pubblico interesse, dall’altra danno vita a
dibattiti di approfondimento con politici ed esperti.
Le trasmissioni promosse dal Best Practices in Journalism
dimostrano come il servizio pubblico televisivo sia
in grado di costruire uno spazio di incontro, spiegazione
e approfondimento tra il mondo della politica e la società
civile, tra la sfera del potere e delle decisioni e
la vita comune dei cittadini. Il servizio pubblico televisivo
si fa così vero e proprio mezzo di confronto
tra il potere politico e una cittadinanza che mostra
un atteggiamento attivo verso la politica esprimendo
dubbi, manifestando le proprie priorità, dimostrando
interesse verso la politica, avvicinandosi attivamente
alla sfera delle decisioni e partecipando con la propria
attenzione, con i propri dubbi alla vita pubblica del
paese.
Citizen
Voices
Raccoglie una serie di trasmissioni ispirate dalle idee
del public journalism e che hanno già
avuto il loro spazio nei palinsesti delle tv pubbliche
di alcuni stati americani. Tra queste:
Voter’s Voice
Il giornalista Chip Neal viaggia attraverso lo stato
del New Hampshire cercando di rilevare, con interviste
e inchieste, quali siano i temi dell’agenda pubblica
che i cittadini ritengono più importanti e perché;
una seconda parte della trasmissione vede esperti e
rappresentanti politici confrontarsi con un focus
group scelto in modo tale che sia rappresentativo
della popolazione. Dal dibattito emergono le posizioni
approfondite, spiegate e motivate, di ciascuno schieramento
politico in merito ai temi sollecitati dai cittadini.
Il programma è andato in onda su New Hampshire
Television (della Pbs), ma è nato da un’idea
del 1996 quando, durante la campagna elettorale per
le presidenziali, il Pew Center for Civic Journalism
realizzò una serie di simili programmi coinvolgendo
canali televisivi e radiofonici pubblici non solo del
New Hampshire, ma anche di California, Florida, Boston
e Iowa. L’iniziativa nasceva dalla volontà
di superare i limiti della tradizionale copertura giornalistica
della campagna elettorale. Non più, e non solo,
quella che gli americani chiamano horse-race poll,
indicando così lo scontro che mette di fronte
due candidati di schieramenti opposti senza dare ai
cittadini la minima possibilità di intervenire
sulla campagna elettorale, di far sentire la propria
voce, di dire chiaramente quali temi ritengono più
importanti e quali chiarimenti esigono dalla politica
per capire intorno a quali problemi politici ruota il
loro destino. Ecco allora il tentativo di costruire
delle buone storie giornalistiche, lasciando che dalla
società civile emerga la voce degli elettori,
dei cittadini che dicono a chiare lettere dove cade
il loro interesse e cosa non è sufficientemente
spiegato, approfondito. Il tutto trasmesso dalle frequenze
della tv pubblica.
We
The People
È un progetto, basato sulla partnership tra media
diversi, che aspira a rinsaldare e a rendere migliore
il rapporto tra privati cittadini e la vita pubblica
attraverso incontri dal vivo nelle città del
Wisconsin, forum con esponenti del mondo politico dedicati
a particolari issues dell’agenda politica, inchieste
giornalistiche. La partnership coinvolge il Wisconsin
State Journal, la Wisconsin Public Television, la Wisconsin
Public Radio, WISC-tv.
In che cosa consiste il progetto We The People? Nell’organizzazione
periodica di incontri e forum che permettano ai cittadini
di fare domande e discutere dei problemi che ritengono
più importanti con politici, con esperti e anche
tra loro. Il progetto, che va avanti da oltre tredici
anni, mette in piedi iniziative sia di interesse nazionale
(come la campagna per le elezioni presidenziali) sia
di dimensione esclusivamente locale.
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