282 - 27.07.05


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Contro il terrorismo
da Londra al Cairo
Giancarlo Bosetti

La risposta di Tony Blair è la risposta di tutti noi europei, noi occidentali, noi di quella parte del mondo che ha in comune tante cose che scopriamo come in una illuminazione dolorosa e potente nel momento in cui ci troviamo a condividere la sofferenza, il sangue, i morti. Gente come noi nella routine del traffico mattutino, improvvisamente straziata e calata nella fuliggine di una guerra, come Atocha, come New York Downtown.

“Se cercano di cambiare il nostro paese o il nostro stile di vita con questi metodi, noi non cambieremo. Se cercano di dividerci o di indebolire la nostra tenacia, non ci divideremo e la nostra tenacia non vacillerà”.
Blair parlava del suo paese e del popolo inglese, ma quelle parole valgono per noi, per l’America dell’11 settembre, per la Spagna dell’11 marzo, per il prossimo bersaglio del terrorismo che, sappiamo, potremmo essere anche noi. E sarebbe bello che valessero soprattutto per l’Europa, se finalmente trovasse l’energia per “non dividersi”, per un progetto di azione, di difesa dal terrorismo, di proiezione nel mondo dell’orgoglio per una way of life, per uno “stile”, un modo di essere, un genere di quotidianità benigna, che almeno per contrasto – di fronte al fanatismo, al fondamentalismo, agli assoluti dei suoi nemici giurati, i terroristi islamisti di Al Qaeda – ci dovrebbe apparire più concreta di uno slogan, più preziosa della retorica politica sul “modello sociale europeo”, più nostra, più cara, più amata.

Amata al punto che la sua difesa può valere qualche sacrificio. Non si può immaginare che sia un problema soltanto americano, che la delega militare alla Casa Bianca ci consenta di lavarcene le mani. Tanto più se non ci piace (e non ci piace) il modo in cui Bush ha condotto le operazioni in Iraq, di cui a questo punto si può dire che, se hanno avviato un difficilissimo esperimento democratico che deve essere sostenuto, non hanno né piegato né indebolito il terrorismo. Che era il problema principale, e che avrebbe giustificato la guerra come l’aveva giustificata in Afghanistan.

Ma facciamo attenzione. A Londra abbiamo detto che è stato colpito l’occidente, ed è vero, ma forse non è ben detto: qui sta in agguato il pericolo di un terribile oscuramento delle dinamiche che muovono il terrorismo jihadista. Un oscuramento della nostra visione che potrebbe involontariamente aiutare i peggiori nemici della civiltà e della pace. Ogni giorno in Iraq vengono massacrati musulmani inermi da squadre jihadiste. E proprio nelle stesse ore del massacro di Londra, AlQaeda annunciava l’esecuzione di Ihab al-Sharif, ambasciatore designato dell’Egitto a Baghdad. Commenta il New York Times che si tratta dell’attacco più serio condotto da gruppi ribelli islamici nel loro sforzo di intimidire i paesi arabi che si stavano muovendo verso legami diplomatici pieni da quando si è insediato il governo di transizione dopo le elezioni. Era un passo significativo in avanti, considerato il peso dell’Egitto nel mondo arabo, tanto più che i nuovi leader iracheni sono sciiti mentre l’Egitto è in prevalenza sunnita ed ha una notevole influenza sul miliardo di sunniti che popolano il mondo mussulmano.

Anche lì c’è una opinione pubblica scossa e umiliata dal sangue. La figlia di Ihab al-Sharif in televisione ha parlato con fierezza del coraggio e del senso del dovere di suo padre. E quell’assassinio è stato compiuto da una organizzazione che porta lo stesso nome e ha le stesse finalità di quella che ha ucciso i nostri concittadini londinesi. Quell’ideologia dichiara di operare su mandato divino per combattere un governo tirannico e alleato di ebrei e cristiani. Ai loro occhi, quelli del “giudizio di Dio”, l’Egitto musulmano tradisce e passa dalla parte dell’occidente infedele.

Come non vedere allora che la guerra contro il terrorismo avrà bisogno di una tessitura di alleanze più ampia, molto più ampia di quella della coalizione dei willings in Iraq? Una tessitura in cui decisivo sarà l’apporto del variegato mondo musulmano, dove forse si gioca lo scontro più importante, quello che solo può decidere l’annientamento di AlQuaeda e delle sue multiformi proliferazioni. Ihab al-Sharif è un eroe importante, per il mondo intero, perché era personalmente esposto in questo punto cruciale di giunzione tra civiltà.

 

 

 

 

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