La risposta di Tony Blair è la risposta di
tutti noi europei, noi occidentali, noi di quella
parte del mondo che ha in comune tante cose che scopriamo
come in una illuminazione dolorosa e potente nel momento
in cui ci troviamo a condividere la sofferenza, il
sangue, i morti. Gente come noi nella routine del
traffico mattutino, improvvisamente straziata e calata
nella fuliggine di una guerra, come Atocha, come New
York Downtown.
“Se cercano di cambiare il nostro paese o il
nostro stile di vita con questi metodi, noi non cambieremo.
Se cercano di dividerci o di indebolire la nostra
tenacia, non ci divideremo e la nostra tenacia non
vacillerà”.
Blair parlava del suo paese e del popolo inglese,
ma quelle parole valgono per noi, per l’America
dell’11 settembre, per la Spagna dell’11
marzo, per il prossimo bersaglio del terrorismo che,
sappiamo, potremmo essere anche noi. E sarebbe bello
che valessero soprattutto per l’Europa, se finalmente
trovasse l’energia per “non dividersi”,
per un progetto di azione, di difesa dal terrorismo,
di proiezione nel mondo dell’orgoglio per una
way of life, per uno “stile”,
un modo di essere, un genere di quotidianità
benigna, che almeno per contrasto – di fronte
al fanatismo, al fondamentalismo, agli assoluti dei
suoi nemici giurati, i terroristi islamisti di Al
Qaeda – ci dovrebbe apparire più concreta
di uno slogan, più preziosa della retorica
politica sul “modello sociale europeo”,
più nostra, più cara, più amata.
Amata al punto che la sua difesa può valere
qualche sacrificio. Non si può immaginare che
sia un problema soltanto americano, che la delega
militare alla Casa Bianca ci consenta di lavarcene
le mani. Tanto più se non ci piace (e non ci
piace) il modo in cui Bush ha condotto le operazioni
in Iraq, di cui a questo punto si può dire
che, se hanno avviato un difficilissimo esperimento
democratico che deve essere sostenuto, non hanno né
piegato né indebolito il terrorismo. Che era
il problema principale, e che avrebbe giustificato
la guerra come l’aveva giustificata in Afghanistan.
Ma facciamo attenzione. A Londra abbiamo detto che
è stato colpito l’occidente, ed è
vero, ma forse non è ben detto: qui sta in
agguato il pericolo di un terribile oscuramento delle
dinamiche che muovono il terrorismo jihadista. Un
oscuramento della nostra visione che potrebbe involontariamente
aiutare i peggiori nemici della civiltà e della
pace. Ogni giorno in Iraq vengono massacrati musulmani
inermi da squadre jihadiste. E proprio nelle stesse
ore del massacro di Londra, AlQaeda annunciava l’esecuzione
di Ihab al-Sharif, ambasciatore designato dell’Egitto
a Baghdad. Commenta il New York Times che si tratta
dell’attacco più serio condotto da gruppi
ribelli islamici nel loro sforzo di intimidire i paesi
arabi che si stavano muovendo verso legami diplomatici
pieni da quando si è insediato il governo di
transizione dopo le elezioni. Era un passo significativo
in avanti, considerato il peso dell’Egitto nel
mondo arabo, tanto più che i nuovi leader iracheni
sono sciiti mentre l’Egitto è in prevalenza
sunnita ed ha una notevole influenza sul miliardo
di sunniti che popolano il mondo mussulmano.
Anche lì c’è una opinione pubblica
scossa e umiliata dal sangue. La figlia di Ihab al-Sharif
in televisione ha parlato con fierezza del coraggio
e del senso del dovere di suo padre. E quell’assassinio
è stato compiuto da una organizzazione che
porta lo stesso nome e ha le stesse finalità
di quella che ha ucciso i nostri concittadini londinesi.
Quell’ideologia dichiara di operare su mandato
divino per combattere un governo tirannico e alleato
di ebrei e cristiani. Ai loro occhi, quelli del “giudizio
di Dio”, l’Egitto musulmano tradisce e
passa dalla parte dell’occidente infedele.
Come non vedere allora che la guerra contro il terrorismo
avrà bisogno di una tessitura di alleanze più
ampia, molto più ampia di quella della coalizione
dei willings in Iraq? Una tessitura in cui
decisivo sarà l’apporto del variegato
mondo musulmano, dove forse si gioca lo scontro più
importante, quello che solo può decidere l’annientamento
di AlQuaeda e delle sue multiformi proliferazioni.
Ihab al-Sharif è un eroe importante, per il
mondo intero, perché era personalmente esposto
in questo punto cruciale di giunzione tra civiltà.
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