281 - 13.07.05


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Più coraggio, Europa

Ferdinando Targetti



Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano L'Unità.


Il Consiglio europeo, sotto la presidenza del primo ministro lussemburghese Jean-Claude Junker, nella riunione del 16 e 17 giugno il bilancio 2007-2013. I governi che compongono il Consiglio non hanno trovato l’accordo. L’evento è più dannoso dell’esito negativo dei due referendum francese e olandese alla ratifica del trattato sulla Costituzione europea. Il progetto europeo subisce un brusco arresto. Ci vorrà una classe politica di grande spessore per superare questo impasse. Cercherò di contribuire a fare chiarezza su una questione complessa e ad esporre alcune convinzioni.

1. Quale Europa si vuole costruire.
La bocciatura del bilancio europeo da parte di Gran Bretagna e Olanda ha messo in evidenza che si sono radicate due visioni diverse dell’Europa. Una è propria della Gran Bretagna che vede l’Europa come un’area di libero scambio in cui viene conservato il mercato unico e rafforzati gli istituti di garanzia delle libertà economiche. L’altra visione è quella dell’asse franco-tedesco che tende a fare dell’Europa un’unità politica, che manifesti solidarietà tra gli stati membri. I francesi che hanno votato no perché volevano più Europa sociale hanno ottenuto un risultato opposto. Infatti in questo momento l’asse franco-tedesco è in crisi ed è politicamente più forte l’opzione inglese.

2. Chi governa le istituzioni europee.
Per lungo tempo hanno convissuto due visioni. La prima vedeva l’UE come l’Europa degli Stati, vedeva nel Consiglio dei ministri il centro del potere e vedeva nella Commissione solo un organo tecnico che doveva far rispettare i Trattati. La seconda vedeva la UE come un processo che andava muovendo verso una sorta di stato federale, dove la Commissione fungeva da governo dell’Unione. Questa con il tempo avrebbe dovuto assumere un potere crescente, legittimato sempre più in modo diretto dal Parlamento europeo. La prima visone continuava a richiede l’unanimità di tutti i governi su tutte le decisioni importanti, la seconda prevedeva invece spazi sempre più ampi per decisioni prese a maggioranza (parzialmente ponderate con il peso delle popolazioni).

3. Europa soggetto politico.
Due diverse concezioni di Europa hanno convissuto in tema di politica estera e di difesa. La crisi irachena ha messo a nudo che l’Europa non era in grado non dico di perseguire, ma neanche di formulare una politica estera comune, soprattutto quando si trattava di prendere una posizione autonoma rispetto agli Stati Uniti. La Gran Bretagna ha seguito una politica di relazioni preferenziali con gli Stati Uniti, la Francia di mini super potenza, la Germania di non intervento militare, l’Italia di ambiguità e così via.

4. L’allargamento.
Si è pensato che sarebbe stato possibile allargare l’Unione Europea prima di approfondirne le istituzioni, o meglio prima di far emergere in un chiaro confronto politico quale delle due visioni prima sommariamente esposte sarebbe stata quella sulla quale si sarebbe basata il futuro della Ue. E’ stato un errore. Si noti che è stato un errore non perché i nuovi aderenti siano paesi meno europeisti degli altri. (Lo dimostra il fatto che il primo ministro polacco, Marek Belka, durante il Consiglio ha proposto, seguito poi dai rappresentanti dei governi, ungherese, ceco e sloveno, di rinunciare a parte dei benefici che sarebbero derivati al suo paese dall’allargamento, pur di contribuire al raggiungimento di un accordo di tutti i paesi sul bilancio, accordo che Gran Bretagna e Olanda hanno comunque rifiutato). E’ stato un errore invece sia perché molti dei no ai referendum sulla costituzione avevano come motivazione la paura dell’allargamento alla Turchia e a paesi che presentavano un’ampia offerta di lavoro a buon mercato, sia perché la bocciatura del bilancio è stata provocata da quei paesi che non volevano sostenere l’onere finanziario che l’allargamento comportava. Si sarebbe dovuto prima rafforzare un nocciolo duro di paesi che erano uniti dalla stessa idea di Europa e poi allargare quell’Europa a chi condivideva il progetto. Se la Gran Bretagna fosse stata esclusa dal nocciolo duro e avesse partecipato solo ad una Unione più ampia e meno coesa sarebbe stato un problema molto più facilmente affrontabile di quello nel quale si trova oggi l’Europa.

5. I nodi del bilancio e la Pac.
Ogni paese ottiene dall’Unione un beneficio dai vari capitoli di spesa: agricoltura, aree depresse eccetera. La politica agricola comune, Pac, fu introdotta nel 1962 come primo accordo franco-tedesco: i francesi accettavano le importazioni senza dazi dei manufatti tedeschi e i tedeschi finanziavano la modernizzazione dell’agricoltura dei francesi. Ancora oggi il 43% del bilancio comunitario è speso per la Pac e la Francia è ancora la maggiore beneficiaria. Gli inglesi hanno sempre contestato il meccanismo della Pac, per i britannici era meglio sovvenzionare i redditi dei contadini e non sostenere i prezzi di (alcuni) prodotti agricoli. Quando aderirono alla UE la signora Thatcher ottenne uno sconto, di circa 4 miliardi, su quanto l’Uk doveva contribuire all’Unione perché gli inglesi non traevano vantaggio dalla Pac. Il negoziato sul bilancio si è infranto settimana scorsa sullo sconto britannico che avrebbe superato i 7 miliardi con l’allargamento della UE. Blair era disposto a ridiscuterlo solo se si metteva in discussione anche la Pac e si fossero spostate le spese dall’agricoltura alla ricerca. A queste difficoltà vanno aggiunte anche quelle sulla misura del contributo dei paesi al bilancio dell’Unione, che la Commissione avrebbe voluto raggiungesse il 1,24% del Pil di ogni paese, la presidenza lussemburghese fosse limitato all’1,06%, mentre i paesi alleati della Gran Bretagna non eccedesse l’1%. E’ evidente la natura politica dello scontro. Infatti dal punto di vista logico gli inglesi hanno ragione a mettere in discussione la Pac, ma le cose non potevano non avvenir per gradi e i francesi si erano detti disponibili a veder ridotto in modo consistente il bilancio della Pac stessa, ma questo non è stato sufficiente. L’Inghilterra voleva ottenere una sorta di Waterloo che partendo dal bilancio della Ue mandasse in frantumi l’asse franco-tedesco.

6. I referendum di ratifica della costituzione europea.
Con la Costituzione europea si è tentato di eludere questi nodi politici, ma purtroppo due paesi hanno votato no al referendum. All’interno di quei no si ritrovano delle posizioni inaccettabili, le posizioni antieuropeiste che desiderano più nazione e più barriere, ma si ritrovano anche delle posizioni molto europeiste, che chiedevano più e non meno governo europeo. La Costituzione che è stata sottoposta a referendum sul terreno delle riforme delle istituzioni economiche non era nulla di più che l’insieme dei Trattati i quali andavano bene forse per dar vita alla moneta unica, ma che non vanno bene per gestire un’area grande come gli Stati Uniti.

7. Moneta unica e riforme della politica economica.
La UE richiede un di più di politica, non solo in termini di difesa e politica estera, ma anche in termini di istituzioni economiche. La bozza di Costituzione europea non prevede a fianco di un’autorità monetaria unica un’autorità di bilancio unica. L’Europa dell’Euro ha invece bisogno di una politica economica che sia frutto di un DPEF votato dal Parlamento europeo. In questo bilancio europeo ci dovrebbe essere, come vogliono gli inglesi, molto meno spazio per anacronistiche difese degli agricoltori e molto più spazio per politiche sociali e di investimenti in educazione e infrastrutture. Questa politica economica europea tuttavia, a differenza di ciò che vogliono gli inglesi, dovrebbe:
a. avere un bilancio che non sia limitato all’1% del Pil dei paesi membri;
b. non essere vincolata dal pareggio di bilancio;
c. poter realizzare una politica di investimenti potendo fare ricorso al mercato dei capitali;
d. poter uniformare le politiche fiscali (almeno nelle basi imponibili) dei vari paesi, in modo che i principi di progressività siano rispettati;
e. poter realizzare una politica della domanda autonoma che non dipenda dalla locomotiva americana.

8. Una linea politica per la sinistra europea.
Gli eventi recenti come la vittoria anglo-olandese rispetto all’asse franco-tedesco in tema di bilancio, i risultati negativi dei referendum sulla Costituzione, la futura presidenza dell’Unione in capo al primo ministro britannico, tutto ciò sembrerebbe suggerire un abbandono delle posizioni più federaliste. Questo sarebbe un errore. Se la sinistra europea continentale riuscisse invece a darsi un obiettivo politico comune di un’Europa federale, si potrebbe intravedere la possibilità di fuoriuscire dall’attuale impasse con accordi di cooperazione rafforzata tra paesi che diano luogo non solo sul terreno della politica estera e di difesa, ma anche sul terreno economico ad istituzioni che possano realizzare delle politiche economiche federali. Passi avanti sono ancora possibili, dovrebbero avvenire su un terreno politico più partecipato, sulla base di un’assemblea costituente elettiva – che è ciò che aveva in mente Spinelli. In quella tenzone politica si presenterebbero partiti più o meno europeisti e io credo che i più europeisti avrebbero un seguito maggioritario purché prospettino ai cittadini un’Europa a loro più vicina e governata da istituzioni delle quali si sentano più partecipi.

 

 

 

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