“Uscire dall’Euro? È una follia,
le conseguenze sarebbe disastrose. Siamo in Fantaeconomia”
così Tito Boeri, docente di Economia del Lavoro
presso l'Università Bocconi di Milano e animatore
del sito La voce.info, vede la proposta della
Lega di uscire dalla zona Euro e di tornare alla vecchia
lira.
Quali sono stati gli effetti principali dell’introduzione
dell’euro sulle economie europee e su quella
italiana?
Innanzitutto l’euro ha creato più commercio
dentro l’Unione, dove si sono sviluppati gli
scambi interni, ed una maggiore stabilità di
tutta l’economia continentale. Per quanto riguarda
l’Italia l’effetto più importante
è stato l’abbattimento dei tassi di interesse
che ci ha permesso di ridurre considerevolmente il
nostro deficit pubblico e di avere un processo di
consolidamento e di riduzione del debito. Abbiamo
ridotto i tassi che praticavamo sui titoli di Stato
di circa 4/4,5 punti di Pil di spesa per interessi.
Si tratta di un beneficio molto importante. L’euro
ci ha dato poi molta più stabilità riducendo
le fluttuazioni del tasso di cambio di fronte a shock
internazionali ed interni come lo scandalo Parmalat
ed altre crisi finanziarie. È difficile quantificare
l’effetto della moneta unica, ma c’è
stato ed è stato importante. D’altro
canto, uno dei costi che ci sono stati imposti dall’euro
è stato quello di non poter più effettuare
delle svalutazioni competitive (del valore della moneta,
ndr) che l’Italia ha largamente utilizzato durante
gli anni Ottanta e i primi anni Novanta per creare
maggiore appetibilità dei nostri prodotti all’estero.
Ma le svalutazioni competitive erano un vantaggio
di breve periodo perché nel lungo periodo si
sono rivelate un freno per la nostra economia che
non ha stimolato una modificazione della specializzazione
produttiva.
Quali altre conseguenze avevano le svalutazioni?
Un aumento dell’inflazione che colpiva soprattutto
i più poveri, che non avevano modo di proteggersi
dall’aumento dei prezzi, e i percettori di redditi
fissi.
Alcuni uomini politici italiani addebitano
all’euro la mancata crescita delle economie
europee. È vero secondo lei?
No, non credo che abbia avuto conseguenze negative.
È vero, invece, che le economie che sono riuscite
a cambiare la loro specializzazione produttiva sono
riuscite anche ad espandere le esportazioni. Pensiamo
al caso della Germania che è molto eloquente
a questo proposito. Al cambio, infatti, si chiede
soprattutto di dare una certa stabilità e di
proteggere dagli shock esterni.
Anche lei pensa, quindi, che quella dell’Euro
è una storia di successo come ha detto il presidente
della Bce Trichet?
Sì, molti dei paesi che hanno adottato l’euro,
sono cresciuti a tassi elevati, come l’Irlanda,
la Finlandia, l’Olanda; da un po’ di tempo
anche Francia e Germania hanno ripreso a crescere.
E poi ci sono paesi fuori dalla moneta unica che spingono
per entrare. Ed anche questo è un sintomo del
fatto che stare nell’area euro ha una sua utilità.
In Italia, la Lega parla di uscire dall’Euro.
È una proposta realizzabbile, secondo lei,
e quali conseguenze comporterebbe?
Sarebbe una follia, ma in linea di principio non
credo che il Trattato di Maastricht impedisca ad un
Paese di uscire dalla moneta unica. Gli effetti sarebbe
tantissimi. Innanzitutto, si avrebbe un peggioramento
sul debito pubblico a causa dell’abbassamento
del rating internazionale (il grado di affidabilità
e solvibilità di un Paese stabilito da agenzie
internazionali, ndr) e un aggravamento del deficit
pubblico per via proprio dell’aumento degli
interessi sul debito pubblico. In due anni perderemmo
tutto il dividendo ottenuto su questa singola partita
grazie all’introduzione dell’euro. Poi
avremmo immediatamente un’inflazione più
alta, perché la nostra moneta si svaluterebbe
nei confronti dell’euro e, vista la nostra grande
integrazione in termini di scambi commerciali con
i paesi dell’area euro, questo comporterebbe
un immediato aumento dei prezzi. Non mi ci faccia
nemmeno pensare… per fortuna questa proposta
appartiene alla Fantaeconomia.
Quali sono le ricette da mettere in campo
in Italia allora per rilanciare un’economia
che è in stagnazione, se non in recessione?
C’è un mix di politiche da attuare.
Innanzitutto, bisogna fare alcune riforme strutturali,
intervenendo sulla liberalizzazione del sistema dei
servizi dove esistono mercati protetti e monopolistici,
che impongono costi molto alti penalizzando la competitività
delle imprese che esportano. Questa è veramente
la palla al piede delle nostre esportazioni. Bisogna,
poi, ridurre la spesa pubblica riducendo gli sprechi
in molti settori, nella pubblica amministrazione e
non solo, e rivedere il decentramento fiscale. Inoltre,
sono necessari alcuni interventi nei mercati finanziari.
È certo, infatti, che la mancata riforma del
risparmio non ha aiutato a creare le condizioni perché
le nostre imprese potessero modificare la loro specializzazione
produttiva investendo in settori nuovi e di punta.
Infine, va fatta una riforma degli ammortizzatori
sociali che permetta alle persone di cambiare lavoro
senza traumi, accompagnando la flessibilità
del mercato del lavoro.
Sono tutte riforme a carattere nazionale.
Non pensa però che anche all’interno
dell’Europa, in particolare di quella a 25,
esistano forme di concorrenza sleale tra paesi? Alcuni
analisti parlano di un vero e proprio un dumping sociale
e fiscale nel continente. Può essere questo
un motivo che incoraggia la contrarietà all’Unione
che si sta registrando in questi ultimi tempi?
Tutti i paesi della vecchia e della nuova Europa
hanno sistemi sociali abbastanza sviluppati con volumi
di spesa piuttosto alti, soprattutto in relazione
al loro grado di sviluppo. Certo, i redditi mediamente
più bassi percepiti nei nuovi dieci paesi possono
creare situazioni di vantaggio competitivo nel breve
periodo; si tratta però di situazioni piuttosto
limitate perché sono paesi commercialmente
integrati con flussi di capitali che già prima
dell’allargamento si muovevano nelle due direzioni.
Per quanto riguarda il dumping fiscale, i paesi dell’allargamento
hanno fatto la scelta, comprensibile, di attrarre
capitali con un’imposizione più bassa.
Su questo c’è una proposta di Monti di
cui si parla ormai da tanti anni, e cioè quella
di trovare forme di armonizzazione delle tassazioni
di capitali; penso che in questo quadro una forma
di coordinamento fiscale sarebbe utile. Ma non è
l’allargamento ad aver provocato, con le sue
conseguenze, il voto negativo in Francia e in Olanda,
mi lasci notare, tra l’altro, che i flussi migratori
dai nuovi paesi membri sono stati più bassi
di quanto avessimo previsto; mi pare che si sia trovato
un capro espiatorio, l’Europa, per problemi
che sono tutti di carattere interno. Forse un election
day europeo sulla Costituzione avrebbe permesso un
dibattito più ampio e non avrebbe sovrapposto
situazioni nazionali a quella europea.
Edgar Morin parla di un’Europa che
va intesa come comunità di destini, come costruzione
di un futuro comune. Sono molti coloro che rimproverano
all’Unione europea di aver prestato troppa attenzione
agli aspetti economici e troppo poca alla realizzazione
di una identità culturale europea. Non c’è
in questa Europa troppa economia e poca politica?
È indubbio che l’integrazione europea
sia andata molto più avanti a livello economico
rispetto a quello politico. Bisognerebbe trovare delle
sinergie tra queste due diverse dimensioni. Ad esempio,
se l’agenda delle riforme strutturali, come
quella di Lisbona, delineasse poche e vere priorità
(come
la competizione dei mercati, la creazione di agenzie
europee su difesa, ricerca, ecc.) e se su questo aspetto
ci fosse un vero dibattito pubblico nei singoli paesi,
forse si supererebbe la scissione che si registra
tra quello che avviene a livello europeo e quello
che avviene nei singoli paesi. Se i piani che devono
essere elaborati a livello nazionale e poi concordati
con Bruxelles, penso ad esempio a quello sull’occupazione,
fossero oggetto almeno di discussione in Parlamento
e non un affare interno al governo, forse i cittadini
e non solo loro capirebbero davvero che cosa è
l’Europa e si creerebbe col tempo una coscienza
pubblica europea.
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