280 - 29.06.05


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Dall’America dicono:
è una cattiva notizia
Mauro Buonocore

“Vive la France” hanno esultato alcuni commentatori dagli States di fronte alla vittoria dei non. “Vive la France”, perché ha inferto una dura sconfitta a Chirac, nemico giurato della politica estera dell’amministrazione Bush. “Vive la France” che indebolisce l’Unione europea che, schiaffeggiata dai referendum, dovrà abbassare la testa e ridimensionare il progetto che la vede unico contrappeso alla potenza americana sul palcoscenico internazionale.

Ma non tutti gli osservatori americani la pensano allo stesso modo, e c’è chi prova a raffreddare gli entusiasmi ammonendo con fermezza che non c’è niente da festeggiare e commentando dagli Usa gli esiti dei referendum tira fuori una frase secca ma inequivocabile: “it is bad news for us”, cattive notizie.
Primo fra questi Philip H. Gordon, direttore del Center on United States and Europe presso la think tank democratica Brooking Istitutions: “Gli americani dovrebbero trattenere i loro applausi che presto potrebbero trasformarsi in rimpianti”, scrive Gordon in un articolo apparso su The New Repubblic . Infatti gli oppostitori di Chirac e della costituzione europea compongono un eterogeneo gruppo di estremismi di sinistra e di destra, populisti e nazionalisti, che poco hanno a che fare con le ragioni che oggi fanno esultare gli Americani: “In altre parole – ammette lo studioso americano rivolgendosi alla plaudente schiera neo-con – se non vi piaceva la politica francese prima di domenica (29 maggio), d’ora in poi vi piacerà ancora di meno”.

La verità, continua Gordon, è che gli Usa guardano con attenzione all’Europa non tanto (o almeno non solo) come una potenza che vuole bilanciare il potere americano nella politica estera, ma anche e soprattutto come un partner economico, e questa sconfitta è un duro colpo d’arresto per l’Unione che nei prossimi anni sarà tutta presa e concentrata sui suoi problemi istituzionali.
Questa è la vera cattiva notizia.

Analizzando poi nel dettaglio la vittoria dei non in una intervista al quotidiano francese Le Figaro, Gordon sottolinea come i politici francesi usciti a braccia levate dalla tornata referendaria siano tutt’altro che vicini agli Usa: “È una vittoria degli schieramenti che si oppongono alla globalizzazione, al libero mercato, al capitalismo, è una vera e propria battuta d’arresto per l’economia”. Le Pen, Villiers, Bové, il partito comunista, tutte persone che vogliono una Francia meno aperta al libero mercato. E sono tutte persone che hanno vinto.

E allora sguardi preoccupati dagli Usa, pensieri accigliati per una parte degli osservatori americani che cercano in Europa un partner che vorrebbero stabile, ben saldo sulle proprie gambe istituzionali, e invece lo vedono spesso traballare, sbandare. “Il nostro interesse – conclude Gordon a Le Figaro – è tutto in un’Europa saldamente equipaggiata per l’economia di mercato, che sappia essere un partner commerciale, che si apra a nuovi membri, soprattutto ad est, e che supporti gli sforzi americani nel mondo”.
Ma quest’Europa, per il momento, segna il passo e barcolla, e inizia a guardare dentro i suoi confini, dove deve risolvere qualche (grosso) problema e rimettersi dritta in piedi, prima di lanciare occhiate oltre l’Oceano.

 

 

 

 

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