“Giovani, lasciate l’Italia”: è
questo il primo commento del dopo referendum rilasciato
a caldo alla stampa dell’immunologo Fernando
Aiuti, che definisce senza mezzi termini il nostro
paese “il Medioevo della ricerca”, quella
ricerca che ha come unico obiettivo la cura di “malattie
tremende che colpiscono l’umanità”.
Il fronte referendario incassa una pesante sconfitta,
ma non manca di individuare tutti i colpevoli: in
primo luogo, coloro che hanno fatto un uso strumentale
dell’astensione “sicuramente legittima
sul piano individuale ma utilizzata per unire coloro
che avversavano l’abrogazione della legge, coloro
che erano del tutto disinteressati al problema a coloro
che hanno operato l’astensione come scelta attiva”
(Cgil); in secondo, come sottolinea Daniele Capezzone,
segretario di Radicali Italiani, i mass media, specie
la televisione, colpevole di mesi di “disinformazione”;
infine, gli esponenti vaticani, e le ripetute dichiarazioni
di Benedetto XVI e di Camillo Ruini. Se quest’ultimo,
non senza una certa coerenza, ha commentato il voto
dicendo: “non ho combattuto per vincere, non
ho vinto”, ben altro tono soddisfatto ha invece
la dichiarazione emessa dall’agenzia stampa
dei Vescovi italiani, secondo cui “si registra
un’ampia convergenza, una rinnovata unità
del mondo cattolico italiano, che ha rotto gli schemi
tradizionali”.
E mentre infuria la polemica in An, Fassino ribadisce
che la battaglia per la modifica della legge continuerà
in Parlamento, incassando, ben magra consolazione,
anche la convergenza di alcuni componenti della Margherita.
Renzo Lusetti, membro del comitato Scienza e Vita
ha detto: “Nessun trionfalismo. Vogliamo comunque
modificare la legge 40 in meglio, ma prima va sperimentata
sino in fondo. Lo avevamo detto: questa legge si può
cambiare. E soprattutto non vogliamo modificare la
194”.
In ogni caso, mentre i politici di entrambi gli schieramenti
sono impegnati soprattutto a riflettere sulla valenza
più o meno politica del voto e sulle conseguenze
all’interno dei rapporto di forza delle rispettive
coalizioni, i commentatori più acuti si trovano
a convergere sulla tesi che vede nel risultato di
questo referendum un risultato drammatico per tutti.
Due sono le grandi sconfitte: in primo luogo, la politica,
e la sua autonomia: “La politica è debole,
condizionata, ricattata”, ha scritto Il
Riformista. Consapevole di non rappresentare
più il popolo, essa tuttavia non si accorge
di essere entrata in una fase post-democrazia, “dove
comandano le lobby e i media, ognuno padrone del suo
feudo, e il Parlamento non è più il
luogo della sovranità”. A ben poco serve
dunque esultare per il voto, dicendo, come fa il ministro
Matteoli, che “gli elettori hanno avuto capacità
di analisi e hanno scelto di non votare”. La
verità è, come mostrano sondaggisti
eccellenti, che la gran massa delle persone non ha
votato perché del tutto disinteressata, o perché,
incapace di trovare nella politica un disegno culturale
convincente, ha preferito seguire quella che Ezio
Mauro ha definito sulle pagine di Repubblica
la “grande agenzia di valori e tradizioni”
che è divenuta ormai la Chiesa cattolica. “Chiesa
e Vaticano”, ha scritto Mauro, “vedono
l’Italia improvvisamente come un gregge senza
guida e senza rotta, soprattutto senza più
idee forti, incapace di tradurre la laicità
dello Stato in uno spirito repubblicano libero e autonomo:
il terreno ideale per sperimentare - ed è la
prima volta in cinquant’anni - una sorta di
‘protettorato dei valori’, l’esercizio
di un potere non più temporale ma culturale
della Chiesa”.
La seconda sconfitta del referendum è, difficile
non vederlo, la sinistra, e la sua unità. Invece
di trovare convergenze forti, come il tema delicato
avrebbe richiesto, e compattarsi per portare avanti
una campagna comune in grado di recuperare, anche
se parzialmente, la distanza tra politica e paese
reale, essa si è frantumata in tre posizioni
diverse, rinnegando la sua tradizione storica e dimostrandosi
ormai incapace di incidere al di là della ristretta
cerchia delle élites. La diessina Vittoria
Franco, ricordando come la lotta referendaria sia
stata impari “a causa dell’astensionismo
fisiologico, della responsabilità di coloro
che, pur rivestendo cariche istituzionali hanno invitato
al non voto, e infine della data estiva scelta”,
sostiene che è necessario che “la sinistra
torni ad unirsi per le grandi battaglie sui diritti
civili”. Criticando quella che lei definisce
“la cabina di regia esterna” di questo
voto, la cura vaticana, la Franco auspica tra l’altro
che si riaffermi la priorità della politica
e che la legge ritorni al parlamento sovrano, e rilancia
la sua proposta di legge per alzare il numero dei
firmatari necessari perché si faccia un referendum
ad un milione, diminuendo però al contempo
il quorum necessario.
Sull’incapacità del centrosinistra di
portare avanti un coerente disegno valoriale, ha insistito
invece Ezio Mauro, ricordando come alla guerra culturale
ingaggiata dalle destre europee e d’oltreoceano
la sinistra non può non rispondere se non dotandosi
di un’identità di idee e convinzioni:
“Non si può reggere una partita in cui
la sinistra parla di sé, mentre la destra parla
della vita e della morte”.
Nel frattempo l’Italia si ritrova una legge,
la 40, che legifera sulla vita ma anche, visto il
rapporto tra staminali e gravi malattie, sulla morte.
Una legge che penalizza le donne, i malati e coloro
che dedicano con passione la loro vita alla ricerca,
una legge che, vista la remota possibilità
di una sua modifica in tempi rapidi, continuerà
a generare gravi ingiustizie e pesanti interferenze,
alla faccia dei tanti “liberali” che l’hanno
sostenuta, nella vita dei singoli e nelle loro possibilità
di scegliere, appunto, liberamente della propria vita
e della propria salute.
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