Il testo che segue è un estratto del secondo
capitolo del libro di Giorgio Tonini La ricerca
e la coscienza. La procreazione assistita tra legge
e referendum, uscito in allegato al quotidiano
Il
Riformista.
Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere,
tu mi conosci fino in fondo.
(Salmo 139, 13-14)
Le
nostre conoscenze scientifiche sono immensamente più
vaste di quelle di cui disponeva il salmista. E tuttavia,
la procreazione resta ancora un mistero, uno dei grandi
misteri dell'esistenza umana. Quando inizia la vita
di un essere umano? Quando sono cominciato io? Né
dalla scienza, né dalla filosofia, è
possibile ottenere una risposta conclusiva, tanto
meno una risposta condivisa.
Paradossalmente, il mistero sull'origine della vita
umana è apparso più fitto che mai, proprio
quando la possibilità di intervenire artificialmente
sulla procreazione si è fatta concreta, ossia
da appena un quarto di secolo, quello che ci separa
dalla nascita, nel 1978, della prima bambina concepita
in vitro.
Fino ad allora, il problema dell'inizio della vita
umana si era posto quasi esclusivamente in riferimento
all'aborto, pratica antica quanto la specie umana
e sulla quale ogni civiltà ha dettato le sue
regole, anche avvalendosi, a supporto delle stesse,
di una qualche teoria – più o meno evoluta,
a seconda dei contesti – sull'origine della
vita dell'essere umano e quindi sullo statuto ontologico
del feto.
Con la disponibilità di embrioni fuori dal
corpo materno, resa possibile dalle tecniche di fecondazione
in vitro, si è posto il problema "bioetico"
della liceità morale della loro produzione,
manipolazione, alterazione, distruzione. Cosa è
consentito, cosa non lo è? E perché?
La domanda sul "perché" rinvia necessariamente
alla domanda su "che cos'è" l'embrione.
Come dicono i filosofi, la questione circa lo statuto
etico dell'embrione (come ci dobbiamo comportare con
lui/esso) implica la questione circa lo statuto ontologico
(che cosa pensiamo che sia) dell'embrione medesimo.
A sua volta, la questione circa lo statuto ontologico
dell'embrione (cosa dice di lui/esso la filosofia),
si intreccia con quella circa il suo statuto biologico
(cosa dice di lui/esso la scienza).
Si tratta di piani distinti, ma non separati. Il discorso
che la scienza biologica fa sull'embrione si colloca
su un piano diverso dal discorso filosofico-ontologico,
il quale a sua volta si pone su un piano distinto
rispetto al discorso filosofico-etico. Eppure, si
tratta anche di piani interconnessi, che si influenzano
reciprocamente: è difficile decidere, o anche
solo discutere, come debba essere trattato l'embrione,
senza decidere, o almeno discutere, cosa esso sia,
vuoi sul piano filosofico (è una persona?),
vuoi su quello scientifico (quali sono le tappe del
suo sviluppo?). Viceversa, nell'effettuare ricerche,
o magari sperimentazioni, sull'embrione, per conoscerne
meglio lo sviluppo biologico, ci si imbatte in problemi
etici che non possono essere elusi.
Si tratta quindi di una relazione circolare tra i
diversi ambiti epistemologici, che certamente si condizionano
a vicenda, anche se non possono essere semplicemente
dedotti l'uno dall'altro. Come vedremo in queste pagine,
l'esplorazione dei diversi livelli problematici della
questione sull'embrione - e quindi sull'origine della
vita umana individuale-personale - ci introdurrà
in una "selva oscura", dalla quale usciremo
con più consapevolezza, ma non necessariamente
con più certezze.
Dal momento della fecondazione...
Uno degli esempi più eloquenti, oltre che autorevoli,
dell'approccio multidimensionale e interdisciplinare
alla riflessione sullo statuto dell'embrione, è
il documento della cattolica Sacra congregazione per
la dottrina della fede, Donum Vitae:
«Questa Congregazione conosce le discussioni
attuali sull'inizio della vita umana, sull’individualità
dell'essere umano e sull’identità della
persona umana. Essa richiama gli insegnamenti contenuti
nella Dichiarazione sull'aborto procurato: "Dal
momento in cui l'ovulo è fecondato, si inaugura
una nuova vita che non è quella del padre o
della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa
per proprio conto. Non sarà mai reso umano
se non lo è stato fin da allora. A questa evidenza
di sempre... la scienza genetica moderna fornisce
preziose conferme. Essa ha mostrato come dal primo
istante si trova fissato il programma di ciò
che sarà questo vivente: un uomo, quest'uomo-individuo
con le sue note caratteristiche già ben determinate.
Fin dalla fecondazione è iniziata l’avventura
di una vita umana, di cui ciascuna delle grandi capacità
richiede tempo per impostarsi e per trovarsi pronta
ad agire". Questa dottrina rimane valida e viene
peraltro confermata, se ve ne fosse bisogno, dalle
recenti acquisizioni della biologia umana la quale
riconosce che nello zigote derivante dalla fecondazione
si è già costituita l’identità
biologica di un nuovo individuo umano».
Come si vede, la dottrina ufficiale cattolica si
avvale, per elaborare e sostenere i suoi insegnamenti
morali sull'origine della vita, delle "recenti
acquisizioni della biologia umana", le quali
(a suo dire) convergono nell'individuare nella fecondazione
il "momento", il "primo istante"
nel quale si inaugura una nuova vita; e nello zigote,
che nasce dalla "fusione dei nuclei dei due gameti",
lo stadio al quale viene costituita "l'identità
biologica di un nuovo individuo umano".
Come scrive Angelo Serra, autorevole genetista dell'Università
cattolica di Roma, "la conclusione a cui porta
un'analisi scientifica e logica dello zigote"
è che "lì inizia una nuova
vita di un essere che non è anonimo;
è, in realtà, l'inizio di un
nuovo essere umano con la sua propria identità
e individualità, cioè di un reale
individuo umano".
La scienza sarebbe dunque in grado di fornire una
risposta chiara, se non definitiva, alla domanda circa
l'inizio della vita umana individuale; e quindi di
guidare la filosofia a riconoscere dignità
di persona a quell'individuo, posto che non può
darsi individuo umano che non sia persona.
Questa convinzione, circa il carattere razionalmente
cogente delle acquisizioni della ricerca scientifica,
è stata da ultimo ribadita, da parte di un
collega di Serra, Roberto Colombo, anch'egli genetista
della Cattolica, ad un recente convegno di bioetica.
A sostegno di questa tesi, Colombo ha citato quello
che ha definito il più autorevole testo di
embriologia del momento: Developmental biology,
dell'americano Scott F. Gilbert, giunto nel 2003 alla
settima edizione.
Il capitolo 7, ha detto Colombo, ha un titolo che
si commenta da sé: Fertilization: beginning
a new organism. Molti degli intervenuti al convegno
hanno contestato il primato in autorevolezza di Gilbert,
tentando di derubricarlo ad una delle tante voci della
scienza, ma Colombo ha avuto buon gioco nel citare
le metodologie valutative usate dalle università
americane, per dimostrare che, almeno ad oggi, il
libro di Gilbert è quello che "fa testo".
Ma la fecondazione non è un momento
E tuttavia, dalla lettura del libro di Gilbert e del
capitolo 7 in particolare, emerge un quadro più
complesso di quello dipinto da Serra e Colombo. Cominciamo
a leggere:
«La fecondazione (fertilization) è
il processo (process) attraverso il quale
due cellule sessuali (gameti) si fondono insieme per
creare un nuovo individuo con un genoma derivato da
entrambi i genitori. La fecondazione realizza due
risultati separati: la sessualità (la combinazione
dei geni derivati dai due genitori) e la riproduzione
(la creazione di un nuovo organismo). Così,
la prima funzione della fecondazione è trasmettere
i geni dal genitore alla prole e la seconda è
di iniziare nel citoplasma dell'uovo quelle reazioni
che permettano allo sviluppo di procedere».
Fin qui, Gilbert sembrerebbe confermare le tesi di
Serra e Colombo. Si parla di un "nuovo individuo",
creato dalla fecondazione. E tuttavia, per definire
la fecondazione non si usa la parola "atto",
o "momento", o "istante". Si usa
la parola "processo". La fecondazione è
un processo, non un atto, né un momento. In
che senso la fecondazione è un processo? Risposta
di Gilbert:
«Benché i dettagli della fecondazione
varino da specie a specie, il concepimento generalmente
consiste in quattro eventi principali: 1. Contatto
e riconoscimento tra spermatozoo e uovo. Nella maggior
parte dei casi, questo garantisce che i due gameti
siano della stessa specie. 2. Regolazione dell'ingresso
dello spermatozoo nell'uovo. Solo uno spermatozoo
può alla fine fecondare l'uovo. Questo si ottiene
usualmente consentendo ad un solo spermatozoo di entrare
nell'uovo e impedendo a tutti gli altri di entrare.
3. Fusione del materiale genetico di spermatozoo e
uovo. 4. Attivazione del metabolismo dell'uovo per
avviare lo sviluppo».
Il concepimento non è quindi un fatto istantaneo,
ma un'operazione complessa, che dura molte ore. Solo
al termine di questo processo abbiamo lo zigote, ossia
l'ovocita fecondato. Ciò significa che dire
"dal momento del concepimento", o anche
- come fa la Donum Vitae - "dal momento
in cui l'ovulo è fecondato", equivale
ad ammettere che esiste una fase, lunga quanto un
giorno intero, nella quale il contatto tra i gameti
è già avvenuto, ma il concepimento non
è ancora compiuto e lo zigote, di cui parla
la Donum Vitae, non c'è ancora.
In materia di aborto, il fatto che il concepimento
sia un processo articolato e non un evento istantaneo
può essere considerato come una sottigliezza
"descrittiva", priva di apprezzabili conseguenze
"prescrittive". In materia di Pma, si tratta
invece di un'acquisizione dalle macroscopiche conseguenze
pratiche. Basti pensare che, sulla base di questa
acquisizione, si potrebbe sostenere la liceità,
nell'ambito dei criteri affermati dalla cattolica
Congregazione per la dottrina della fede, del congelamento
del cosiddetto "ootide", ovvero l'ovocita
in via di fecondazione, allo stadio successivo al
contatto tra i gameti e all'ingresso dello spermatozoo
(fasi 1 e 2 di Gilbert), ma precedente la fusione
dei nuclei dei due gameti (fase 3). Allo stesso modo,
sempre sulla base di questa visione, si dovrebbe poter
intendere che l'affermazione dei "diritti del
concepito", di cui parla l'articolo 1 della Legge
40 - la legge italiana in materia di Pma - non "copra"
ciò che avviene in provetta nella prima giornata,
quando cioè la fecondazione è in corso
e quindi non c'è ancora nessun "concepito".
In ogni caso, si fatica a comprendere come Roberto
Colombo possa ad un tempo dichiararsi contrario alla
crioconservazione dell'ootide e fondare la sua visione
bioetica sulla embriologia di Gilbert.
E tuttavia, come è una forzatura, da parte
di Colombo, sostenere che l'embrione è un individuo
umano sin dal momento del concepimento, basandosi
sul lavoro di Gilbert, ugualmente improprio sarebbe
portare Gilbert a sostegno di un'altra soluzione -
etica, o addirittura legislativa - al problema di
come dobbiamo trattare l'embrione.
Anche perché, al capitolo 21 di Developmental
biology, si trova il rinvio ad un paper dello stesso
Gilbert e di Emily Zackin, consultabile nella sezione
di bioetica del sito
web collegato al libro. Secondo il paper, "la
letteratura scientifica contemporanea propone una
varietà di risposte alla domanda di quando
inizia la vita umana", ma "la scienza non
è stata in grado di dare una risposta definitiva
a questa domanda". L'etica non può quindi
invocare la scienza a supporto delle proprie autonome
decisioni.
Gilbert e Zackin giungono a questa conclusione dopo
aver censito e passato in rassegna ben sei diverse
visioni sull'inizio della vita umana individuale.
Si tratta di visioni "bioetiche", quindi
formulate nel dialogo multidisciplinare tra scienza
e filosofia. Pur essendo tutte e sei sostenute da
argomenti che poggiano su dati ricavati dalla ricerca
scientifica, si presentano nettamente e talvolta polemicamente
in contrasto tra loro.
Lo zigote è un individuo?
La prima è la visione "metabolica",
secondo la quale non esiste un singolo momento che
segna l'inizio della vita umana. Non solo lo sviluppo
dell'embrione, ma perfino il passaggio dai gameti
allo zigote, costituiscono un continuum,
all'interno del quale biologi e medici distinguono
varie fasi a mero scopo accademico. Questa posizione,
osservano Gilbert e Zackin, "è supportata
dalla ricerca recente, che ha rivelato che la stessa
fecondazione non è un evento istantaneo, ma
piuttosto un processo che impiega 20-22 ore".
La seconda è la visione "genetica",
per la quale l'inizio della vita va collocato al momento
nel quale si forma un individuo geneticamente unico.
Questo evento è generalmente identificato con
la fecondazione. In questa visione, la fecondazione
segna l'inizio della vita umana e lo zigote è
l'individuo umano al primo stadio. E in effetti, nessuno
può negare che il genoma dello zigote sia diverso,
sia da quello del padre che da quello della madre.
E tuttavia, commentano Gilbert e Zackin, "benché
l'opinione che la vita comincia alla fecondazione
sia la visione più popolare presso il pubblico,
molti scienziati non sostengono più questa
posizione, dal momento che un crescente numero di
scoperte scientifiche sembra contraddirla". Non
solo perché non c'è nessun "momento"
della fecondazione, ma anche perché lo stesso
incontro tra i due gameti non è un atto istantaneo,
ma piuttosto "una complessa interazione attraverso
la quale lo spermatozoo raggiunge la parte interna
dell'ovulo".
L'altra obiezione alla visione genetica, ricordano
Gilbert e Zackin, è il famoso "argomento
dei gemelli": lo zigote, che pure ha un genoma
diverso, sia da quello della madre che da quello del
padre, non sarebbe ancora un individuo, perché
nelle fasi successive può sì dar luogo
a un embrione (e quindi a un individuo), ma anche
a due o più (gemelli monozigoti), o anche a
nessuno. Quest'ultimo è anzi il caso più
frequente, se si considera l'elevatissima percentuale
di embrioni che si perdono naturalmente, molti dei
quali proprio in ragione di difetti genetici.
Sulla base di questa constatazione, il teologo cattolico
Norman M. Ford (un salesiano australiano), sostiene
che la vita umana nei primi giorni del suo sviluppo
manchi di individualità ontologicamente permanente
e non possa quindi essere definita con certezza come
un "individuo". E se lo zigote non è
un individuo umano, ma una cellula umana che può
dare origine ad uno, nessuno o più individui,
lo zigote manca del requisito fondamentale della persona,
dunque non è persona. Ford attenua poi questa
sua affermazione, scrivendo così a conclusione
del suo libro When did I begin? Conception of
the human individual in history:
«Finchè nella comunità persisterà
il dubbio ragionevole che lo zigote abbia status personale,
allo zigote va riconosciuto il beneficio del dubbio.
Conseguentemente occorre trattarlo come persona umana.
Se invece si arriverà ad ammettere che l'individuo
non può essere già formato nello zigote,
ma solo un po' più innanzi nel processo di
sviluppo, si deve concludere che un individuo umano
non può dirsi formato se non quando il processo
generativo sia completo».
Meno dubbi di Ford sembra nutrire Giuseppe Benagiano,
docente di ostetricia e ginecologia alla Sapienza
di Roma ed ex-direttore dell'Istituto superiore di
sanità. A partire dalla constatazione che un'altissima
percentuale di tutte le uova fecondate interrompe
il proprio sviluppo nelle prime due settimane dopo
il concepimento, Benagiano osserva che "se accettiamo
la tesi di coloro che sostengono l'esistenza di una
persona nell'uovo fecondato e comunque nei primi 15
giorni di vita", dovremo concludere, innanzi
tutto, che sono persone umane anche le uova fecondate
che si perdono perché in esse non si forma
nessun embrione; poi, che si deve dare importanza
esclusiva al concepimento come unico "punto di
partenza" del nuovo individuo: e ciò palesemente
"in contrasto con l'opinione della maggioranza
dei biologi che, pur considerando la fertilizzazione
come tappa indispensabile del cammino verso un nuovo
individuo, danno importanza preminente alla comparsa
della linea (o stria) primitiva". In terzo luogo,
«se ne dovrebbe concludere che... la grande
maggioranza degli individui concepiti nel corso della
storia non ha avuto alcuna possibilità di espressione
della propria potenzialità... teoria che a
me sembra implicare un ben crudele destino».
A quanto sembra, l'opinione prevalente (anche se
non esclusiva) nel mondo della ricerca scientifica
è che la fecondazione è una condizione
necessaria, ma non sufficiente perché si possa
parlare di individuo umano. Come ha scritto il biologo
Edoardo Boncinelli in un articolo per il Corriere
della Sera,
«La vita di un particolare organismo comincia
in condizioni normali con la fecondazione, cioè
con l'unione del gamete paterno con quello materno.
Non è un processo istantaneo per cui non ha
senso chiedersi esattamente il momento di questa unione,
ma certo questo cadrà all'interno delle ore
della prima giornata. Lo zigote così ottenuto
è un individuo? E, soprattutto, è un
individuo la morula di otto o sedici cellule presente
il giorno dopo, cioè il secondo giorno di gestazione,
quando si può eseguire, volendo, una diagnosi
preimpianto? E' certamente un progetto di individuo,
ma lo diverrà effettivamente soltanto nel 15-20
per cento dei casi, perché la maggioranza delle
morule non porterà, anche in condizioni normali,
a nessun embrione e una percentuale non trascurabile
di queste porteranno a due o più embrioni».
La maggior parte dei critici della visione "genetica"
dell'inizio della vita umana individuale si riconosce
in quella che Gilbert e Zackin definiscono visione
"embriologica". Secondo questa terza visione,
la vita umana individuale non inizia con la fecondazione,
ma con la "gastrulazione", un processo che
comincia alla terza settimana di gravidanza, quando
l'embrione si impianta nell'utero della madre. A questo
stadio di sviluppo dell'embrione, le cellule si differenziano
in tre categorie, che daranno origine a tre diversi
tipi di tessuto corporeo. "Dopo la gastrulazione
- scrivono Gilbert e Zackin - lo zigote è destinato
a formare non più di un solo essere umano".
Non c'è persona senza relazione
Oltre al criterio dell'indivisibilità, come
conditio sine qua non dell'essere persona,
la visione embriologica propone un altro argomento,
formulato a partire dalla sostanziale coincidenza
temporale della gastrulazione con l'annidamento nell'utero
della madre. E' il criterio della "relazionalità",
che per il "personalismo intersoggettivo"
è almeno altrettanto importante del criterio
della sostanzialità individuale. Significative,
al riguardo, le riflessioni del filosofo Pietro Prini:
«La comunicazione che fa dell'uomo un essere
distinto da tutte le altre specie animali è
quella che istituisce la relazione del "Noi"
inizialmente tra due soggetti, tra un "Io"
e un "Tu". La persona umana è essenzialmente
questa inter-soggettività, o forse
più precisamente questa con-soggettività,
come probabilmente avrebbe detto Antonio Rosmini,
se avesse potuto prevedere un secolo di progressi
della biologia genetica» (dal libro Lo scisma
sommerso. Il messaggio cristiano, la società
moderna e la Chiesa cattolica, Garzanti) .
Ebbene, scrive Prini, soltanto a partire dall'annidamento
dello zigote nell'utero della donna, dunque con l'inizio
della gestazione, si viene a stabilire la relazione
"con-soggettiva" madre-figlio, la prima
forma di relazione del nuovo essere umano, quella
che gli è indispensabile a diventare persona.
Prini fa suo un brano di un bioeticista cattolico,
il belga-canadese Jean-François Malherbe:
«Se la vita organica dell'essere umano
comincia con la fecondazione, la sua vita relazionale
comincia con l'annidamento. A partire dal momento
in cui lo zigote si converte in embrione (propriamente
detto), da quando si individualizza ed entra in comunicazione
con sua madre, la sua esistenza incomincia a dispiegarsi
nella dimensione psichica. Da questo momento già
si può parlare dell'embrione come una persona
umana in potenza».
Con la visione "embriologica" di Prini
concorda anche il teologo cattolico italiano Giannino
Piana, secondo il quale, sulla base dei risultati
della ricerca biogenetica, è fuori dubbio che
si può e si deve parlare di "vita umana"
fin dal momento del concepimento. Tuttavia, "la
stessa ricerca ha reso trasparente la necessità
di differenziare l'inizio della vita umana da quello
della vita personale, spostando in avanti, oltre la
fecondazione, la sua insorgenza" (Bioetica. Alla
ricerca di nuovi modelli, Garzanti).
Mentre Piana considera priva di plausibilità
quella che poi esamineremo come visione "neurologica"
- la visione che data l'inizio della vita personale
al momento in cui inizia il processo di cerebralizzazione
- egli considera invece "sempre più scientificamente
accreditata" la visione embriologica, per entrambe
le ragioni che rendono invece arduo il riconoscimento
della natura di persona allo zigote, il principio
di individuazione e il principio di relazione:
«Pur essendo la persona, in virtù della
sua costituzione ontologica, mai del tutto sperimentalmente
verificabile, la determinazione del momento in cui
essa ha inizio è legata al realizzarsi di alcune
condizioni riguardanti la corporeità (il dato
biologico); è cioè dipendente dalla
presenza di infrastrutture senza le quali non può
sussistere la stessa identità "spirituale".
Il legame indissociabile di corporeità e di
spirito nella costituzione dell'umano, con il recupero
pieno (e non puramente strumentale) della corporeità
come dimensione essenziale della soggettività
e la definizione dell'essere personale nella prospettiva
della relazionalità interpersonale (o intersoggettiva),
sembrano dare buona probabilità antropologica
alla tesi secondo la quale la vita personale avrebbe
inizio soltanto dal momento dell'annidamento dello
zigote».
Un'ulteriore variazione della visione embriologica
è quella proposta da Giovanni Reale, forse
il massimo studioso italiano di Aristotele, a lungo
docente di filosofia all'Università cattolica
di Milano. Sulla base delle categorie aristoteliche,
Reale sostiene (in un’intervista rilasciata
al settimanale Espresso) che l'embrione,
allo stato di zigote, "non è ancora un
uomo in atto, ma ha la potenzialità per diventarlo".
Solo che, dice Reale, questo vale per l'embrione concepito
nel corpo della madre, non per quello fecondato in
vitro. In questo caso infatti, l'embrione
si forma prima di essere collocato nell'utero della
donna. Ma solo da quel momento avrà la potenzialità
di crescere, di svilupparsi, non prima. "E' un
tema molto delicato", ammette Reale. "Ma
qualcuno dovrebbe spiegarmi come si può considerare
persona, sia pure in potenza, un embrione che non
si trova nel luogo giusto, cioè nel ventre
materno".
Merito della variante relazionale della visione embriologica,
al di là delle sue conclusioni etico-normative,
è aver messo in luce, pur nella distinzione,
l'intima connessione tra il destino dell'embrione
e il "fiat" della donna-madre.
Una connessione intrascendibile, che fa della gravidanza
una dimensione esistenziale e, di conseguenza, una
fattispecie etica e giuridica, irriducibilmente speciale:
"sia dal punto di vista biologico, sia da quello
morale, l'essere dentro il corpo di una donna, l'essere
dentro quella specifica relazione, è una circostanza
da cui non si può in alcun modo prescindere
e che ha una intrinseca rilevanza morale", come
sostiene Claudia Mancina ne suo Oltre il femminismo.
E' questa una delle principali acquisizioni culturali
del dibattito sulla depenalizzazione-legalizzazione
dell'aborto. Di essa si cominciano ad avvertire gli
echi perfino nelle riflessioni degli esponenti più
consapevoli del movimento pro-life. La crucialità
della gravidanza fatica invece ad emergere nella discussione
sulla Pma: quasi il rapporto tra il concepito, per
quanto fecondato in vitro, e la donna che
intende accoglierlo in grembo, fosse un accidente
tecnico, un mero fatto, privo di implicazioni di valore,
muto rispetto alla questione dello statuto - biologico,
ontologico, etico e giuridico - dell'embrione. Come
se la radicale dipendenza della vita (e quindi, in
definitiva, dell'esistenza stessa) dell'embrione,
dall'essere accolto dalla libera e responsabile decisione
di una donna, potesse non retroagire sulla decisione
pubblica riguardo al suo essere o non essere una persona.
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