Siamo giustamente liberi di scegliere se e quando
avere un figlio; siamo liberi di scegliere con chi.
Questo significa che lo Stato non può intervenire
a vietare o a limitare la procreazione senza macchiarsi
di illegittimità. Siamo poi, giustamente, meno
liberi di allevare quello stesso figlio come più
ci piace, e lo Stato interviene se gli facciamo del
male o lo trascuriamo (esiste una differenza importante
tra procreare e allevare, è bene ricordarlo).
In questo caso l’intervento dello Stato è
opportuno, perché protegge il figlio da eventuali
danni.
Mentre la procreazione naturale, com’è
giusto, non viene limitata da alcuna legge dello Stato,
nel caso in cui sia necessario ricorrere alla procreazione
medicalmente assistita (PMA) oggi in Italia ci si
imbatte nei numerosi divieti contenuti nella legge
40. I quattro quesiti referendari chiedono di abrogare
alcuni di questi divieti, in vigore dal febbraio del
2004.
Le tecniche di procreazione assistita dovrebbero
essere guardate né più né meno
come ogni altro rimedio medico e artificiale che ci
aiuta a far fronte a disabilità, malfunzionamenti
e difficoltà naturali. Ovvero, come un paio
di occhiali; come una iniezione di insulina; come
una sedia a rotelle o un apparecchio acustico.
Siamo liberi di ascoltare la musica che più
ci piace se non rechiamo danno a nessuno con un volume
troppo alto. Se il nostro udito fosse danneggiato
avremmo bisogno di una tecnica: un apparecchio acustico.
Ripristinata la possibilità di sentire, saremmo
liberi come prima di ascoltare la musica che più
ci piace, sempre non esagerando con il volume? Se
ci fosse una legge 40 sulle tecniche di acustica assistita
no, non lo saremmo, perché lo Stato verrebbe
a dirci che dobbiamo ascoltare soltanto l’opera
e i cantautori italiani, e non il jazz o la musica
rap. Alla difficoltà rappresentata da un difetto
acustico, si sommerebbe l’assurdità di
controlli e limitazioni imposti dallo Stato.
La situazione è proprio questa: chi non è
sterile gode di una assoluta libertà di procreare;
chi è sterile (o per altre ragioni dovrebbe
ricorrere alla procreazione assistita) è privato
di questa libertà. Le techiche ripristinano
una capacità originaria perduta, e non dovrebbero
intaccare la libertà, ovvero quello spazio
privato in cui dobbiamo essere liberi di scegliere
senza che lo Stato venga a imporre le sue idee di
ciò che è bene, e a sanzionare comportamenti.
I quesito:
abrogazione del limite di fecondare solo 3 ovociti,
dell’obbligo di impianto simultaneo, del divieto
di crioconservazione degli embrioni
Il primo motivo per abrogare questi divieti discende
dalla natura stessa della medicina. Se la medicina
potesse essere una pratica regolata da prescrizioni
universali, tipo “Quando un soggetto ha la polmonite,
la terapia giusta è tot milligrammi del tale
principio attivo per tot giorni con la tale frequenza”,
allora non avremmo più bisogno di medici, se
non forse per le diagnosi. Basterebbe un computer
per decidere i trattamenti migliori. Invece, i medici
sono necessari: siamo tutti diversi per età,
costituzione fisica, storia personale, profilo psicologico,
metabolismo, e così via. Una parte importante
del lavoro dei medici consiste nel calibrare sulla
nostra specifica natura individuale le linee guida
terapeutiche generali presenti sui manuali. Sarebbe
insensato stabilire per legge che deve esistere un
unico modo di procedere anche nel caso di un intervento
molto più semplice di quelli richiesti dalla
procreazione assistita. Si pensi alla bruciatura di
una verruca: anche in questo caso le modalità
dipendono dalla grandezza della verruca, dalla sua
estensione, dalla pelle della persona e così
via. Una legge che specifichi, nei particolari, la
procedura esatta attraverso la quale un medico deve
curare il prorio paziente, è una legge che
offende i medici (assimilandoli a marionette da dirigere)
e che danneggia i malati (impedendo loro di ricevere
la cura migliore possibile).
Sottoporsi a un ciclo di procreazione assistita non
è cosa di tutti i giorni, e l’intero
piano terapeutico deve essere commisurato alle caratteristiche
della donna che lo affronta, alla sua morfologia,
al suo stato di salute, all’età. Il successo
dell’impianto dipende da innumerevoli fattori.
Limitatamente all’età delle donne, sotto
ai 30 anni impiantare 3 embrioni contemporaneamente
comporta un alto rischio di gravidanze plurime (1
su 100, di contro a 1 su 400 per le gravidanze naturali).
E le gravidanze plurime sono rischiose per la mamma
e per i nascituri. Viceversa, in donne dai 35 anni
in su, limitare il numero di ovociti da fecondare
a 3 riduce le percentuali di successo per ciclo, e
costringe le donne a ricominciare il ciclo di procreazione
assistita dall’inizio: stimolazione ormonale,
prelievo chirurgico di ovociti, impianto. Quindi tre
non è il numero perfetto: è troppo alto
per le donne giovani, e troppo basso per le donne
meno giovani. La legge, qui, taglia con l’accetta.
È una legge redatta da politici interessati
a preservare equilibri politici, non certo da medici.
Ma perché, d’altra parte, i medici dovrebbero
desiderare che ci sia una legge (anche migliore di
questa) dove basta il loro buon senso e la loro professionalità?
La legge 40 vieta anche la crioconservazione degli
embrioni, ed è per questo che una donna che
non riesce a rimanere incinta dopo l’impianto
di tre embrioni non può semplicemente provare
con altri tre già pronti, ma deve ricominciare
con le stimolazioni ormonali (che danno effetti collaterali
non piacevoli) e prelievo di ovociti (che sono piccoli
interventi chirurgici). Siamo di fronte a una legge
che, quindi, impone ai medici di vessare le loro pazienti
con la ripetizione di trattamenti pesanti che sarebbe
perfettamente possibile subire una volta sola. Può
essere questa una buona legge?
Votare Sì significa anche eliminare
il divieto di ricorrere alla diagnosi genetica di
preimpianto (DGP). A che serve la DGP? Serve a scoprire
se il concepito è affetto da gravi malattie
genetiche (Beta Talassemia, Fibrosi Cistica, Corea
di Huntington, etc), permettendo così alle
persone portatrici o afflitte da queste malattie di
mettere al mondo un bimbo sano. La DGP è una
diagnosi che consente di individuare la presenza di
malattie gravissime ben prima che siano visibili
con le tecniche diagnostiche prenatali tradizionali
(villocentesi e amniocentesi) e in uno stadio in cui
l’embrione è ancora al di fuori del
corpo della donna, offrendole quindi la possibilità,
in caso di diagnosi infausta, di evitare un aborto
terapeutico.
La possibilità di ricorrere alla diagnosi
di preimpianto è ingiustamente vietata dalla
legge 40, che in questo modo nega la possibilità
di compiere una libera e seria scelta procreativa
anche per le persone non sterili ma affette da malattie
genetiche o virali (i sieropositivi, ad esempio, potrebbero
mettere al mondo un figlio sicuramente non affetto
dal virus HIV se potessero avvalersi della DPG).
Votare Sì riafferma la possibilità
di scegliere di non impiantare un embrione nel caso
di diagnosi infausta e di evitare la nascita di un
individuo gravemente malato. Non si tratta affatto,
come molti dicono, di “eugenetica”: l’eugenetica
hitleriana, ma anche americana e svedese, ha discriminato
e sterilizzato tanti individui giudicati “inferiori”
per il bene della razza, e questa è una cosa
disgustosa. La possibilità di non far iniziare
ad esistere un figlio malato, laddove va incontro
a un desiderio naturale nei genitori, consente ai
genitori di ampliare la propria libertà (e
non la riduce); e non viola i diritti del nascituro,
perché si limita a non far diventare reale
una pura possibilità di individuo, che non
esiste ancora. In più, lo fa per evitare a
questa possibile persona un male: se questa persona
iniziasse ad esistere, sarebbe condannata a una vita
malata e dolorosa. I genitori, in questo caso, potrebbero
preferire far iniziare ad esistere un altro, differente
possibile bambino, che ha la possibilità di
nascere sano e che, ovviamente, non esisterebbe mai
se iniziasse ad esistere il possibile bambino malato.
Quando siamo allo stadio di ovociti, spermatozoi,
zigoti, morule o blastocisti, cioè in ogni
caso allo stadio di qualche cellula, non possiamo
parlare di persone reali, ma solo di persone potenziali.
E la DPG “seleziona” tanto quanto “seleziona”
ogni nostro mancato concepimento (se non ci fossimo
sposati con il padre/la madre dei nostri figli, e
ci fossimo invece sposati con un’altra persona,
i nostri attuali figli non sarebbero mai esistiti.
Questo sarebbe stato forse violare il loro “diritto
alla vita”?). Nessuno giudicherà mai
“inferiore” una persona malata, una volta
che esiste. Ma evitare che inizino ad esistere persone
malate, e preferire che inizino invece ad esistere
persone sane, non significa certo offendere le persone
malate che sono reali. Non iniziare ad esistere è
un destino cui vanno incontro, per ragioni del tutto
naturali, quasi 8 embrioni su 10. Infatti, su 10 ovociti
fecondati, solo due o tre riescono a nascere. Giustamente
non ci mobilitiamo contro questa “dissipazione”
naturale: non ci rimette nessuno, perché appunto
l’interruzione (naturale o artificiale che sia)
dello sviluppo di un embrione è tanto poco
moralmente importante quanto un mancato concepimento
(eppure ogni ovocita potrebbe diventare una persona!).
II quesito:
Abrogazione dei diritti al concepito
Abrogare l’articolo 1 della legge 40, che conferisce
diritti al concepito, significa riaffermare che esiste
una profonda differenza tra noi che siamo persone
e il concepito, che è lo stadio più
precoce dello sviluppo embrionale e non può
essere titolare di diritti in questa fase. Il “concepito”
(termine coniato appositamente per sviare la riflessione)
è, a ben vedere, un gruppo di cellule non differenziate,
che si limitano a sdoppiarsi e ad accumularsi l’una
accanto all’altra. Parliamo, più precisamente,
di zigote (una cellula), di morula (10-16 cellule)
e di blastocisti (50-60 cellule). Nessuna cellula
si è ancora specializzata. Non esistono differenziazioni:
non ci sono cellule nervose, né cellule ossee,
né cellule ematiche. Tutto è ancora
solo possibile: come per l’ovocita non fecondato,
come per lo spermatozoo che non ha ancora raggiunto
l’ovocita, come prima del concepimento.
Certo, una morula ha la possibilità di diventare,
un giorno, una persona reale. Ma non lo è.
E poi: anche un ovocita non fecondato ha
la possibilità, un giorno, di diventare una
persona reale. Ma anch’esso non lo è.
E, infatti, noi non diciamo che gli ovociti
non fecondati sono persone.
È utile analizzare alcuni degli argomenti
usati più di frequente per sostenere l’equivalenza
tra un concepito e le persone. Secondo molti, dal
momento che il concepito è vita, allora è
anche una persona. È evidente che nessuno nega
il fatto che il concepito sia vita; ma il punto non
è questo. Moltissime cose sono vita ma non
sono persona: i vermi, le rane ma anche i gatti. Che
cosa deve avere un organismo vivo per essere una persona?
Deve possedere alcuni requisiti minimi: una minima
complessità cognitiva, la capacità seppure
rudimentale di percepire dolore e piacere, la capacità
di percepirsi come soggetto di esperienze mentali;
in una parola, ci vuole l’autocoscienza. Usare
il termine “persona” per definire il concepito
in quella iniziale fase di sviluppo in cui ci sono
poche cellule è sbagliato, e rappresenta un
assurdo sia filosofico che giuridico. È bene
ricordare che lo statuto giuridico di persona si acquisisce
al momento della nascita. Attribuire lo status di
persona al concepito costituisce inoltre un pericolo
per i diritti di un’altra persona (questa sì,
certamente persona): la donna.
Un altro argomento a favore dell’equiparazione
consiste nell’affermare che, dal momento che
il concepito è vita umana, dunque è
persona. Non è sufficiente però l’attribuzione
del carattere “umano” ad una entità
viva per ottenere lo statuto di persona. Molte cose
sono “vita umana” ma non sono
persona: il fegato, gli spermatozoi, la placenta e
ciascuna nostra cellula. Non è l’appartenenza
ad una specie a determinare la caratterizzazione di
persona: se esistesse una specie diversa da quella
umana capace di possedere stati mentali e dotata di
autocoscienza, non potremmo negare agli appartenenti
ad una tale specie lo statuto di persone.
Ancora, si dice che il concepito è vita umana
con un codice genetico unico e irripetibile e pertanto
gode dei diritti che hanno le persone. Eppure l’unicità
genetica non è così significativa quanto
pretende questo argomento, e dovremmo rifiutare di
attribuirle particolare importanza se rigettiamo –
come certamente dovremmo – la dottrina del determinismo
genetico (ovvero quella concezione secondo la quale
la persona può essere ridotta al suo DNA).
La natura di una persona è determinata dal
suo patrimonio genetico, ma in realtà da molti
altri fattori: ci sono le esperienze, l’ambiente,
la temperatura, la chimica ormonale della madre durante
la gestazione, i giochi, l’educazione, il clima
culturale del luogo e dell’epoca. La costituzione
di un nuovo patrimonio genetico non equivale all’avvio
dell’esistenza di una nuova persona, perché
da uno stesso patrimonio genetico possono scaturire
miliardi di persone diverse. Se esistessero due individui
con lo stesso DNA, non sarebbero affatto due persone
uguali. Inoltre, a partire dal concepimento e entro
14 giorni può avvenire una divisione gemellare,
e quella presunta “unicità” genetica
si frammenterebbe per dare l’avvio all’esistenza
(futura) di più persone.
Un altro argomento a sostegno dell’equiparazione
tra concepito e persona è il cosiddetto problema
della soglia: se non c’è una cesura,
un momento preciso in cui da pre-persona si diventa
persona, allora deve essere vero che si è persona
fin dall’inizio del processo di sviluppo. Ma
questo ragionamento è sbagliato. Sarebbe come
dire: se non c’è una cesura, un momento
preciso in cui da fanciulli si diventa adulti, allora
deve essere vero che si è adulti fin dall’inizio
del processo di sviluppo. Tutti i processi biologici
sono continui, senza tappe segnate con precisione
come confini tra uno Stato e l’altro. Non ci
sono avvenimenti significativi dal punto di vista
biologico: è un fluire incessante sul quale
interveniamo con distinzioni che non potranno mai
essere nette e precise. Ma questa non è una
valida ragione per negare, ad esempio, che esista
una differenza tra fanciullezza e età adulta,
sebbene anche qui si presenti il problema della soglia.
È così anche per l’emergenza della
persona, che fino a un certo punto non c’è
ancora, per emergere gradatamente insieme a quei requisiti
che abbiamo indicato.
Il fatto che quei requisiti saranno presenti in futuro
non ci autorizza a trattare l’organismo che
li acquisirà come se li avesse già acquisiti:
quell’organismo potenzialmente ha quei requisiti,
ma non possiamo usare proprietà future come
base per l’attribuzione di diritti attuali:
non ho diritto ad avere la limousine perché
sono presidente della Repubblica potenziale; non ho
diritto di voto quando ho solo 12 anni in base alla
considerazione che tra 6 anni sarò maggiorenne.
III quesito:
abrogazione dei limiti della ricerca embrionale
Abrogare il divieto di sperimentazione sulle cellule
staminali embrionali significa permettere la ricerca
scientifica come speranza terapeutica per molte malattie
quali il Parkinson, il diabete, la sclerosi e molte
altre malattie degenerative per le quali non c'è
al momento nessuna cura.
Che cosa sono le cellule staminali?
Sono cellule totipotenti, che non si sono ancora specializzate.
Nel nostro corpo esistono miliardi e miliardi di cellule,
ciascuna specializzata: cellule ossee, cellule ematiche,
cellule epidermiche. Ogni tipo di cellula è
in grado di compiere alcune precise e limitate funzioni.
Al livello embrionale sono invece presenti cellule
non ancora differenziate, che nel corso dello sviluppo
prenderanno strade diverse e specifiche. La speranza
terapeutica consiste nel capire i meccanismi che dirigono
questa evoluzione della cellula dall’assenza
di specializzazione alla differenziazione: la speranza
è di essere un giorno in grado di attivare
e dirigere artificialmente questi meccanismi, per
poter costruire tessuti e organi che, senza alcun
problema di rigetto, possano sostituire tessuti e
organi di una persona adulta danneggiati da una malattia.
Alcuni sostengono che il divieto imposto dalla legge
40 sia giusto, perché non ci sono ancora risultati
e perché si potrebbe condurre la stessa ricerca
sulle cellule staminali adulte. In primo
luogo, il fatto che non ci siano ancora risultati
non è una buona ragione per non portare avanti
la ricerca, che è cominciata da pochi anni
e richiede pertanto ancora tempo per offrire i vantaggi
che si spera di ottenere (oppure per smentire le speranze);
in secondo luogo, a detta della quasi totalità
della comunità scientifica la ricerca sulle
staminali embrionali non può essere rimpiazzata
dalla ricerca sulle staminali adulte: sono due linee
di ricerca diverse e la scelta preferibile è
quella di portarle avanti entrambe.
Esistono attualmente in Italia molti embrioni (i
cosiddetti sovrannumerari) che sono crioconservati
e che non saranno richiesti per un impianto. Se verrà
eliminato il divieto di creare embrioni sovrannumerari
e il divieto di crioconservarli, ve ne saranno altri
in futuro. Questi embrioni non sono “orfani”;
non più di quanto siano “orfani”
gli ovociti che vanno perduti senza essere fecondati,
gli spermatozoi che vanno perduti senza fecondare,
e gli embrioni che vanno naturalmente perduti in natura
senza mai nascere (come abbiamo detto, sono circa
sette/otto su dieci). Che motivo c’è
per non utilizzarli per la ricerca, allo scopo di
tentare di trovare cure che risparmierebbero sofferenze
a miliardi di persone presenti e future? Perché
frustrare la speranza delle migliaia di malati?
IV quesito:
abrogazione del divieto di ricorrere alla fecondazione
eterologa
Che cos’è la fecondazione eterologa?
È il ricorso al gamete maschile o femminile
estraneo alla coppia. Ogni bambino (nato da procreazione
assistita o da procreazione naturale) nasce dall’unione
di un ovocita (gamete femminile) e di uno spermatozoo
(gamete maschile). Ci sono alcuni casi di infertilità
che possono essere risolti utilizzando senz’altro
i gameti della coppia. Ma ci sono altri casi di infertilità
in cui questo non è possibile. Per esempio,
se l’uomo ha avuto un tumore e ha subito una
chemioterapia e una radioterapia pesante, può
darsi che la sua produzione di spermatozoi diventi
nulla o di qualità insufficiente. In una situazione
di questo tipo, l’unica speranza per la coppia
che desidera avere un figlio è permetterle
di fare ricorso a una cellula-spermatozoo proveniente
dall’esterno della coppia – diciamo da
un donatore anonimo. Che motivo c’è per
rifiutare questo permesso?
Secondo molti la ragione per proibire la fecondazione
eterologa consiste nel fatto che l’esistenza
del figlio dell’eterologa sarebbe una esistenza
disgraziata. Si può rispondere a questo argomento
che esistono moltissimi di figli dell’eterologa,
e non esistono evidenze sulla loro presunta infelicità;
anzi il contrario. Spesso questi sono figli così
desiderati da ricevere cure e attenzioni migliori
rispetto a tanti figli “naturali” ma non
desiderati e non amati.
Si dice, poi, che non si può avere un figlio
“a tutti i costi”. Crediamo che questi
siano fatti personali. Forse chi non gradisce l’eterologa
non vi farebbe mai ricorso: ma un conto è dire
“Io non lo farei mai”, un altro conto
è dire “Voglio impedirlo a tutti”.
È inutile precisare che non sta né in
cielo né in terra l’ipotesi che chi desidera
più fortemente un figlio lo alleverà
peggio. Diremmo piuttosto il contrario. Se si parla
di possibile “amore malato” da parte di
chi fa ricorso alla fecondazione eterologa, rispondiamo
che esso è tanto probabile quanto è
probabile tra le coppie che procreano naturalmente.
Eppure, noi non abbiamo leggi dello Stato che prendono
provvedimenti contro le coppie naturali, né
contro le coppie più sospettabili di “amore
malato”. È forse vietato procreare a
chi va dallo psichiatra, a chi ha avuto esaurimenti
nervosi, a chi è depresso, a chi ha tentato
più volte il suicidio? Perché prendersela
con chi ha un problema di sterilità?
Alcuni di coloro che condannano la fecondazione eterologa
e che appoggiano il divieto per legge di farvi ricorso,
lo fanno in nome della sua somiglianza con l’adulterio.
Innanzi tutto è giusto e doveroso ricordare
che l’adulterio non è vietato per legge
né sanzionato. Il giudizio morale non deve
trasformarsi in coercizione legale. In secondo luogo
il motivo per cui condanniamo (moralmente, si badi)
l’adulterio è che lì è
presente un inganno, il tradimento di un patto liberamente
fatto tra due persone – c’è poi
il dolore arrecato a colui che subisce l’adulterio,
e così via. Nel caso della fecondazione eterologa
non c’è inganno, bensì c’è
una decisione comune, un accordo tra i futuri genitori
che insieme scelgono di utilizzare una tecnica
e un gamete donato da qualcun altro per rimediare
all’impossibilità di avere un figlio
altrimenti. Senza inganni né tradimenti, essi
semplicemente stabiliscono di percorrere una strada
un po’ diversa da quella tradizionale, allo
scopo, legittimo e anche bello, di avere un figlio.
Il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa
appare ancora più assurdo se si pensa che quel
figlio non sarebbe mai esistito altrimenti, e che
la sua unica alternativa è la non esistenza.
Davvero l’esistenza come figlio dell’eterologa
sarebbe tanto penosa da preferirle la non esistenza?
Questi bambini sono accolti affettuosamente e amati,
e poco importa che non vi sia una coincidenza genetica
tra un genitore e il figlio. La genitorialità
non può essere ridotta a legame biologico,
ma è fatta di affetto, di cura, di relazione.
Il genitore è colui che cresce un figlio, non
chi gli è legato dal DNA. Molti di noi sono
stati allevati da papà, mamme, nonni e nonne
che in realtà non erano loro parenti genetici.
Qualcun altro aveva fornito il materiale genetico;
ma è morto, o ha fatto altre scelte. Noi, però,
siamo stati bambini e bambine felici con quei genitori
e quei nonni che ci hanno allevato con amore. Vogliamo
loro bene. Sappiamo che non è importante che
abbiano davvero fornito loro l’ovocita o lo
spermatozoo (questi sono particolari biologici secondari).
Quel che conta è quanto ci hanno voluto e ci
vogliono bene.
Gli autori:
Chiara Lalli, studiosa di filosofia morale, Università
di Chieti.
Fabio Bacchini, studioso di filosofia della scienza,
Università di Sassari.
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