Il 3 maggio 2005 Reporter Senza Frontiere ha celebrato
la quindicesima giornata mondiale della libertà
di stampa. IN quell’occasione ha pubblicato
l’album di fotografie “Jeanloup Sieff
per la libertà di stampa”, il rapporto
annuale “Il giro del mondo della libertà
di stampa 2004” e la lista di 34 “predatori”
della libertà di stampa.
Qui di seguito il testo integrale del Rapporto2004,
corredato da alcune foto dell’album di Jeanloup
Sieff.
Se volete approfondire la condizione della libertà
di stampa nel mondo, visitate il sito di Reporters
senza frontiere.
Giro del mondo della libertà di stampa
2004
Un bilancio della libertà di stampa nel 2004
- 53 giornalisti uccisi
- 15 media assistant uccisi
- almeno 907 arrestati
- almeno 1.146 aggrediti o minacciati
- almeno 622 media censurati
Nel 2004 53 giornalisti sono stati uccisi mentre
svolgevano il loro lavoro o per avere espresso le
loro opinioni. Questo è il più alto
tributo dai giorni bui del 1995 quando gli estremisti
islamici uccisero più di 50 giornalisti in
Algeria in meno di due anni.
L’Iraq rimane i paese più pericoloso
al mondo per i giornalisti: nel 2004 ne sono stati
uccisi diciannove e più di quindici sono stati
rapiti. Uno di questi sequestri è finito in
tragedia con la morte del
reporter italiano Enzo Baldoni, ucciso dai membri
dell’Esercito Islamico in Iraq nella notte tra
il 26 e il 27 agosto, ma l’Iraq non è
il solo “terreno minato” per i giornalisti.
In Asia, nel 2004, sono stati uccisi sedici reporter.
La maggior parte di loro in ragione di una loro presa
di posizione. Denunciare la corruzione tra i politici,
o indagare sulle organizzazioni criminali, si è
rivelato fatale per i giornalisti in Bangladesh, Filippine
e Sri Lanka. La violenza è aumentata anche
dall’altra parte del mondo, nel continente americano.
I narcotrafficanti e le élite politiche corrotte
non hanno certamente gradito di essere chiamati in
causa dalla stampa. In Brasile, Colombia, Messico,
Nicaragua e Perù i giornalisti hanno pagato
per questo con la loro vita.
E poi l’Africa dove, in dicembre, l’omicidio
del corrispondente
gambiano di Reporter Senza Frontiere ci ha
ricordato che questo continente è sempre sull’orlo
di una violenza subitanea e imprevedibile. E’
stato il primo omicidio di un corrispondente di
Reporter Senza Frontiere dalla nascita dell’organizzazione
nel 1985. Il muro insormontabile dell’impunità
che si oppone ai difensori dei diritti umani in tutto
il mondo è stato scalfito nel 2004. In Costa
Rica, Costa d’Avorio, Nicaragua, Perù
e nelle Filippine gli assassini di giornalisti sono
stati interrogati, arrestati e condannati. Siamo ben
lontani dal risolvere il problema, ma è con
il moltiplicarsi di queste condanne che sarà
possibile isolare coloro per i quali giustizia fa
rima con oblio e obbedienza ai potenti, come ad esempio
in Burkina Faso e Bielorussia.
Mantenere il silenzio!
O finire in prigione
Al primo gennaio 2005, erano 107 i giornalisti privati
della loro libertà.
Il tragico immobilismo delle vecchie dittature asiatiche
impedisce ogni progresso democratico.
La Cina rimane il più grande carcere al mondo
per i giornalisti con 26 imprigionati. La liberalizzazione
degli scambi e l’inevitabile apertura del paese
al mondo esterno, tuttavia, dovrebbero avere conseguenze
positive per la libertà di espressione.
Alcuni media osano sfidare la censura e affrontare
argomenti tabù, ma sono soggetti ad una ancor
più forte repressione e pagano duramente la
loro “impertinenza”. Alcuni giornalisti
sono stati imprigionati per diversi anni in Birmania
e Vietnam.
Nel 2004 sono giunte buone notizie da Cuba con il
rilascio del famoso poeta Raul Rivero e di altri sei
giornalisti. Ma due anni dopo la primavera “nera”
del marzo 2003, l’isola rimane uno dei pochi
posti sulla terra dove le notizie sono monopolio di
stato
e dove 22 giornalisti sono ancora in carcere.
Il peggio domina sul meglio
Per cominciare con i casi peggiori, ci sono una manciata
di paesi in cui la gente è soggetta alla più
semplicistica e stereotipata, ma anche alla più
terribile, propaganda. In cima alla lista c’è
la Corea
del Nord, dove non è nemmeno il caso di parlare
di “giornalismo”. I funzionari dei media
di stato lavorano in un clima di terrore alla glorificazione
del “caro leader” Kim Jong Il e possono
“soggiornare” in un campo di rieducazione
per un semplice errore
ortografico.
Il Turkmenistan è uno stato medievale governato
con il pugno di ferro da un presidente a vita più
interessato a innalzare statue a se stesso che ad
offrire il pluralismo dell’informazione e delle
notizie
ai suoi connazionali. I rari giornalisti che osano
lavorare per la stampa internazionale, spesso clandestinamente,
sono regolarmente aggrediti e costantemente minacciati.
L’Eritrea ha vissuto nel silenzio per tre anni:
le autorità hanno chiuso tutti i
giornali privati e incarcerato le più importanti
firme.
Sull’altro piatto della bilancia della libertà
di stampa si collocano i paesi democratici in Europa,
Nord America, Asia e Oceania che sono i più
rispettosi dei diritti dei giornalisti. Ma anche qui
si sono verificate alcune preoccupanti violazioni
della libertà di stampa. Innanzitutto negli
Stati Uniti, dove numerosi giornalisti sono stati
chiamati a comparire in tribunale per aver rifiutato
di rivelare le loro fonti di informazione. Alcuni
di loro sono ancora sotto processo e rischiano la
prigione o gli arresti domiciliari.
Anche in Francia la segretezza delle fonti è
stata calpestata in numerose occasioni dalla giustizia
a colpi di sorveglianze, convocazioni e perquisizioni
nelle abitazioni e negli uffici dei giornalisti. Il
Parlamento ha inoltre approvato una legge che
introduce nuovi reati di stampa punibili con il carcere.
E nel 2005?
La stampa indipendente in Africa ha avuto un anno
duro dall’inizio del 2005. Alcuni giornalisti
sono stati imprigionati per questioni di stampa in
Camerun, Etiopia, Guinea, Malawi, Mauritania, Repubblica
Democratica del Congo, Somaliland e
Sudan. In alcuni paesi come Zimbawe e Ruanda, i direttori
editoriali, perseguitati dalla giustizia, hanno lottato
per mesi per evitare una detenzione sinonimo di inferno.
La giustizia risolve raramente i casi di omicidio.
In Gambia l’indagine ufficiale dell’omicidio
di Deyda Hydara si è impantanata in ipotesi
assurde mentre nuove leggi draconiane venivano promulgate.
In Costa D’Avorio, la scomparsa di Guy André
Kieffer
non è ancora stata chiarita e le autorità
continuano a ostacolare le indagini ivoriane e francesi.
Nel febbraio 2005 il continente è stato funestato
dall’omicidio della giornalista inglese Kate
Peyton in
Somalia.
Nel continente americano il 2005 è cominciato
con il dolore per la morte del giornalista colombiano
Julio Palacios Sánchez, l’undici gennaio
a Cúcuta. Non ci sono ancora notizia del fotografo
suo collega Hernán Echeverri. Che è
stato rapito il 22 gennaio dalle Forze Armate Rivoluzionarie
Colombiane (FARC).
Cuba resta l’altro neo del continente riguardo
alla libertà di stampa. Ventuno giornalisti
dei ventisette arrestati nella primavera nera del
2003 sono ancora detenuti in condizioni molto dure
di cui sono
testimoni le loro gravi condizioni di salute.
In Venezuela una guerra ideologica tra i sostenitori
e gli oppositori del presidente Hugo Chávez
si svolge in gran parte attraverso i media.
Il 16 marzo una legge promulgata dal governo e chiamata
“riforma parziale del codice penale” ha
stabilito la pena da sei a trenta mesi di prigione
per chiunque “insulti” il capo dello stato.
Infine, negli Stati Uniti la battaglia legale sulla
protezione delle fonti è ben
lontana dall’essere conclusa. Judith Miller
e Matthew Cooper rischiano ancora la prigione per
il caso Plame che ha riguardato le dichiarazioni di
un agente della CIA.
In Asia, la situazione nelle Filippine è ancora
estremamente preoccupante. Due giornalisti sono stati
uccisi nel 2005, rendendo questo paese il più
pericoloso al mondo per i giornalisti dopo l’Iraq.
In Nepal, dal primo febbraio, la totale presa di potere
del re Gyanendra ha generato un forte peggioramento
della situazione della libertà di stampa.
Decine di giornalisti sono stati arrestati e i media
privati, in particolare le radio, sono stati censurati
dai militari. Qualsiasi giudizio critico nei confronti
del re è proibito.
Alcune buone notizie vengono dalla Birmania. Quattro
giornalisti sono stati rilasciati all’inizio
dell’anno, due di loro erano stati detenuti
per 15 anni semplicemente per avere pubblicato alcuni
articoli giudicati “ sediziosi” dalla
giunta militare. Non c’è
tuttavia alcun segno di miglioramento per Win Tin,
il più famoso tra i giornalisti imprigionati
nel paese.
Detenuto dal 1989, in marzo ha “festeggiato”
il suo settantacinquesimo compleanno nella sua cella
nella famosa prigione di Insein a Rangoon.
In Europa, le due rivoluzioni dolci in Ucraina e
Kirghizistan hanno avuto ripercussioni positive sulla
libertà di stampa. Il tono dei media pubblici
e privati, liberati dalla rigida e retrograda censura
governativa, sono cambiati radicalmente.
In Azerbaidjan, la sera del 2 marzo, Elmar Husseynov,
direttore del settimanale di opposizione Monitor,
è stato ucciso mentre usciva dall’ascensore
che conduceva al suo appartamento.
Sono state fatte molte ipotesi sull’omicidio
inclusa quella di un collegamento al suo lavoro di
giornalista.
Il presidente Ilham Aliyev ha immediatamente respinto
ogni coinvolgimento nell’omicidio da parte delle
autorità e ha condannato ”i responsabili
dell’omicidio” i quali, secondo lui, tentano
“di danneggiare l’immagine dell’Azerbaidjan
all’estero”.
In Medio Oriente, la guerra in Iraq continua a fare
numerose vittime tra i giornalisti. Almeno quattro
sono stati uccisi dal primo gennaio. E la lunga serie
dei rapimenti continua. Pochi giorni dopo il rilascio,
nel dicembre 2004, dei due giornalisti francesi Christian
Chesnot e Georges Malbrunot, è stato il turno
di Florence Aubenas, storica reporter del quotidiano
francese Libération, rapita il 5 gennaio con
la sua guida Hussein Hanoun.
La giornalista italiana Giuliana Sgrena de Il
Manifesto è stata prigioniera per tutto
il mese di febbraio a Bagdad prima di essere rilasciata
dai suoi rapitori. La giornalista irachena Raeda Wazzan
non è stata così fortunata. E’
stata rapita insieme a suo figlio di dieci anni ed
è stata uccisa qualche giorno dopo. I rapitori
hanno poi liberato il figlio. Infine tre giornalisti
rumeni sono stati rapiti a
Bagdad il 28 marzo. Si tratta di Marie-Jeanne Ion,
Sorin Dumitru Miscoci e Eduard Ovidiu Ohanesian.
Reporter Senza Frontiere rivela i nomi
dei 34 “predatori” della libertà
di stampa
Capi di stato o di governo, monarchi, ministri, generali,
capi religiosi, di gruppi armati, o di bande criminali.
Tutti loro hanno una cosa in comune: una diretta responsabilità
nelle violazioni di libertà di stampa. A causa
loro, in tutto il 2004, alcuni giornalisti sono stati
uccisi, altri incarcerati o minacciati. Reporter Senza
Frontiere ha aggiunto 5 nuovi nomi alla lista dei
grandi nemici della libertà di stampa pubblicata
lo scorso anno.
Bangladesh: il ministro degli Interni,
Lutfozzaman Babor.
L’alleanza di governo legata ai conservatori
e agli islamici, cui appartiene Lutfozzaman Babor,
ha mostrato di essere incapace di fronteggiare la
violenza quotidiana che affligge la stampa. Da quando
è diventato ministro, oltre 200 giornalisti
sono stati fisicamente aggrediti o minacciati, per
lo più da militanti del partito di governo.
Sotto il suo ministero, la polizia ha arrestato sulla
base di leggi contro la libertà o di denunce
infondate dozzine di giornalisti nel 2004. Il ministro
è anche responsabile del clima di impunità
per alcune figure criminali del paese direttamente
protette da lui.
Bangladesh: partito maoista Purbobanglar.
Il gruppo armato Maoista ha imposto un regime di terrore
in Khulna regione del sud ovest del paese. Tre giornalisti
sono stati uccisi nel 2004 e oltre 50 minacciati di
morte. Gruppi sotterranei di militanti del partito
maoista Purbobanglar estorcono denaro alla gente accusata
di essere “nemica del proletariato”. A
gennaio hanno
ucciso Manik Saha, corrispondente della BBC World
Service, lanciandogli contro una bomba a mano. Saha
aveva scritto dei loro abusi. A giugno un’altra
fazione del Purbobanglar ha rivendicato la responsabilità
nell’omicidio di Humayun Kabir Balu, direttore
del giornale regionale Janmabhumi.
Costa d’Avorio: la milizia
civile “I giovani patrioti”.
Nel 2004, i “Giovani Patrioti”, una milizia
civile che supporta il presidente Laurent Gbagbo,
ha minacciato giornalisti di opposizione, saccheggiato
e distrutto le redazioni di giornali indipendenti,
costretto i media di stato a un’informazione
propagandistica. Germogli non ufficiali del partito
presidenziale, l’Ivorian Popular Front (FPI),
svolgono un lavoro sporco sotto la copertura di “angeli
del popolo”. Mai sottoposti alla giustizia,
trattano la stampa come fosse un bersaglio politico.
I loro leader
spesso puntano il dito contro media che non “tessono
le lodi” del governo e li accusano di essere
“nemici” che vanno zittiti.
Gambia: il Presidente Yahya
Jammeh
Il giovane presidente Yahya Jammeh non ha mai nascosto
la sua ostilità alla stampa indipendente. Dopo
essere passato a una retorica estremista, ha promulgato
due leggi estremamente repressive, che ripristinano
la pena detentiva per i reati a
mezzo stampa. Nel corso degli anni, attacchi anonimi
ai media, per i quali sono stati ritenuti responsabili
i servizi segreti, hanno contribuito a creare un clima
di sfiducia tra le autorità e la stampa. Ma
l’omicidio – del dicembre 2004 - ancora
impunito di Deyda Hydara, corrispondente della France
Presse e di Reporter senza frontiere,
ha sconvolto e terrorizzato tutti i giornalisti del
paese.
Nigeria: Stato di servizi segreti
e di polizia.
Lo spaventoso stato di polizia era già presente
sotto le dittature degli anni 90, quando bisognava
zittire l’opposizione e la stampa indipendente.
Ma anche quando il potere è passato nelle mani
della borghesia, nel 1999, non c’è stato
un significativo cambio di rotta. Agenti dei servizi
segreti agiscono in completa impunità protetti
dall’ala governativa, lanciandosi in raid nelle
redazioni e picchiando arbitrariamente i giornalisti.
Inoltre il Presidente Olusegun Obasanjo accusa la
stampa nigeriana di essere la sola responsabile della
povera immagine della Nigeria all’estero.
E poi...
Arabia Saudita: Abdallah ibn al-Saud,
principe regnante
Bielorussia: Alexander Lukashenko,
Presidente
Birmania: Than Shwe, capo di Stato
Cina: Hu Jintao, Presidente
Colombia: Salvatore Mancuso, leader
paramilitare
Colombia: Manuel Marulanda e Nicolas
Rodríguez Bautista, leader guerriglieri
Cuba: Fidel Castro, presidente del
consiglio di stato e del consiglio dei ministri
Eritrea: Issaias Afeworki, Presidente
Guinea Equatoriale: Teodoro Obiang
Nguema, Presidente
Iran: Ali Khamenei, Suprema guida
della repubblica Islamica
Kazakhistan: Nursultan Nazarbaïev,
Presidente
Laos: Khamtay Siphandone, Presidente
Libia: Moammar Gheddafi, capo dello
stato e guida della Rivoluzione
Maldive: Maumoon Abdul Gayoom, Presidente
Nepal: Gyanendra Shah Dev, Re
Nepal: Comrade Prachanda, Maoista
leader
Corea del Nord: Kim Jong-il, Segretario
generale del partito dei lavoratori coreano
Pakistan: Pervez Musharraf, Presidente
Russia: Vladimir Putin, Presidente
della Federazione russa
Ruanda: Paul Kagame, Presidente
Spagna: ETA, organizzazione terrorista
Swaziland: Mswati III, Re
Siria: Bashar al-Assad, Presidente
Tunisia: Zine el-Abidine Ben Ali,
Presidente
Turkmenistan: Separmourad Nyazov,
Presidente
Uzbekistan: Islam Karimov, Presidente
Vietnam: Nong Duc Manh, Primo segretario
del partito
Zimbabwe: Robert Mugabe, Presidente
I 34 predatori messi in evidenza da Reporter
Senza Frontiere sono solo alcuni dei criminali
della libertà di stampa di cui si parla nel
Rapporto 2005. Questa Lista Nera è pensata
per svelare i nomi di quei personaggi che, in tutto
il mondo, si sono resi colpevoli di crimini o serie
violazioni contro giornalisti, media e libertà
di stampa. Si tratta di persone che sono già
state condannate o rispetto alle cui colpe esistono
testimonianze corroborate. L’intenzione è
quella, elencandoli nome per nome, di dissuadere tutti
quelli che hanno intenzione di attaccare la libertà
di espressione.
La Lista Nera della libertà di stampa è
disponibile sul sito www.rsf.org.
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