Nel
2003 Lei ha scritto con Jacques Derrida un manifesto
sull’identità europea. Un’Europa
pacifica, in senso kantiano, dovrebbe rappresentare
una misura correttiva ai "marziali" Stati
Uniti. La realtà è oggi più complessa.
Gli americani hanno rovesciato Saddam e due anni dopo
hanno imposto le elezioni in Iraq.
Le problematiche conseguenze dell’invasione in
Iraq, operata contravvenendo alle norme di diritto internazionale,
hanno fatto riflettere anche quanti erano in un primo
tempo fautori della guerra. Naturalmente, come lei,
spero anch’io nell’affermazione di un regime
sufficientemente liberale. Ma un risultato iniziale
che forse è positivo non può bastare a
rispondere affermativamente al quesito kantiano: a parità
di condizioni, ossia in assenza di prove di un pericolo
imminente, dobbiamo agire nello stesso modo, assumendoci
così la responsabilità di decine di migliaia
di vittime? Pur mettendo da parte il diritto internazionale,
dovremmo, da intellettuali, quanto meno porci degli
scrupoli morali e chiederci se il caso Iraq possa essere
generalizzato. Perché l’Iraq e non l’Uzbekistan
- un paese che gli Stati Uniti hanno invece accolto
con gratitudine nella coalizione degli interventisti?
Fra i membri dell’Ue non c’è stato
un solo paese – per valide ragioni normative –
in cui la maggioranza della popolazione abbia appoggiato
questa guerra in una qualsiasi delle sue fasi –
nemmeno la Polonia. E perché i democratici non
dovrebbero farsi influenzare dal fatto che a Londra
e a Roma, a Madrid e a Barcellona, Parigi e Berlino
abbiano avuto luogo proteste di proporzioni tali da
mettere di gran lunga in ombra le manifestazioni più
imponenti mai osservate dal 1945 in poi? La frattura
apertasi fra i governi, non fra le popolazioni, d’Europa
è oggi smorzata: ma in tutt’Europa essa
ha lasciato dietro di sé una scia di stordimento.
La “vecchia Europa” vuole invece
ratificare la democrazia in Cina per poter vendere armi
e vede in Putin un "autentico democratico".
Questa “vecchia Europa” apparentemente così
pacifica non è forse bugiarda?
Sono d’accordo con lei, senza riserve, nella
critica al comportamento economicamente opportunistico
del governo di Berlino nei confronti della Russia e
della Cina. Questa politica priva di un qualsivoglia
sostegno normativo viene criticata all’interno
della sfera pubblica tedesca, persino nell’area
liberale di sinistra, tanto duramente come lo è
in Polonia. Per l’Europa è un bene che
l’opinione pubblica si polarizzi contemporaneamente
in tutti gli stati membri in modo simile sugli stessi
temi.
L’Unione europea non sembra oggi avere
alcuno slancio. È possibile un patriottismo costituzionale
europeo?
L’Europa è oggi in pessime condizioni.
Il fatto che Rumsfeld abbia potuto, per così
dire, scindere l’Unione da un giorno all’altro
in una “vecchia” ed una “nuova Europa”
ci ha resi coscienti di come tutti noi interpretiamo
l’attualità politica a partire dalle prospettive
limitate e talvolta deformanti, derivate per ciascuno
di noi dalle proprie esperienze e dai traumi storici
nazionali. Gli egoismi sociali si possono elaborare
con i consueti metodi della convergenza verso un compromesso,
i miti nazionali invece no. Questi ultimi costituiscono
un’illusoria rete di sicurezza, in cui ci lasciamo
cadere troppo facilmente quando abbiamo paura di qualcosa,
perdendo così l’equilibrio. Con ciò
intendo dire che in Europa non è questione di
un tipo di patriottismo piuttosto che di un altro, si
tratta invece dell’elementare fiducia nel fatto
che gli ”altri”, quali che siano di volta
in volta nella situazione di conflitto, non ci raggirino.
Questa fiducia di base è carente in quanto non
ci percepiamo ancora come membri della stessa collettività.
Per gli uni la Nato è più degna di fiducia
dell’Unione Europea, per gli altri lo stato sociale
europeo rappresenta una dimensione più degna
di fiducia rispetto al liberalismo egemonico che impone
liberi mercati e libere elezioni, dove necessario, con
la forza.
La dura disputa sul “Zentrum gegen Vertreibungen”(
“Centro contro le espulsioni”, promosso
da Erika Steinbech, parlamentare Cdu, per raccogliere
documentazioni sui tedeschi costretti ad abbandonare
il territorio polacco dopo la seconda guerra mondiale.
Il Centro, da cui il governo tedesco ha preso le distanze,
ha suscitato molte polemiche in Polonia, NdT) dimostra
che in Europa la competizione sui dolori nazionali è
tuttora in atto e che gli europei sono in difficoltà
nella ricerca/invenzione di modi comuni di raccontare
la storia. L’olocausto non sembra comunque sufficiente
come mito costitutivo dell’Europa unita.
Il punto di riferimento della controversia fra gli
storici era la propria nazione, la propria identità
nazionale. L’olocausto è come sempre costitutivo
per l’identità dei cittadini tedeschi.
Certo, dopo la riunificazione con la Repubblica Democratica
Tedesca, che ha reintrodotto un pezzo di tardo stalinismo
nell’eredità nazionale già di per
sé tanto aggravata, ci confrontiamo con un “doppio
passato”. Ma ciò non ha cambiato nulla
nella responsabilità comune dei tedeschi per
l’olocausto.
Mentre noi non possiamo sottrarci al ruolo dei colpevoli,
in Polonia le cose stanno chiaramente in ben altro modo.
In primo luogo i polacchi sono diventati le vittime
di Hitler e Stalin. E per la coscienza politica dei
polacchi lo stalinismo può avere, rispetto al
fascismo, un altro peso. Ogni nazione deve innanzitutto
venire a capo della propria storia, e ciò significa
anche del proprio rapporto con le nazioni cui ha inflitto
sofferenze e torti – per non parlare dei crimini
contro l’umanità commessi dai tedeschi
nei confronti dei polacchi e in territorio polacco.
Una coscienza storica europea può nascere solo
in una fase successiva, ossia attraverso una reciproca
accettazione delle rispettive prospettive. In questo
orizzonte europeo devono allora essere elaborati le
espulsioni e le deportazioni nel loro complesso contesto,
il genocidio degli armeni, anche gli attacchi aerei
contro i civili nelle città tedesche, devono
essere elaborati tutti i fatti storici cui è
oggi preposta la Corte Penale dell’Aja. Soltanto
così forse la debole forza della memoria potrà
ancora sviluppare un’azione terapeutica, contribuendo
alla riconciliazione e alla nascita di fiducia fra le
generazioni nate dopo tali eventi.
Nel 2001 lei ha cercato, nella Chiesa di S.Paolo,
di riconciliare l’Illuminismo con il pensiero
religioso. Poi si è confrontato con il Cardinale
Ratzinger. Quanto è cristiana l’Europa?
E si pone o meno la questione di chi sia più
europeo, la Turchia o l’Ucraina?
La Chiesa Cattolica fin dal Concilio Vaticano II ha
fatto pace con il “liberalismo“, ossia con
lo stato di diritto e la democrazia. Perciò non
c’erano grandi discordanze fra me e l’allora
Cardinale Ratzinger nella questione dei “fondamenti
pre-politici della democrazia“. Le affinità
si estendono anche a determinate questioni bioetiche
che emergono oggi dai progressi della medicina, della
genetica e della ricerca scientifica sul cervello umano.
Il mio amico Johann Baptist Metz, che per mio volere
prese parte a quel dibattito, rimase alquanto irritato
del tenore mite del confronto. Ma, da non-cattolico,
non volli intromettermi nelle controversie in materia
di teologia e politica ecclesiastica.
Ciò non significa che non sussista più
alcun contrasto di opinioni. Io ad esempio non vedo
la possibile adesione della Turchia e dell’Ucraina
all’Unione Europea come un’alternativa.
L’indiscutibile dato di fatto che la cultura europea
sia radicata a fondo nel cristianesimo non può
da solo vincolare la collettività politica dei
cittadini europei a dei fondamenti valoriali cristiani.
L’Unione Europea è tenuta, come anche ognuno
dei suoi stati membri singolarmente preso, alla neutralità
ideologica nei confronti del numero, in forte crescita,
di cittadini laici e non cristiani. Tutto ciò
non va però dilatato fino a una visione secolare
del mondo. Dal precetto dell’imparzialità
nei confronti di tutte le comunità religiose
e di tutte le visioni del mondo non scaturisce necessariamente
una politica ecclesiastica laica, che ad oggi viene
criticata persino in Francia.
Io credo che lo stato liberale debba per il proprio
bene comportarsi con prudenza nei confronti di tutte
le risorse di cui si nutre la sensibilità morale
dei suoi cittadini. Tali risorse minacciano di estinguersi
tanto prima, quanto più il mondo della vita viene
assoggettato ad imperativi economici. Secondo il dogma
neoliberale la politica oggi si tira sempre più
indietro dai settori di importanza vitale quali l’educazione,
l’energia, i servizi pubblici e la cultura, persino
dalla previdenza per i rischi della vita lavorativa,
abbandonando a se stessi i cosiddetti anelli deboli
della modernizzazione. Se non addomestichiamo il capitalismo,
esso incentiverà una modernizzazione che finirà
per sfinirci, svuotarci. Di fronte a questa tendenza
all’inaridimento di tutte le sensibilità
normative si trasforma anche la costellazione politica
fra Illuminismo e religione. Da cittadino laico io dico
che la fede ed il sapere devono prendere coscienza in
modo autoriflessivo ciascuno dei propri confini.
Che significato può avere l’elezione
a Papa di Joseph Ratzinger per l’Europa e per
la Germania?
Ho molto apprezzato l’intenzione del Papa di visitare
per prima la Polonia. La vicinanza personale al suo
predecessore è naturalmente molto sentita anche
in Germania. Non necessariamente i cittadini laici o
di altra fede devono reagire al nuovo Papa in modo così
freddo come Timothy Garton Ash. Può darsi anche
il caso che la de-cristianizzazione dell’Europa
progredisca ulteriormente - come attestato dalle statistiche
degli ultimi 60 anni, con la sola eccezione di Polonia
ed Irlanda. Ma per questo fenomeno ci sono spiegazioni
sociologiche convenzionali. Non dipenderebbe certamente
dal nuovo Papa. Tra l’altro il riferimento simbolico
a Benedetto da Norcia operato con la scelta del nome
di Benedetto XVI sembrerebbe essere un’allusione
al fatto che questo Papa abbia messo in conto tale possibilità
e voglia preparare la Chiesa a resistere alle intemperie
nell’eventualità in cui i cristiani si
dovessero ridurre ad una minoranza.
Questo articolo è stato pubblicato il 4 maggio
2005 sul giornale tedesco Die
Welt.
Traduzione dal tedesco di Sabra Befani
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