278 - 31.05.05


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"L’Europa è in pessime condizioni"

Jürgen Habermas con
Adam Krzeminski



Nel 2003 Lei ha scritto con Jacques Derrida un manifesto sull’identità europea. Un’Europa pacifica, in senso kantiano, dovrebbe rappresentare una misura correttiva ai "marziali" Stati Uniti. La realtà è oggi più complessa. Gli americani hanno rovesciato Saddam e due anni dopo hanno imposto le elezioni in Iraq.

Le problematiche conseguenze dell’invasione in Iraq, operata contravvenendo alle norme di diritto internazionale, hanno fatto riflettere anche quanti erano in un primo tempo fautori della guerra. Naturalmente, come lei, spero anch’io nell’affermazione di un regime sufficientemente liberale. Ma un risultato iniziale che forse è positivo non può bastare a rispondere affermativamente al quesito kantiano: a parità di condizioni, ossia in assenza di prove di un pericolo imminente, dobbiamo agire nello stesso modo, assumendoci così la responsabilità di decine di migliaia di vittime? Pur mettendo da parte il diritto internazionale, dovremmo, da intellettuali, quanto meno porci degli scrupoli morali e chiederci se il caso Iraq possa essere generalizzato. Perché l’Iraq e non l’Uzbekistan - un paese che gli Stati Uniti hanno invece accolto con gratitudine nella coalizione degli interventisti?
Fra i membri dell’Ue non c’è stato un solo paese – per valide ragioni normative – in cui la maggioranza della popolazione abbia appoggiato questa guerra in una qualsiasi delle sue fasi – nemmeno la Polonia. E perché i democratici non dovrebbero farsi influenzare dal fatto che a Londra e a Roma, a Madrid e a Barcellona, Parigi e Berlino abbiano avuto luogo proteste di proporzioni tali da mettere di gran lunga in ombra le manifestazioni più imponenti mai osservate dal 1945 in poi? La frattura apertasi fra i governi, non fra le popolazioni, d’Europa è oggi smorzata: ma in tutt’Europa essa ha lasciato dietro di sé una scia di stordimento.

La “vecchia Europa” vuole invece ratificare la democrazia in Cina per poter vendere armi e vede in Putin un "autentico democratico". Questa “vecchia Europa” apparentemente così pacifica non è forse bugiarda?

Sono d’accordo con lei, senza riserve, nella critica al comportamento economicamente opportunistico del governo di Berlino nei confronti della Russia e della Cina. Questa politica priva di un qualsivoglia sostegno normativo viene criticata all’interno della sfera pubblica tedesca, persino nell’area liberale di sinistra, tanto duramente come lo è in Polonia. Per l’Europa è un bene che l’opinione pubblica si polarizzi contemporaneamente in tutti gli stati membri in modo simile sugli stessi temi.

L’Unione europea non sembra oggi avere alcuno slancio. È possibile un patriottismo costituzionale europeo?

L’Europa è oggi in pessime condizioni. Il fatto che Rumsfeld abbia potuto, per così dire, scindere l’Unione da un giorno all’altro in una “vecchia” ed una “nuova Europa” ci ha resi coscienti di come tutti noi interpretiamo l’attualità politica a partire dalle prospettive limitate e talvolta deformanti, derivate per ciascuno di noi dalle proprie esperienze e dai traumi storici nazionali. Gli egoismi sociali si possono elaborare con i consueti metodi della convergenza verso un compromesso, i miti nazionali invece no. Questi ultimi costituiscono un’illusoria rete di sicurezza, in cui ci lasciamo cadere troppo facilmente quando abbiamo paura di qualcosa, perdendo così l’equilibrio. Con ciò intendo dire che in Europa non è questione di un tipo di patriottismo piuttosto che di un altro, si tratta invece dell’elementare fiducia nel fatto che gli ”altri”, quali che siano di volta in volta nella situazione di conflitto, non ci raggirino. Questa fiducia di base è carente in quanto non ci percepiamo ancora come membri della stessa collettività. Per gli uni la Nato è più degna di fiducia dell’Unione Europea, per gli altri lo stato sociale europeo rappresenta una dimensione più degna di fiducia rispetto al liberalismo egemonico che impone liberi mercati e libere elezioni, dove necessario, con la forza.

La dura disputa sul “Zentrum gegen Vertreibungen”( “Centro contro le espulsioni”, promosso da Erika Steinbech, parlamentare Cdu, per raccogliere documentazioni sui tedeschi costretti ad abbandonare il territorio polacco dopo la seconda guerra mondiale. Il Centro, da cui il governo tedesco ha preso le distanze, ha suscitato molte polemiche in Polonia, NdT) dimostra che in Europa la competizione sui dolori nazionali è tuttora in atto e che gli europei sono in difficoltà nella ricerca/invenzione di modi comuni di raccontare la storia. L’olocausto non sembra comunque sufficiente come mito costitutivo dell’Europa unita.

Il punto di riferimento della controversia fra gli storici era la propria nazione, la propria identità nazionale. L’olocausto è come sempre costitutivo per l’identità dei cittadini tedeschi. Certo, dopo la riunificazione con la Repubblica Democratica Tedesca, che ha reintrodotto un pezzo di tardo stalinismo nell’eredità nazionale già di per sé tanto aggravata, ci confrontiamo con un “doppio passato”. Ma ciò non ha cambiato nulla nella responsabilità comune dei tedeschi per l’olocausto.
Mentre noi non possiamo sottrarci al ruolo dei colpevoli, in Polonia le cose stanno chiaramente in ben altro modo. In primo luogo i polacchi sono diventati le vittime di Hitler e Stalin. E per la coscienza politica dei polacchi lo stalinismo può avere, rispetto al fascismo, un altro peso. Ogni nazione deve innanzitutto venire a capo della propria storia, e ciò significa anche del proprio rapporto con le nazioni cui ha inflitto sofferenze e torti – per non parlare dei crimini contro l’umanità commessi dai tedeschi nei confronti dei polacchi e in territorio polacco. Una coscienza storica europea può nascere solo in una fase successiva, ossia attraverso una reciproca accettazione delle rispettive prospettive. In questo orizzonte europeo devono allora essere elaborati le espulsioni e le deportazioni nel loro complesso contesto, il genocidio degli armeni, anche gli attacchi aerei contro i civili nelle città tedesche, devono essere elaborati tutti i fatti storici cui è oggi preposta la Corte Penale dell’Aja. Soltanto così forse la debole forza della memoria potrà ancora sviluppare un’azione terapeutica, contribuendo alla riconciliazione e alla nascita di fiducia fra le generazioni nate dopo tali eventi.

Nel 2001 lei ha cercato, nella Chiesa di S.Paolo, di riconciliare l’Illuminismo con il pensiero religioso. Poi si è confrontato con il Cardinale Ratzinger. Quanto è cristiana l’Europa? E si pone o meno la questione di chi sia più europeo, la Turchia o l’Ucraina?

La Chiesa Cattolica fin dal Concilio Vaticano II ha fatto pace con il “liberalismo“, ossia con lo stato di diritto e la democrazia. Perciò non c’erano grandi discordanze fra me e l’allora Cardinale Ratzinger nella questione dei “fondamenti pre-politici della democrazia“. Le affinità si estendono anche a determinate questioni bioetiche che emergono oggi dai progressi della medicina, della genetica e della ricerca scientifica sul cervello umano. Il mio amico Johann Baptist Metz, che per mio volere prese parte a quel dibattito, rimase alquanto irritato del tenore mite del confronto. Ma, da non-cattolico, non volli intromettermi nelle controversie in materia di teologia e politica ecclesiastica.
Ciò non significa che non sussista più alcun contrasto di opinioni. Io ad esempio non vedo la possibile adesione della Turchia e dell’Ucraina all’Unione Europea come un’alternativa. L’indiscutibile dato di fatto che la cultura europea sia radicata a fondo nel cristianesimo non può da solo vincolare la collettività politica dei cittadini europei a dei fondamenti valoriali cristiani. L’Unione Europea è tenuta, come anche ognuno dei suoi stati membri singolarmente preso, alla neutralità ideologica nei confronti del numero, in forte crescita, di cittadini laici e non cristiani. Tutto ciò non va però dilatato fino a una visione secolare del mondo. Dal precetto dell’imparzialità nei confronti di tutte le comunità religiose e di tutte le visioni del mondo non scaturisce necessariamente una politica ecclesiastica laica, che ad oggi viene criticata persino in Francia.
Io credo che lo stato liberale debba per il proprio bene comportarsi con prudenza nei confronti di tutte le risorse di cui si nutre la sensibilità morale dei suoi cittadini. Tali risorse minacciano di estinguersi tanto prima, quanto più il mondo della vita viene assoggettato ad imperativi economici. Secondo il dogma neoliberale la politica oggi si tira sempre più indietro dai settori di importanza vitale quali l’educazione, l’energia, i servizi pubblici e la cultura, persino dalla previdenza per i rischi della vita lavorativa, abbandonando a se stessi i cosiddetti anelli deboli della modernizzazione. Se non addomestichiamo il capitalismo, esso incentiverà una modernizzazione che finirà per sfinirci, svuotarci. Di fronte a questa tendenza all’inaridimento di tutte le sensibilità normative si trasforma anche la costellazione politica fra Illuminismo e religione. Da cittadino laico io dico che la fede ed il sapere devono prendere coscienza in modo autoriflessivo ciascuno dei propri confini.

Che significato può avere l’elezione a Papa di Joseph Ratzinger per l’Europa e per la Germania?

Ho molto apprezzato l’intenzione del Papa di visitare per prima la Polonia. La vicinanza personale al suo predecessore è naturalmente molto sentita anche in Germania. Non necessariamente i cittadini laici o di altra fede devono reagire al nuovo Papa in modo così freddo come Timothy Garton Ash. Può darsi anche il caso che la de-cristianizzazione dell’Europa progredisca ulteriormente - come attestato dalle statistiche degli ultimi 60 anni, con la sola eccezione di Polonia ed Irlanda. Ma per questo fenomeno ci sono spiegazioni sociologiche convenzionali. Non dipenderebbe certamente dal nuovo Papa. Tra l’altro il riferimento simbolico a Benedetto da Norcia operato con la scelta del nome di Benedetto XVI sembrerebbe essere un’allusione al fatto che questo Papa abbia messo in conto tale possibilità e voglia preparare la Chiesa a resistere alle intemperie nell’eventualità in cui i cristiani si dovessero ridurre ad una minoranza.


Questo articolo è stato pubblicato il 4 maggio 2005 sul giornale tedesco Die Welt.
Traduzione dal tedesco di Sabra Befani

 

 

 

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