278 - 31.05.05


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Tutto lo spazio dello stato laico
Remo Bodei con
Alessandro Lanni

“Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. Ecco il bastione ideologico della Chiesa di Benedetto XVI. Quella linea di demarcazione annunciata già nella Fides et Ratio e ribadita nell'ultima messa da semplice cardinale, il 18 aprile scorso. Da una parte c'è la filosofia unica, ancilla della religione, d'impianto tomistico e della Verità maiuscola; dall'altra tutto il resto, intere tradizioni di pensiero laico che starebbero conducendo l'Occidente verso il baratro. Questo scontro si concretizza tanto nel giardino di casa nostra nella battaglia referendaria/ideologica intorno all'embrione quanto, su scala planetaria, nell'atteggiamento occidentale nei confronti dell'Islam. Si tratta di una nuova figura dell'antico conflitto tra fede e ragione. Una contrapposizione che non piace a Remo Bodei, professore di Storia della filosofia a Pisa.

Cosa si intende per relativismo, professor Bodei?

Il relativismo nel caso di Ratzinger è il relativismo etico ed è una concezione morale, e per conseguenza anche della vita politica, per cui non esistono assoluti di riferimento e per cui tutto è equivalente. Sarebbe una versione aggiornata del detto dostoevskijano "Dio non esiste, dunque tutto è permesso". Benedetto XVI ha definito il nostro presente, le democrazie caratterizzate dalla "dittatura del relativismo etico".

Nel libro di Pera e Ratzinger Senza radici (Mondadori 2004) si mettono insieme filosofi e tradizioni di pensiero molto lontane. Sottolineando la fragilità della democrazia se non trova un puntello in valori trascendenti.

In quel testo Ratzinger fa il suo mestiere e lo fa bene. Mentre Pera mi sembra che si appiattisca sulle posizioni dell'attuale pontefice e abbia una concezione della democrazia priva di autosufficienza che avrebbe bisogno di valori esterni, in questo caso quelli religiosi, per sussistere. Non trova nella democrazia quella presenza di ideali come quelli di uguaglianza, di libertà, di dignità della persona che invece provengono dal suo proprio interno.

Che fondamento ha questa subordinazione della democrazia a una morale cattolica?

Trovo che appiattire tutte le posizioni etiche, filosofiche e anche politiche sul relativismo sia un grande errore. Le nostre democrazie sono società pluraliste, anzi la democrazia nasce dalla stanchezza per le guerre di religione che hanno insanguinato l'Europa tra '500 e '600, quando si volevano affermare con la forza dei valori religiosi e politici. La democrazia nasce quando si fa un passo indietro rispetto a questa pretesa di imporre agli altri fedi e credenze politiche.

Che ne pensa dell'idea che la democrazia e la laicità portino necessariamente con loro il relativismo?

Non è vero che la democrazia sia relativista. Esiste un valore assoluto che è quello della compatibilità tra tutti i valori. La differenza tra ieri e oggi è che sia la democrazia che la vita degli individui si è impoverita nel senso che sono venuti ad allentarsi i rapporti sociali e si diffonde una tendenza al fai-da-te. Questo fa sì che ci sia una specie di disorientamento, più che pensare in grande si fa un piccolo cabotaggio. C'è un tentativo di supplenza da parte della Chiesa che invade quello spazio di neutralità che è tipico del laicismo.

Ma esiste un'ideologia della laicità, una religione laica?

Il laicismo non è anticlericalismo, ci possono essere cristiani, cattolici e laici che credono tutti in qualche cosa. La questione è la separazione tra Chiesa e Stato, tra etica e diritto, dove c'è uno spazio comune per tutti e che quindi nessuno deve invadere il campo avverso.

Però a volte è capitato, penso ad alcune prese di posizione in Francia, che i laici assumessero delle posizioni semireligiose. Come vede il ruolo della religione nello spazio pubblico?

Francamente, io sono favorevole al modello francese sul divieto di portare simboli religiosi nelle scuole. Deve esistere uno spazio in cui nessuno pretende di imporre agli altri le proprie credenze. La presenza della religione nello spazio pubblico, come per esempio con il dibattito sulla fecondazione assistita, c'è il rischio di violare i diritti dei cittadini in quanto cittadini. La Chiesa ha tutto il diritto di fare propaganda di rappresentare i loro valori, il problema è che non devono fare pressioni sullo Stato. Questo accade in maniera diversa rispetto agli Stati Uniti. E questo l'ha scritto anche Ratzinger e ha ragione. Negli Stati Uniti le chiese nascono contro il potere, sono i padri pellegrini che fuggono in America perché perseguitati in Inghilterra. E quindi hanno sempre avuto una priorità nel respingere le interferenze della politica con la religione e quando Bush usa argomenti religiosi lo fa portando via dalla religione questi valori.

E in Italia cos'è capitato?

Da noi la storia è stata diversa, noi ci siamo dovuti difendere (almeno a partire da Cavour), abbiamo dovuto arginare le pretese della Chiesa. Quindi è tutto il contrario dall'altra sponda dell'Atlantico. Le chiese, si pensi anche all'Islam, vogliono interferire con lo Stato e vogliono rientrare da protagonisti nella vita pubblica.

Perché la cultura laica fa così fatica a contrapporsi all'accusa di relativismo, all'identificazione tra valori laici e relativismo fatta dal Papa e da altri teo-con?

I laici sono deboli perché non valorizzano quelle che sono le loro risorse. Come per esempio la lotta per l'uguaglianza, per la giustizia sociale, per la dignità della persona, lo fanno ma solo a mezza bocca. Manca un coraggio progettuale nel nostro paese. Il punto non è di alzare barricate ma di riconoscere che non c'è bisogno di importare i valori dall'esterno, di farseli prestare dalle Chiese e che c'è una grande tradizione politica, filosofica, etica. La fine delle grandi ideologie come il marxismo e anche il liberalismo – ché ormai son tutti liberali – ha portato a un riflusso che ormai ciascuno cucina da sé i propri ideali. In questo senso c'è allora il problema di come poter rilanciare il pensiero laico, o comunque aconfessionale, presentando in alternativa delle battaglie politiche. Non è che queste cose non si fanno, ma si fanno in maniera settoriale: l'articolo 18, la procreazione assistita. Non c'è una linea guida che dica come questi problemi si articolano e perché.

La razionalità laica, si pensi al dibattito sulla fecondazione assistita, è spesso rappresentata dagli scienziati, quasi che il filosofo laico, l'intellettuale laico non avessero argomenti per controbattere le posizioni dell'ortodossia ecclesiastica. Come lo spiega?

È così. Si presenta la vecchia contrapposizione tra fede e ragione come se esistessero soltanto separate. Non solo gli scienziati debbono difendere la razionalità. Esistono forme di razionalità pratica, come quelle di un tornitore o di un calzolaio. E quindi contrapporre sempre queste due sfere dei valori del laico e di quelli del cattolico richiamandosi poi come argomento, debole, quello della libertà di coscienza è effettivamente un autogol. La questione è di fare una valutazione di tutte queste credenze o di questi miti, tra i quali anche lo scientismo.

E allora qual è la strada che dovrebbero battere i laici?

Il terreno giusto sarebbe quello di mostrare che con il rispetto per tutte le fedi e tutte le credenze i laici hanno valori forti che non devono importare da nessuno, basta che li riscoprano. Certamente un liberalismo novecentesco fatto da una sorta di lottizzazione morale nella quale se tu mi lasci i miei valori io ti lascio i tuoi, non funziona. Un patto di non aggressione che diventa una forma di frullato nella quale le Chiese giustamente dal loro punto di vista intervengono e dicono: voi non credete in niente e quindi per una società permissiva la libertà è diventata licenza e quindi avete bisogno di noi.

Europa. Un altro tema nel quale è chiamato in causa il relativismo è stata la Costituzione europea. Il relativismo sarebbe alla base della perdita di identità del Vecchio continente. Unica soluzione sarebbe inserire nel preambolo un riferimento alle radici cristiane.

Innanzitutto, le radici europee, da Leo Strauss in poi, sono tre: Roma, Atene e Gerusalemme. Prendere solo Gerusalemme è riduttivo. Il nostro continente diventerà tra poco multireligioso. Non capisco il bisogno di mettere nella Costituzione una cosa che da un lato è ovvia e dall'altro però complica le cose. L'Europa poi ha tante radici, l'Illuminismo, il Romanticismo, l'Europa è il luogo della tecnica, del diritto. Questi sono i valori che noi abbiamo e ai quali non dobbiamo rinunciare. Qui non si tratta di fare una graduatoria tra le civiltà per cui la nostra è migliore. Dobbiamo avere il doppio coraggio di metterci in discussione e di non rinunciare a quegli apporti che abbiamo dato in quanto Europa alla civiltà mondiale.

Ma cosa dovrebbero fare "gli uomini di buona volontà" che vorrebbero evitare lo scontro tra i due eserciti, quello dei laici e quello dei cattolici, e continuare a ragionare?

Il problema non è il contrasto tra fede e ragione, il contrasto è tra chi argomenta e chi ottusamente si nega a questo e si appoggia a un dogma e, come diceva Wittgenstein, "quando trova la roccia, la vanga si piega" e non si discute più. Nella dimensione della convivenza civile si esce dai dogmi e ci si confronta sugli argomenti. L'esempio della fecondazione assistita oppure il fatto che non si possano utilizzare le cellule staminali degli embrioni soprannumerari è una grande assurdità. Su queste cose si deve ragionare e argomentare. È meglio avere la possibilità di salvare dei malati oppure, per un principio sulla sacralità della vita, rinunciare? Capisco la paura per lo scivolo, la Chiesa ha paura che ognuno faccia come gli pare, che si crei un clone, che ci sia un body shop nel quale si può comprare un organo di ricambio. Attenzione, sono argomenti giusti sui quali anche Giuliano Amato ha detto delle cose sensate, ma sono cose sulle quali si può e si deve discutere.

 

 

 

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