277 - 16.05.05


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Caffè mediterraneo
Boris Biancheri con
Mauro Buonocore

Un tavolino, delle sedie, un bancone. Gente intorno che va e viene, si ferma, saluta qua e là. Da una parte un tizio alza un po’ la voce agitando un giornale, se la prende con il governo, con le tasse troppo alte e la pensione troppo bassa, l’amico lo ascolta e fa sì con la testa; più in là due uomini giacca cravatta e palmare alla mano discutono a un tavolino di un affare che stanno per concludere, a un altro tavolo, vicino alla vetrata che dà sulla strada, due donne chiacchierano chiacchierano… Camerieri sgusciano tra i clienti, mani come ventose per non far cadere vassoi. Qualcuno entra, ha fretta, si ferma al bancone, beve il suo caffè e se ne va.
Ecco un posto come tanti, un normalissimo caffè, ma per Boris Biancheri è anche qualcosa di più: è il simbolo che unisce popoli, storie, tradizioni, è il luogo che hanno in comune tutti i luoghi del Mediterraneo.
“A Beirut come ad Alessandria, a Palermo come a Marsiglia, i caffè si assomigliano. Sono luoghi dove si entra e si esce, si parla e si fanno affari, si discute e si litiga. Io ci vedo il vero simbolo del Mediterraneo perché è un posto che, resistendo alla modernità, incarna un’abitudine e un modo di essere che da secoli appartiene a tutti i popoli che abitano le rive di questo mare”.
“Pensiamo a una pasticceria del centro Europa – continua Biancheri – e vediamo subito la differenza. Quella è un luogo solitario, riflessivo, intimista. Il caffè mediterraneo, al contrario, è un luogo di scambio, di incrocio, di contatto e divergenza. È il luogo della socialità”.

Al Salone internazionale del libro di Ginevra, dove l’Italia è ospite d’onore, si parla dei paesaggi del mediterraneo, di luoghi che Boris Biancheri conosce bene, per averli vissuti durante la sua carriera diplomatica che lo ha visto, tra l’altro, all’ambasciata italiana di Atene e al consolato di Tolone. Ora Biancheri ricopre diverse cariche autorevoli (presidente della Fieg e dell’Ispi) tra le quali quella di presidente dell’agenzia Ansa, che qualche hanno fa ha dato vita ad Ansamed, agenzia di informazione per il Mediterraneo per raccogliere notizie e iniziative su questo spazio di culture e popoli diversi, ma da secoli in contatto tra loro.

Presidente Biancheri, che cosa è la mediterraneità?

Non è facile dare una risposta. Probabilmente quello che unisce il Mediterraneo è proprio la sua diversità, cioè gli scambi, gli incroci, le interrelazioni tra diversi che però sono accomunati dall’affacciarsi sullo stesso mare, condividono uno spazio di incontro sul quale incrociano interessi comuni.
Qualche tempo fa l’Ansa ha curato, in collaborazione con le collezioni Alinari, una bellissima mostra fotografica sul Mediterraneo. Guardando le immagini veniva da riflettere come il Mediterraneo si assomigliasse molto di più un secolo fa di quanto non si assomigli oggi. Fotografie del porto di Napoli e del porto di Algeri, della città di Palermo e di Tunisi, di Genova o di Alessandria di cento anni fa ci mostrano posti molto più simili tra loro di quanto non siano oggi. In qualche modo la modernità anziché avvicinare le sponde del nostro mare, le allontana.
Credo che questa osservazione stia alla base dei tentativi europei di impostare una politica mediterranea. Qui entriamo in un campo complesso, perché queste politiche non hanno dato i frutti che ci si poteva aspettare.

Diversità che cresce nel tempo e a cui corrisponde un allontanamento nei rapporti politici?

I singoli paesi cercano di impostare le loro politiche secondo la propria storia, le proprie tradizioni, i propri interessi. L’Unione europea soffre di non aver mai potuto esercitare una vera politica estera e si è limitata a fare una politica di assorbimento, dando seguito a una sorta di bulimia politica che l’ha portata ad allargarsi verso nuovi paesi. Questo è stato possibile verso l’Europa dell’est perché è contiguo; non è invece possibile verso la sponda meridionale del Mediterraneo perché è più diversa di quanto non lo siano i paesi di recente adesione all’Ue.

Lei parla di una contiguità geografica?

Sì, ma anche di una contiguità storica, perché le grandi differenze che troviamo tra i paesi che si affacciano al Mediterraneo, come quelle che riguardano etnie e religioni, sono meno pronunciate all’interno del continente europeo.
Di conseguenza, verso il Mediterraneo, l’Ue un può esprimere una politica di assorbimento e allo stesso tempo non ha gli strumenti per una vera e propria politica estera.

Però i paesi che appartenevano al blocco sovietico e che sono entrati nell’Ue nel maggio del 2004 avevano dimostrato una forte intenzione all’adesione. La possibilità di entrare nell’Unione europea, per molti paesi significa trovare le condizioni per accelerare il cammino verso la democrazia e verso le riforme. L’Ue non può rappresentare questa stessa ambizione per i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo?

In parti avanzate delle opinioni pubbliche di questi paesi certamente esiste questo tipo di discorso, però la distanza rimane. Non bisogna dimenticare che i paesi dell’Europa centro-orientale hanno vissuto sotto il dominio dell’Urss, il patto di Varsavia non era un patto fra eguali, ma era un’intesa in cui i paesi che vi aderivano erano politicamente subordinati all’Unione sovietica. L’Europa occidentale rappresentava la liberazione da questo dominio.
I paesi dell’altra sponda del Mediterraneo non hanno soggiaciuto a un dominatore, le carenze e i difetti di alcune delle loro democrazie hanno ragioni interne, non esterne. Non dico che non guardino all’Europa come ad un’aspirazione, ma ho l’impressione che vi guardino più dal profilo del benessere, del traguardo economico di popolazioni che sono in sovra eccesso, che non per entrare a far parte di un’unione politica sovranazionale.

Mediterraneo vuol dire diversità, ma anche contatto, scambio, incontro, a volte anche scontro. I rapporti tra Ue e paesi del sud del Mediterraneo esistono: non solo la politica di vicinato inaugurata a Barcellona 10 anni fa, ma anche, nei fatti la popolazione europea è formata anche da persone che provengono da questi paesi.

E’ vero, l’Ue raccoglie differenze e le incorpora. Oltre il cinque per cento della popolazione europea, ad esempio, è musulmana e in grande parte proviene dal nord Africa. Ma tra integrazione e multiculturalismo l’Europa non ha ancora fatto la sua scelta. Un recente rapporto, realizzato da un autorevole istituto di ricerca e pubblicato su Le Monde, sostiene che esistono in Francia circa 300 aree nelle quali si può considerare non applicabile la legge francese, tanto sono caratterizzate dagli abitanti che vengono da aree musulmane. È un dato inquietante se pensiamo che stiamo parlando della Francia, un paese in cui la burocrazia e la centralità sono molto forti. Capisce cosa intendo? Mentre negli Stati Uniti, per quanto sia rispettata la grande varietà che compone la popolazione, l’identificazione dell’immigrato con la cultura americana è molto forte, in Europa non è per niente così, e in Francia l’immigrato algerino resta algerino, più che francese.

Poi, se guardiamo alle politiche concrete, è un dato di fatto che l’idea impostata a Barcellona di iniziare un processo di integrazione affinché, entro il 2010, il bacino del Mediterraneo si trasformi in una zona unica di libero scambio, dobbiamo ammettere che siamo lontanissimi da quel risultato. Non vorrei sembrare troppo pessimista, ma è la realtà che vediamo davanti ai nostri occhi.

 

 

 

 

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