Un tavolino, delle sedie, un bancone. Gente intorno
che va e viene, si ferma, saluta qua e là.
Da una parte un tizio alza un po’ la voce agitando
un giornale, se la prende con il governo, con le tasse
troppo alte e la pensione troppo bassa, l’amico
lo ascolta e fa sì con la testa; più
in là due uomini giacca cravatta e palmare
alla mano discutono a un tavolino di un affare che
stanno per concludere, a un altro tavolo, vicino alla
vetrata che dà sulla strada, due donne chiacchierano
chiacchierano… Camerieri sgusciano tra i clienti,
mani come ventose per non far cadere vassoi. Qualcuno
entra, ha fretta, si ferma al bancone, beve il suo
caffè e se ne va.
Ecco un posto come tanti, un normalissimo caffè,
ma per Boris Biancheri è anche qualcosa di
più: è il simbolo che unisce popoli,
storie, tradizioni, è il luogo che hanno in
comune tutti i luoghi del Mediterraneo.
“A Beirut come ad Alessandria, a Palermo come
a Marsiglia, i caffè si assomigliano. Sono
luoghi dove si entra e si esce, si parla e si fanno
affari, si discute e si litiga. Io ci vedo il vero
simbolo del Mediterraneo perché è un
posto che, resistendo alla modernità, incarna
un’abitudine e un modo di essere che da secoli
appartiene a tutti i popoli che abitano le rive di
questo mare”.
“Pensiamo a una pasticceria del centro Europa
– continua Biancheri – e vediamo subito
la differenza. Quella è un luogo solitario,
riflessivo, intimista. Il caffè mediterraneo,
al contrario, è un luogo di scambio, di incrocio,
di contatto e divergenza. È il luogo della
socialità”.
Al Salone internazionale del libro di Ginevra, dove
l’Italia è ospite d’onore, si parla
dei paesaggi del mediterraneo, di luoghi che Boris
Biancheri conosce bene, per averli vissuti durante
la sua carriera diplomatica che lo ha visto, tra l’altro,
all’ambasciata italiana di Atene e al consolato
di Tolone. Ora Biancheri ricopre diverse cariche autorevoli
(presidente della Fieg e dell’Ispi) tra le quali
quella di presidente dell’agenzia Ansa, che
qualche hanno fa ha dato vita ad Ansamed,
agenzia di informazione per il Mediterraneo per raccogliere
notizie e iniziative su questo spazio di culture e
popoli diversi, ma da secoli in contatto tra loro.
Presidente Biancheri, che cosa è la
mediterraneità?
Non è facile dare una risposta. Probabilmente
quello che unisce il Mediterraneo è proprio
la sua diversità, cioè gli scambi, gli
incroci, le interrelazioni tra diversi che però
sono accomunati dall’affacciarsi sullo stesso
mare, condividono uno spazio di incontro sul quale
incrociano interessi comuni.
Qualche tempo fa l’Ansa ha curato, in collaborazione
con le collezioni Alinari, una bellissima mostra fotografica
sul Mediterraneo. Guardando le immagini veniva da
riflettere come il Mediterraneo si assomigliasse molto
di più un secolo fa di quanto non si assomigli
oggi. Fotografie del porto di Napoli e del porto di
Algeri, della città di Palermo e di Tunisi,
di Genova o di Alessandria di cento anni fa ci mostrano
posti molto più simili tra loro di quanto non
siano oggi. In qualche modo la modernità anziché
avvicinare le sponde del nostro mare, le allontana.
Credo che questa osservazione stia alla base dei tentativi
europei di impostare una politica mediterranea. Qui
entriamo in un campo complesso, perché queste
politiche non hanno dato i frutti che ci si poteva
aspettare.
Diversità che cresce nel tempo e a
cui corrisponde un allontanamento nei rapporti politici?
I singoli paesi cercano di impostare le loro politiche
secondo la propria storia, le proprie tradizioni,
i propri interessi. L’Unione europea soffre
di non aver mai potuto esercitare una vera politica
estera e si è limitata a fare una politica
di assorbimento, dando seguito a una sorta di bulimia
politica che l’ha portata ad allargarsi verso
nuovi paesi. Questo è stato possibile verso
l’Europa dell’est perché è
contiguo; non è invece possibile verso la sponda
meridionale del Mediterraneo perché è
più diversa di quanto non lo siano i paesi
di recente adesione all’Ue.
Lei parla di una contiguità geografica?
Sì, ma anche di una contiguità storica,
perché le grandi differenze che troviamo tra
i paesi che si affacciano al Mediterraneo, come quelle
che riguardano etnie e religioni, sono meno pronunciate
all’interno del continente europeo.
Di conseguenza, verso il Mediterraneo, l’Ue
un può esprimere una politica di assorbimento
e allo stesso tempo non ha gli strumenti per una vera
e propria politica estera.
Però i paesi che appartenevano al
blocco sovietico e che sono entrati nell’Ue
nel maggio del 2004 avevano dimostrato una forte intenzione
all’adesione. La possibilità di entrare
nell’Unione europea, per molti paesi significa
trovare le condizioni per accelerare il cammino verso
la democrazia e verso le riforme. L’Ue non può
rappresentare questa stessa ambizione per i paesi
della sponda meridionale del Mediterraneo?
In parti avanzate delle opinioni pubbliche di questi
paesi certamente esiste questo tipo di discorso, però
la distanza rimane. Non bisogna dimenticare che i
paesi dell’Europa centro-orientale hanno vissuto
sotto il dominio dell’Urss, il patto di Varsavia
non era un patto fra eguali, ma era un’intesa
in cui i paesi che vi aderivano erano politicamente
subordinati all’Unione sovietica. L’Europa
occidentale rappresentava la liberazione da questo
dominio.
I paesi dell’altra sponda del Mediterraneo non
hanno soggiaciuto a un dominatore, le carenze e i
difetti di alcune delle loro democrazie hanno ragioni
interne, non esterne. Non dico che non guardino all’Europa
come ad un’aspirazione, ma ho l’impressione
che vi guardino più dal profilo del benessere,
del traguardo economico di popolazioni che sono in
sovra eccesso, che non per entrare a far parte di
un’unione politica sovranazionale.
Mediterraneo vuol dire diversità,
ma anche contatto, scambio, incontro, a volte anche
scontro. I rapporti tra Ue e paesi del sud del Mediterraneo
esistono: non solo la politica di vicinato inaugurata
a Barcellona 10 anni fa, ma anche, nei fatti la popolazione
europea è formata anche da persone che provengono
da questi paesi.
E’ vero, l’Ue raccoglie differenze e le
incorpora. Oltre il cinque per cento della popolazione
europea, ad esempio, è musulmana e in grande
parte proviene dal nord Africa. Ma tra integrazione
e multiculturalismo l’Europa non ha ancora fatto
la sua scelta. Un recente rapporto, realizzato da
un autorevole istituto di ricerca e pubblicato su
Le Monde, sostiene che esistono in Francia
circa 300 aree nelle quali si può considerare
non applicabile la legge francese, tanto sono caratterizzate
dagli abitanti che vengono da aree musulmane. È
un dato inquietante se pensiamo che stiamo parlando
della Francia, un paese in cui la burocrazia e la
centralità sono molto forti. Capisce cosa intendo?
Mentre negli Stati Uniti, per quanto sia rispettata
la grande varietà che compone la popolazione,
l’identificazione dell’immigrato con la
cultura americana è molto forte, in Europa
non è per niente così, e in Francia
l’immigrato algerino resta algerino, più
che francese.
Poi, se guardiamo alle politiche concrete, è
un dato di fatto che l’idea impostata a Barcellona
di iniziare un processo di integrazione affinché,
entro il 2010, il bacino del Mediterraneo si trasformi
in una zona unica di libero scambio, dobbiamo ammettere
che siamo lontanissimi da quel risultato. Non vorrei
sembrare troppo pessimista, ma è la realtà
che vediamo davanti ai nostri occhi.
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