275 - 08.04.05


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Tv spagnola libera dalla politica
Flavio Bianchi

Josè Luis Zapatero e il suo esecutivo sono sul punto di portare a compimento l’ennesima, annunciata riforma: quella del sistema radiotelevisivo. E come tutte le “rivoluzioni” dello status quo, anche questa è foriera di polemiche molto aspre. Il premier iberico, dopo aver sparato i primi “botti riformatori” di stampo ultra-laicistico riguardanti l’aborto libero nelle prime 12 settimane, il matrimonio tra gay e la più libertaria legge sulla fecondazione assistita d’Europa, si appresta a modificare gli equilibri di un sistema, quello radiotelevisivo appunto, oligopolistico e stagnante. Non vi è dubbio, comunque la si pensi, che l’attuale panorama delle radio e delle tv sia poco conforme alle più elementari osservanze del pluralismo informativo. Oltre a ciò, e qui le analogie con la televisione italiana si rafforzano, la qualità dei programmi messi in onda risulta spesso di scarsissima qualità tanto che gli spagnoli hanno coniato un neologismo abbastanza illuminante: “telebasura”, cioè telespazzatura.
Inoltre, il debito pubblico dell’emittenza di stato ammonta ad oltre 7.500 milioni di euro.

Alla luce di questo quadro piuttosto deprimente, appare quanto mai necessario e auspicabile un riassetto del sistema. Il nocciolo della questione, che ha scatenato vibranti polemiche e aspre contestazioni, riguarda il merito e le modalità degli interventi da effettuare. Un “comitato di saggi”, presieduto dal filosofo Emilio Lledò, ha eleborato un documento che miri a limitare il peso della politica nella tv pubblica e nel contempo badi ad aumentare l’offerta dei canali in analogico. D’altronde, Zapatero era stato chiaro in campagna elettorale, annunciando che sarebbe stato il primo premier spagnolo a togliersi di mezzo dalla tv pubblica: in altri termini, l’intento è quello di rendere indipendente la Rtve (l’equivalente della nostra Rai) dai giochi di maggioranza parlamentare.

Su questo punto, si apre la prima importante questione che riguarda il servizio pubblico e le modalità di come questo verrà modificato. La prima importante novità riguarda la nomina del presidente che non verrà più scelto dal governo, bensì dal Consiglio di amministrazione. Quest’ultimo, che avrà mandato per sei anni, risulterà composto da due membri eletti dalla Camera dei deputati e due dal Senato, con i due terzi dei voti e il gradimento almeno della metà dei gruppi politici che siedono in Parlamento; altri due membri saranno espressione dei sindacati mentre gli ultimi due saranno selezionati dal Consiglio audiovisuale (organismo preposto alla regolazione dei flussi pubblicitari, alla qualità dei palinsesti a i costi del servizio pubblico). Anche per la carica di direttore generale occorrono i due terzi dei voti, in questo caso però provenienti dal Consiglio di amministrazione dopo un concorso pubblico.

Per quanto concerne i finanziamenti di cui usufruirà la Rtve, vi sarà un sistema misto così ripartito: 50 per cento proveniente dalle casse dello stato (il canone a differenza dell’Italia non è dovuto) e 40 per cento dagli introiti pubblicitari. Il restante 10 per cento dovrà scaturire dalla vendita ai circuiti esteri dei programmi e dei diritti dei materiali di archivio. In materia di rapporto fra gli spot e il loro inserimento nelle trasmissioni, la Rtve si allineerà alle direttive dell’Ue.

L’ultimo punto cruciale sul riassetto della radiotelevisione pubblica, passa per la creazione di un ulteriore organismo, ex novo, denominato “Consiglio d’informazione”. Questo sarà formato da rappresentanze dei comitati di redazione dei canali pubblici e da alcune associazioni della società civile.

Quanto al capitolo di riforma sull’emittenza privata, manco a dirlo, si sono innescate polemiche feroci. Ha cominciato l’italiano Paolo Vasile, amministratore delegato di Telecinco (Mediaset detiene il 50, 1 per cento del pacchetto azionario), il quale a parlato di “colpo di Stato”, sostenendo che Zapatero intende favorire le reti “amiche” (del colosso mediatico Prisa, tradizionalmente filo-socialista). Secca e composta la replica del premier iberico: “Invito questo cittadino italiano a moderare un po’ i termini”. Condivide le critiche di Vasile anche Maurizio Carlotti, amministratore delegato di Antenna 3, controllata da De Agostini e Planeta. Le ragioni di questi attacchi dal “clan Italia”, derivano dal fatto che l’emittente pay-tv Canal Plus con la riforma passerebbe a trasmettere in chiaro. Se da una parte si potrebbe pensare, come allude Paolo Vasile, a una sorta di sdebitamento del premier nei confronti del Gruppo Prisa (proprietario di Canal Plus), dall’altra è assolutamente condivisibile un ampliamento dell’offerta televisiva in nome di un pluralismo informativo finora latitante. Dietro le preoccupazioni sulla presunta o meno correttezza di questa operazione giuridico-mediatica, sembrano esserci, più che altro, ragioni puramente economiche. Telecinco, che spadroneggia quasi indisturbata nell’emittenza privata da molti anni, vedrebbe messa in discussione la propria leadership in fatto di spettatori e quindi di introiti commerciali. Occorre rilevare, tuttavia, che in questa operazione promossa dall’esecutivo spagnolo in favore di una “maggiore libertà” e presenza di più voci nel panorama mediatico-informativo, vi sia un neo piuttosto contraddittorio rilevato dal gruppo di editori contrari a questa riforma: è curioso, infatti, che se da un lato Zapatero anticipi la fine dell’era dell’analogico dal 2012 al 2010, dall’altro programmi nuovi concessioni per tv analogiche. In questo modo si rallenta l’introduzione del digitale. La questione rimane abbastanza irrisolta e di difficile comprensione. Nel complesso, ad ogni modo, in una situazione che vede pochi attori partecipi (praticamente i nostri connazionali) nell’industria culturale della televisione, questa riforma mira all’innalzamento della qualità dei palinsesti della Rtve con la programmazione di documentari e format culturali anche in prima serata, elude almeno in parte il controllo politico sull’emittenza statale e aumenta l’offerta di canali agli utenti. Insomma, più luci che ombre su queste proposte che ora dovranno diventare, salvo sorprese, disegno di legge.



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