Tratto da www.la
voce.info
La
possibile privatizzazione della Rai non ha molti riferimenti
internazionali, se si esclude la cessione del primo
canale della televisione francese Tf1, attuata nel
1987 con un "beauty contest". In Francia,
però, già diversi anni prima l’ente
radiotelevisivo era stato diviso in sette società
indipendenti e la privatizzazione di una parte della
televisione pubblica era strettamente collegata a
un intervento strutturale sull’insieme del mercato
televisivo.
Televisioni d’Europa
In tutta Europa le televisioni pubbliche sono uscite
negli ultimi quindici anni da un contesto monopolistico
e stanno vivendo un periodo di crisi e di trasformazioni
che ha tratti comuni nella concorrenza delle emittenti
commerciali, nella crescita della televisione a pagamento
e nella perdita di legittimità del canone.
Ma ha anche specifiche caratteristiche nazionali,
frutto dell’evoluzione storica e della diversa
organizzazione dei mercati televisivi. Negli ultimi
anni in Italia il marcato orientamento commerciale
di Rai, dovuto al peso elevato della pubblicità
nella composizione dei ricavi e all’intensità
della concorrenza nel mercato dell’ascolto,
ha destato molte perplessità e da molti è
considerato un punto da correggere all’interno
di una ridefinizione del mercato televisivo. Se però
si assume una prospettiva di lungo periodo, occorre
riconoscere anche i pregi di questa formula, che si
è dimostrata estremamente efficiente nel fornire
agli italiani un servizio televisivo relativamente
ricco con un canone che è sempre stato uno
dei più bassi di Europa (99 euro, contro 165
in Gran Bretagna, 116 in Francia e 193 in Germania).
Il costo del canone è più elevato in
quei paesi che rinunciano a sfruttare le economie
di scala per produrre programmi e palinsesti destinati
a mercati più limitati, come la Svizzera o
la Germania.
In Svizzera vi sono canali sostanzialmente indipendenti
per le tre lingue principali che si rivolgono a piccoli
mercati regionali: i costi dei programmi, che sono
fissi rispetti al numero di spettatori, sono proporzionalmente
elevati. Il canone necessario per finanziare questo
sistema è vicino ai 250 euro l’anno,
tra i più alti d’Europa, ma l’intervento
televisivo fa parte di un delicato bilanciamento tra
i gruppi linguistici.
In Germania vi sono nove grandi televisioni regionali
che producono canali televisivi indipendenti destinati
ai singoli land e che assieme diffondono una canale
nazionale (Ard) a cui si aggiunge una seconda televisione
pubblica nazionale (Zdf), Si tratta di un sistema
molto articolato, costruito nel periodo dell’occupazione
alleata per ostacolare la ricostruzione di un’identità
nazionale, che complessivamente richiede oltre 25mila
addetti.
In Spagna il canone è stato abolito nel 1963
perché il livello dell’evasione era troppo
elevato. La televisione pubblica Rtve viene finanziata
con un indebitamento garantito dallo Stato e con specifiche
sovvenzioni pubbliche. Rtve vende gli spot pubblicitari
a prezzi molto aggressivi suscitando le proteste dei
canali nazionali concorrenti (ambedue di proprietà
italiana). Le undici emittenti regionali (Auctonomicas)
che sul piano nazionale hanno una share media del
18 per cento sono finanziate per due terzi da contributi
regionali e raccolgono inoltre pubblicità locale.
In Gran Bretagna la Bbc fattura complessivamente 3,5
miliardi di sterline di cui quasi un miliardo tra
attività commerciali e contributi pubblici
per Bbc World. Impiega complessivamente 27mila persone
di cui 19mila nel Uk Public Broadcasting Service (radio
e televisione nazionali). Questa struttura imponente
non ha impedito un consistente declino nell’ascolto.
I due canali televisivi analogici sono passati dal
48 per cento di share nel 1990 al 42 per cento nel
1997, fino al 36 per cento nel 2003. Il dibattito
sulle forme di finanziamento della Bbc e sul servizio
pubblico è molto approfondito da diversi anni
e recentemente vi sono state opinioni contrastanti
sull’uso di rilevanti risorse pubbliche per
il finanziamento dello start up della televisione
digitale terrestre.
Come calcolare produttività ed efficienza
In questo panorama così variegato, i tradizionali
confronti di produttività ed efficienza, inevitabili
nel dibattito che farà da contorno nei prossimi
mesi alla ipotizzata privatizzazione della Rai, rischiano
di essere fuorvianti. Il fatturato per addetto di
una televisione dipende oltre che dall’efficienza
dal grado di integrazione verticale scelto. Immaginiamo
due televisioni che producano lo stesso programma
con le stesse risorse produttive, ma una lo realizza
con personale e studi interni, mentre l’altra
lo commissiona, assumendosene completamente il rischio
e la direzione e mantenendone tutti i diritti, a una
società di produzione esterna. L’efficienza
può essere la stessa, ma il fatturato per addetto
risulterà molto diverso.
Anche il costo medio dei programmi, per essere usato
come indicatore, deve essere qualificato. Generalmente
in un canale generalista circa metà della spesa
complessiva di palinsesto viene usato per i programmi
di prima serata mentre l’altra metà serve
per produrre o acquistare tutte le altre ore di programmazione.
Una televisione che estendesse la programmazione alle
ore notturne abbasserà sensibilmente il costo
medio di programmazione perché aggiunge molte
ore di programmi a basso costo senza che questo indichi
necessariamente un’efficienza maggiore o una
qualità minore nelle fasce orarie che effettivamente
incidono sulla competizione. Allo stesso modo un’impresa
televisiva che producesse alcuni canali tematici aggiuntivi
per la televisione a pagamento satellitare con un
costo medio annuo di 3-5 milioni di euro di palinsesto
contro i 150-800 milioni di euro di un palinsesto
generalista analogico abbasserebbe significativamente
l’indicatore del costo orario di programmazione
senza però necessariamente modificare il costo
medio delle ore rilevanti. Nell’insieme la Rai
è un po’ più efficiente della
maggior parte delle televisioni pubbliche europee,
sebbene non quanto la differenza del fatturato per
addetto possa far apparire. Questo risultato però
emerge grazie a un’interpretazione molto elastica
del concetto di servizio pubblico sia sul piano della
programmazione che su quello della trasparenza organizzativa
e informativa, oltre a dipendere da differenze strutturali
di perimetro.
Le aree più discutibili in termini di efficienza
sono probabilmente le sedi regionali e l’apparato
gestionale, come del resto avviene nelle televisioni
pubbliche tradizionali. Nell’area più
strettamente operativa la forte concorrenza nel mercato
degli ascolti ha spinto verso comportamenti e routine
organizzative analoghe a quelle delle televisioni
commerciali. Il confronto con le televisioni commerciali
internazionali mostra ampi margini di miglioramento,
ma in questo caso il raffronto è per alcuni
versi più improprio.
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