“Esiste
un vecchio proverbio ebreo: quello che non costa niente,
non vale niente. Perché non dovrebbe andar
bene per i programmi televisivi?”
“Chi l’ha detto che un programma tv deve
essere pagato da tutti, anche da chi non lo vede o
non gli piace?”
“Perché mai il servizio pubblico deve
necessariamente essere erogato dallo Stato e non da
un privato?”
Chiedo un’intervista al senatore dei Ds Franco
Debenedetti e invece, quando ci incontriamo, chi fa
le domande è lui. Domande che hanno la risposta
già scritta e che il senatore usa per spiegare
perché sia assolutamente necessario, secondo
lui, che la Rai sia privatizzata, tutta, senza eccezioni.
La tv di qualità, le proposte politiche di
Prodi per quando il centro sinistra sarà al
governo, le leggi del mercato e la concorrenza. Il
discorso tra tv servizio pubblico e privatizzazione
si intreccia a tanti e complessi argomenti che il
senatore passa in rassegna. A partire dal testo della
Legge Gasparri.
“È la bestia nera della sinistra, per
ragioni che secondo me non sono tutte giustificate.
Il suo difetto maggiore, ma decisivo, è nella
visione di sistema del settore televisivo”,
dice Debenedetti. “La Gasparri vuole vendere
progressivamente parti della Rai tutta intera, ma
non solo non pone alcun obbiettivo alla perdita di
controllo dello stato sull’azienda, ma mette
in moto un meccanismo che allontana indefinitamente
questo momento. Questa è la volontà
politica che appare chiaramente, a fronte della quale
la facoltà, che pure ha il CdA, di vendere
rami d’azienda, dunque anche intere reti, appare
una possibilità del tutto teorica. L’idea
sottesa alla legge è di lasciare i privati
in minoranza in un consiglio d’amministrazione
espressione del Governo e di organi parlamentari come
la Commissione di Vigilanza. E siccome non si ha perdita
di controllo, chiamare questa una privatizzazione
è un falso”.
Da una parte la proposta del governo incarnata
dalla legge Gasparri, dall’altra la soluzione
proposta da Romano Prodi.
Il proposito manifestato da Prodi nella lettera al
Corriere di fine anno è la Rai divisa
in due. Da una parte il servizio pubblico finanziato
dal canone, dall’altra la tv commerciale finanziata
dalla pubblicità da vendere a privati. Prodi
dice "dovrebbe": ma non vedo perché
un Presidente del Consiglio non faccia ciò
che "dovrebbe" essere fatto.
Ma se la privatizzazione della Rai dipendesse
da lei quale soluzione adotterebbe?
Il fatto che io abbia delle riserve sul proposito
di Prodi non mi impedisce di giudicarlo un notevolissimo
passo avanti. Quando avremo vinto le elezioni e Prodi
avrà messo in atto ciò che ha detto
che si "dovrebbe" fare, avremo messo in
atto le condizioni per il superamento del duopolio
che blocca il sistema televisivo italiano da anni.
Riconosco che in Europa la pressione per mantenere
un’emittente televisiva pubblica è fortissima,
e difficilmente superabile, anche si tratta di un
pregiudizio datato, che non ha più ragione
d’essere.
Concetto vecchio e senza più motivi
di esistere, è del servizio pubblico che sta
parlando?
Sì. Chi sostiene la tv di stato deve rispondere
a due domande.
Primo: chi comanda? Ossia, a chi risponde politicamente
una televisione pubblica?
Secondo: che cosa vuol dire servizio pubblico, e per
quale ragione non può essere svolto da privati?
Due quesiti a cui non si riesce a rispondere. Probabilmente
in assoluto, certo non nell'Italia di oggi e del prevedibile
futuro.
Non si possono allontanare il potere politico
e il controllo amministrativo della Rai?
La ragione per cui si vuole e si chiede una tv pubblica
è proprio perché essa sia accountable,
che risponda cioè non a interessi privati,
ma a un interesse pubblico. Ora chi legittimamente
può sostenere di rappresentare l'interesse
pubblico se non una catena di comando che, pur attraverso
vari gradi di indirettezza, finisca per far capo a
un potere politico democraticamente eletto? Non fosse
altro che perché quelli del canone sono soldi
dei contribuenti, analogamente alle tasse, non è
concepibile in democrazia che il potere pubblico non
controlli come vengono spesi. Democrazia è
anche trasparenza e responsabilità nella amministrazione
dei soldi dei cittadini.
Eppure ci sono esempi di servizio pubblico
televisivo di successo che non è affatto gestito
direttamente dal potere politico. La Bbc su tutti:
non ha pubblicità all’interno della programmazione,
si finanzia con il solo canone, produce programmi
di indiscussa qualità a livello mondiale.
Anche quelli televisivi sono dei prodotti, e come
tutti i prodotti hanno una loro immagine di marca
che ne costituisce l’avviamento, la base del
rapporto con il pubblico.
Negli anni passati, quando deteneva il monopolio della
programmazione televisiva britannica, la Bbc si è
costruita un’immagine di indipendenza, autorevolezza
e qualità; ora deve restare fedele a queste
sue caratteristiche, pena la perdita dei suoi ascoltatori.
In questo senso si potrebbe dire che il vero "padrone
" della Bbc é il suo passato. Qual è
il passato della Rai? È un passato di lottizzazione
teorizzata, dichiarata, voluta, realizzata a tutti
i livelli, dai direttori di rete fino agli autisti.
Non si può prescindere dalla propria storia,
il passato condiziona il futuro. Se anche la Bbc,
come si è visto in occasione della vicenda
della morte dello scienziato che indagava sulle armi
in Irak, ha difficoltà a mantenere la sua identità,
è assurdo pensare che la Rai diventi una Bbc.
Bisognerebbe annullarne il passato, cancellarne la
storia e, come mi è già capitato di
dire con una boutade, raderla al suolo, spargere
sale e ricostruirla da capo.
E veniamo alla seconda domanda che lei
stesso ha posto: che significa servizio pubblico?
Deve essere necessariamente svolto da un soggetto
pubblico?
Io sfido i sostenitori della proprietà pubblica
a scrivere, nero su bianco, in che cosa consiste il
servizio pubblico, di quali contenuti debba essere
fatto. Si vedrà che non c’è nessuna
ragione per cui debba essere erogato dallo stato.
Se lo si può scrivere, può essere oggetto
di un contratto, vincolante riguardo alla concessione
delle frequenze.
Chi vuole un servizio pubblico finanziato esclusivamente
(o prevalentemente) dal canone sostiene che solo liberandola
dalla pubblicità, dunque dall'inseguimento
dell'audience, la tv può essere di qualità.
In altre parole che il modo con cui la tv è
finanziata influisce sul tipo di prodotto.
Ma proviamo ora a girare la questione: possiamo dire
che una tv finanziata solo dal canone non deve preoccuparsi
di quanti spettatori la seguono? Dato che si spendono
soldi di tutti, non è forse doveroso verificare
che essi non vengano impiegati a produrre programmi
che interessano solo pochi? Non sarebbe regressiva
una tassa che è pagata da tutti ma impiegata
per prodotti e servizi che interessano prevalentemente
quella parte di popolazione che per cultura o censo
può procurarsi da sé l’accesso
ai contenuti che ritiene interessanti?
La tecnologia digitale consentirà una vera
moltiplicazione dell’offerta tv con la nascita
e la diffusione di canali tematici a pagamento. Se
mi interessa la lirica, sarò certo disposto
a pagare una cifra ragionevole per vedere in tv la
rappresentazione di un’opera, oppure a cedere
una piccola parte di attenzione a una sponsorizzazione.
Ci sono perfino nel programma di sala della Scala.
Però si potrebbe obiettare che
spettano al servizio pubblico non solo programmi di
qualità, seguiti da un pubblico di nicchia,
ma anche contenuti che vanno garantiti al di fuori
di regole di mercato. Un esempio su tutti potrebbero
essere le dirette parlamentari.
Premesso che le dirette parlamentari sono già
oggi visibili su internet, non é certo questa
una ragione perché sia fornito da un'azienda
pubblica, e neppure che richieda il pagamento di un
canone: basterebbe imporre alle tv concessionarie
di frequenze nazionali di trasmettere contenuti stabiliti,
con modalità stabilite. Riusciamo a farlo per
l’energia elettrica, per i trasporti, per la
sanità, per quale motivo non per la tv?
Rimane poi il fatto che il telespettatore è
poi lui padrone del telecomando, decide lui che cosa
vuol vedere. E se gli interessa, è disposto
a pagare qualcosa: o soldi, o un po' del suo tempo
o della sua attenzione. Il mondo in cui viviamo non
è diviso in due parti distinte, un iperuranio
di idee nobili che si contrappone al mercato dello
scambio di beni.
Non ci sono quindi ambiti che possono
essere esclusi dalla pubblicità?
Esistono beni che sono pubblici, pagati dalla fiscalità
generale perché non possono essere coperti
dal mercato e dal quale nessuno si può escludere.
La difesa nazionale, ad esempio, è un servizio
che va a beneficio di tutta la cittadinanza e nessuno
può dire che non la vuole o che non ne usufruisce.
Un programma televisivo che vogliamo definire “di
qualità”, ha queste caratteristiche?
È un bene che io desidero e che posso individualmente
comperare pagandolo con denaro oppure spendendo il
mio tempo. C’è qualche ragione economica
o morale per cui questo programma debba essere considerato
un bene pubblico e per cui debba essere pagato anche
da chi non lo fruisce? Esiste un vecchio proverbio:
quello che non costa niente, non vale niente……
Ma non abbiamo ancora detto che cosa è
un “programma di qualità”.
Chi stabilisce i criteri per identificare la qualità
e per verificarla? Chi la giudica? Non è certo
né il Ministero della Cultura né la
Commissione Parlamentare di Vigilanza. Come per tutti
i prodotti, dalle automobili alle magliette, dalle
case agli spettacoli, è il giudizio del pubblico.
C'è spazio per soddisfare tante forme di gusto:
di buon gusto e di cattivo gusto. Perché la
tv dovrebbe essere diversa?
L’assunto secondo il quale tutto ciò
che è “pubblico” ha una qualità
diversa da quanto è “privato” e
i programmi finanziati dal canone abbiano di per sé
una qualità migliore da quelli che si finanziano
con la pubblicità è un'assurdità,
non sostenibile dalla teoria e contraddetta dalla
esperienza.
Privatizzazione della Rai, canone e servizio
pubblico. In che modo questi fattori intervengono
nel mercato televisivo italiano?
Chi si oppone alla privatizzazione della Rai per
il timore di lasciare il mercato in balia dello strapotere
di Mediaset cade in contraddizione: è proprio
la Rai pubblica a rendere possibile il successo di
Mediaset. La Rai ha il canone, e quindi la legge pone
limiti di affollamento più stretti di Mediaset.
La possibilità della Rai di fare concorrenza
a Mediaset nella raccolta pubblicitaria é limitata
dalla legge. Per eliminare questo squilibrio è
necessario eliminare il canone: così la Rai
potrà competere ad armi pari con Mediaset sul
mercato pubblicitario e realizzare un vero regime
di concorrenza. Non l'oligopolio collusivo di oggi.
Link
www.francodebenedetti.it
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