Quanto spazio riservano i media all’Europa?
Le si dovrebbe dedicare una pagina apposita sui quotidiani,
così come esiste quella della politica interna?
E inoltre: è vero che l’Europa è
difficile da comunicare, e che raramente “fa
notizia”? A Modena, al seminario “Comunicare
la Nuova Europa”, le Rappresentanze in Italia
della Commissione e del Parlamento europeo hanno invitato
giornalisti ed esperti a discuterne, e ne è
nato un dibattito per nulla scontato.
La tavola rotonda è stata aperta dall’europarlamentare
Vittorio Prodi, del gruppo dei Liberaldemocratici
(Alde), che ha constatato soddisfatto come il peso
del Parlamento europeo sia aumentato sempre più,
come dimostrano prima lo scontro tra l’eurodeputato
tedesco Martin Schulz e l’allora presidente
di turno dell’Unione Silvio Berlusconi e poi
il caso Buttiglione, il commissario italiano bocciato
dall’emiciclo di Strasburgo. D’altronde,
il nuovo trattato costituzionale è destinato
ad accrescere il ruolo dell’istituzione più
democratica dell’Ue, e tutto ciò, ha
detto Vittorio Prodi, dovrebbe spingere i media del
continente ad occuparsi di più dell’Europa
e del suo parlamento in particolare: “Va crescendo
l’autocoscienza di questa istituzione, la cui
identità è stata affermata dallo stesso
Presidente americano George W.Bush, che nel suo recente
viaggio in Europa ha incontrato il presidente del
Parlamento Josep Borrell. Gli Usa si stanno convincendo
che l’Europa ha quel numero di telefono di cui
lamentava l’assenza Henry Kissinger –
ha rivendicato Prodi – ed è anche per
questo che occorre ora costruire un ceto culturale
e politico comune, nonché un ceto di comunicatori
comune”.
Della stessa opinione si è mostrato Enrico
Singer, corrispondente da Bruxelles de La Stampa,
tanto da auspicare che sui quotidiani nazionali possa
nascere, come avviene ad esempio sul francese Le
Monde o sul pur antieuropeista Financial
Times, una pagina dal titolo “Europa”,
distinta da quella di “Esteri”: “D’altronde
– ha spiegato Singer – dobbiamo renderci
conto che ormai l’Europa non è più
‘esteri’”. “Diamo un’informazione
episodica dell’Europa, c’è una
fiammata sulla Turchia, poi una sulla Costituzione.
Manca un filo continuo d’informazione –
ha argomentato Singer – Così il lettore
non ha gli strumenti, e ogni volta servono tre pagine
per spiegare gli antefatti”. Invece, secondo
Singer, una pagina sull’Europa potrebbe ricreare
quel filo conduttore: “Ci sono già i
temi. Cosa c’è di più affascinante
del raccontare quest’avventura, del creare una
narrazione e dei personaggi per questo nuovo risorgimento
europeo? La materia da raccontare c’è.
Bisogna solo trovare gli spazi”.
Giuseppe Sarcina e Giovanni Salimbeni non si sono
però detti d’accordo. Il secondo, direttore
dell’Ufficio per l’Italia del Parlamento
europeo, ha ricordato che le “pagine sull’Europa
c’erano già 30 anni fa, e sono state
chiuse perché nessuno le leggeva”. Per
il primo, corrispondente da Bruxelles del Corriere
della Sera, è “controproducente
fare pagine sull’Europa se poi sono noiose”:
“Magari ogni settimana avessimo un caso Buttiglione,
o un dibattito sulla lingua italiana esclusa dalle
lingue ufficiali delle conferenze stampa – ha
spiegato Sarcina – Il caso Buttiglione è
stato una delle poche cose divertenti che sono successe
a Bruxelles l’anno scorso”. Il senso dell’intervento
del giornalista del Corriere è che,
con tutta la simpatia che si può provare verso
l’Europa, tuttavia i giornali si fondano sulle
notizie, e se un documento della Commissione non dà
notizia, non se ne può scrivere: “Se
non ci sono facce, personaggi, se non c’è
un titolo, è impossibile da comunicare. Non
possiamo titolare ‘La Commissione ha approvato
tale documento’, perché è contro
qualsiasi regola della comunicazione”. Pertanto,
l’unico modo con cui tuttora i media possono
occuparsi d’Europa è, secondo Sarcina,
quello di partire da temi europei e leggerli attraverso
lenti nazionali, come fanno già oggi tutti,
“dal Financial Times a El Paìs
ai quotidiani polacchi, che per esempio sono ora concentrati
sull’Ucraina per gli evidenti riflessi interni”.
Il giornalista del Corriere ha lamentato
anche che gli stessi politici italiani a Bruxelles,
come è successo nel caso Buttiglione, fanno
pressioni sui giornalisti con l’intenzione di
sfruttare i fatti europei per mero interesse politico
interno, nazionale, e così i politici spesso
“trasformano l’Europa nel retrobottega
dei partiti italiani”.
L’ultimo rilevamento
di Eurobarometro (ottobre 2004) dice intanto che
aumenta il desiderio da parte dei cittadini dell’Unione
di vedere accelerato il processo di costruzione europea.
Il 56% è favorevole all’allargamento
ad est (+ 8% rispetto al semestre precedente), il
68% è favorevole al nuovo Trattato costituzionale
(+ 5%), e un cittadino su due ha un’immagine
positiva dell’Unione (+ 6% rispetto alla primavera
2004). L’Europa, almeno in Italia, nonostante
il caro-euro e il mancato coordinamento sulla vicenda
in Iraq, ottiene sempre maggiori consensi. Per portarla
più vicina ai cittadini, la Commissione europea
ha attivato fin dagli anni ’60 una politica
di prossimità, che si è concretizzata
nella realizzazione di un servizio generale di informazione
sull’Ue.
Nel 2001, all’interno del Libro bianco della
Commissione, il tema dell’informazione e della
comunicazione verso i cittadini è stato posto
tra le priorità: rendere più trasparente
il funzionamento dell’Unione, era scritto, significa
“favorire l’accesso dei cittadini a una
buona informazione sulle questioni europee, offrire
loro la possibilità di partecipare al dibattito
europeo e di seguirne il processo politico nelle sue
varie fasi”, e “informare e comunicare
di più e meglio è la condizione per
sviluppare il sentimento di appartenenza all’Europa”.
Il Presidente della Convenzione, Valery Giscard d’Estaing,
ha chiesto fortemente alle istituzioni degli Stati
membri di “spiegare e semplificare” l’Europa
ai cittadini, e lo stesso Presidente della Commissione
José Manuel Barroso, ha dichiarato: “Ritengo
particolarmente importante che l’Europa sappia
comunicare. L’apatia riscontrata in occasione
delle ultime elezioni europee è preoccupante.
Occorre comunicare più chiaramente alla gente
cosa fa l’Europa e perché lo fa”.
Barroso, con questo obiettivo, ha istituito anche
uno specifico portafoglio sulla Comunicazione, affidandolo
alla vicepresidente Margot Wallström.
Jürgen Habermas e Jacques Derrida hanno scritto
che il 15 febbraio, con le manifestazioni contro la
guerra in Iraq svoltesi nelle maggiori capitali del
continente, è nata l’opinione pubblica
europea. Resta però il fatto che, con l’eccezione
di realtà come la Bbc, The Economist o
il canale franco-tedesco Arte, sono in pochi gli operatori
mediali a possedere una prospettiva autenticamente
europea. E se i media non si fanno europei, nella
proprietà e soprattutto nei contenuti, la bella
speranza di Habermas e Derrida rischia di rimanere
a lungo solo una bella illusione.
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