Ho deciso
di scrivere un articolo non-competitivo dal titolo “Cambiare
la Lituania cambiando l’Europa”. Non sarà
uno di quegli articoli da far esclamare ad un burocrate
dell’Ue “Ma che brava ragazza!”, magari
accompagnato da una pacca sulla spalla e un premio per
il colpo ben assestato. No, piuttosto vorrei scrivere
alla maniera di un eccentrico le cui strane frottole
retrò sembrino, agli occhi del simpatico corteo
di gente che gli passa davanti, il muggito disperato
di quella povera mucca che, rimasta fuori dal 5% del
limite fissato da Bruxelles per i nostri allevamenti,
si allontana all’orizzonte.
Il primo maggio 2004 è una data storica cui
seguiranno – cosa intuibile, ma non ancora apprezzabile
appieno – un numero ingente di cambiamenti importanti.
Innanzitutto, è chiaramente in atto una svolta
decisiva nell’ambito della politica estera internazionale
che rappresenta per noi un successo straordinario. I
tre predatori – Russia, Austria e Germania –
si sono trasformate in tre creature innocue; gli Stati
Uniti hanno ci hanno teso una mano (leggi NATO) e il
nostro Paese avrà di nuovo l’opportunità
di lavorare assieme alla Polonia verso un’unione
(leggi Ue). Questa mossa sulla scacchiera internazionale
è davvero schiacciante, ma nella vita, come in
politica, nessuno usa sempre le stesse pedine. Sarebbe
preferibile, perciò, seguire la lezione dei grandi
maestri, cioè considerare tutte le possibili
mosse in anticipo, prevedendo misure di emergenza per
non essere colti da una verifica a sorpresa proprio
mentre si sta comodamente seduti in un euro-caffè
a bersi la birra d’obbligo.
Vecchi inquilini e nuovi figliuoli
Prevedere chi sta facendo progetti e chi ha aspettative
su questa espansione è assolutamente possibile,
poiché, come ci insegna la storia, decide chi
paga il conto.
Poco dopo l’adesione ufficiale dei dieci nuovi
Paesi membri all’Ue, la Bbc World ha mandato in
onda un forum internazionale cui hanno partecipato le
più alte cariche dei Paesi membri vecchi e nuovi.
Il programma era affidato a degli esperti, eppure è
risultato deludente per l’atmosfera caotica e
l’incapacità di delineare un tema preciso:
tutti parlavano dal proprio punto di vista, mostrando
inequivocabilmente che nemmeno i ministri avevano un’idea
precisa di come regolarsi nei confronti dei nuovi arrivati,
specie riguardo alla questione dell’immigrazione.
L’unico pregio del forum era che fosse in diretta,
circostanza che non ha lasciato tempo ai partecipanti
per contenere i propri stati d’animo celandoli
sotto la maschera della correttezza politica. Al di
là dell’enorme quantità di “proposte”
contraddittorie, lentamente è venuta allo scoperto
l’idea – prima di allora tacita ma insistente
– che la vecchia Europa si trovi ad adottare un
gran numero di figli senza sapere come comportarsi con
loro; se ciò non bastasse, questi figli non solo
sono affamati, piagnucolano e hanno bisogno di tutto,
ma, è chiaro, sono anche estremamente maleducati.
I “vecchi inquilini” impiegavano il termine
“figlioli” per descriverci usandolo come
fosse una parola magica; l’atmosfera e le dichiarazioni
mostravano quanto fossimo “i benvenuti”
e la cosa è andata avanti fino a quando uno degli
ascoltatori ha perso la pazienza (a propos: era un uomo
di colore da un qualsiasi Paese africano) dichiarando:
“Cari gentiluomini, voi siete egoisti. Vi state
preoccupando esclusivamente di voi stessi, ma non di
questi figli. Non li state invitando nella vostra famiglia
per prendervi cura di loro, come ci si aspetterebbe
da voi”. Al commento è seguito un silenzio
stizzito – chiaramente l’ex-colonia non
aveva colto al balzo l’opportunità di tacere
– e io mi sono resa conto che le mie labbra cominciavano
ad incresparsi come se un bambino cattivo mi stesse
per rubare un giocattolo …
Nessuno parla delle vere ragioni per cui si allarga
l’Ue (le lobby emergenti e i conseguenti aumenti
del loro capitale, per esempio) e, probabilmente, nessuno
le conoscerà mai; al contrario, invece, c’è
un gran numero di ragioni secondarie costantemente sotto
lo sguardo di tutti. I buoni propositi ideali sono molto
importanti, è vero, ma nessuno sa se essi avranno
un riscontro reale nelle relazioni comunitarie, né
cosa ne sarà di gran parte di loro. Negli ultimi
10-15 anni, sono stati gettati molti ponti tra la Lituania,
i Paesi europei, gli Stati Uniti ed il Canada. Diversi
gruppi con interessi specifici – culturali, politici,
economici o di altro tipo – sono stati uniti.
Il processo va avanti in modo spontaneo e diplomatico
e una delle funzioni più importanti dell’Ue
sta nell’assicurare il buon funzionamento di queste
relazioni perché gli interessi di tutti gli interlocutori
siano preservati. I veri intellettuali, tuttavia, essendo
abituati a mettere in discussione qualsiasi cosa, dovrebbero
essere almeno un po’ preoccupati dal nuovo aspetto
di questo condominio plurifamiliare.
Entrare nell’Unione sì,
ma con libertà e indipendenza
Tutti concordano sul fatto che in molti Paesi vicini
la vita, ora, sia più sicura e felice, ma il
fulcro della questione è che, nel tentativo di
tirarci fuori da un contesto provinciale, finiamo spesso
per trasformare la realtà in una visione onirica.
Alcuni si sentono al centro del crocevia fra Oriente
ed Occidente; altri affermano di essere sempre stati
europei; altri, infine, colti dalla nostalgia per gli
imperi passati, tentano di “adottare” per
sicurezza anche l’Ucraina e la Bielorussia a futura
gloria. Se poi tra questi paesi si considera la Lituania
la nazione più a Nord e si adegua la mentalità
lituana a quella tipica delle comunità a carattere
più familiare, una delle visioni più interessanti
è stata lasciata ai margini del progetto realizzato
dai nuovi architetti della nostra società. Costoro,
infatti – tentando forse di compensare la loro
mancanza di passione meridionale – adottano in
modo del tutto acritico l’opinione di alcuni giornalisti
americani riguardo ai Paesi scandinavi, principalmente
la Norvegia. Secondo quest’opinione, lassù
la vita sarebbe insopportabilmente noiosa. In Norvegia
mancherebbero mendicanti e poveri, trafficanti di donne
e bambini, criminalità, omicidi e suicidi, alienazione
e corruzione, nuovi feudatari e oligarchi. Sarebbe quindi
noiosa la soddisfazione delle persone per la propria
vita ed il logico tentativo da parte loro di costruire
la propria cultura ed il proprio benessere. Cosa c’è
di più noioso di un posto dove nessuno con un
minimo di rispetto di sé parteciperebbe mai ad
una trasmissione televisiva come “Ills’
Market” per un tozzo di pane? Dove le persone
non muoiono di “sanità pubblica”
e non hanno bisogno di essere circondate da folle di
poveri per sentirsi ricchi, in altre parole, per sentirsi
“bianchi”?
Osservare i nuovi magnati, gli Uspaskich (Viktor Uspaskich,
magnate lituano alla guida del partito laburista, attualmente
all’opposizione in Lituania, ndr) e i Trump, mentre
cercano di trapiantare il welfare alla Berezovsky o
alla Rockfeller non è più divertente.
E’ chiaro che allo stato dei fatti sia difficile
fare qualsiasi previsione attendibile. Forse è
per questo che alcuni intellettuali moderati, ma troppo
spesso accecati, si schierano improvvisamente dalla
parte dei “Presidenti-onnipresenti”. Hanno
perso la fiducia nei precoci frutti della democrazia
senza accorgersi di aver abboccato all’amo. Altri,
i cosiddetti “molto impegnati”, diventano
inconsapevoli portavoce delle nuove ideologie (che,
in realtà, sono le stesse di prima). Peccato,
però, che le culture “fast food”
non creano democrazie pronte all’uso.
Condividere gli stessi diritti degli altri membri dell’Unione
significa forse diventare europei? O forse significa
guadagnare libertà di pensiero? Ci si aspetta
forse che rinunciamo a questa convinzione? E, infine,
questa convinzione si accorda con la politica dominante
dei vecchi Paesi membri?
Per nazioni come la Lituania o la Polonia – appartenenti
all’area ex-comunista, benché il nome di
Stalin continui a campeggiare in ogni edizione di giornali
popolari come la Wprost (settimanale polacco, ndt) –
non è possibile diventare membri naturali della
nuova famiglia europea. Esistono almeno due motivi:
in primo luogo, l’eredità lasciata dal
periodo di regime sovietico, quasi mai considerata e
valutata criticamente; in secondo luogo, l’eredità
dei membri anziani – i creatori del Terzo mondo
– di cui ci stiamo facendo carico in modo acritico.
I camaleonti che amarono Stalin
e adesso adorano la Lituania
Riguardo al primo punto, si dovrebbe tener conto che
le autorità precedenti non solo hanno mantenuto
le proprie cariche durante il periodo di indipendenza,
ma le hanno addirittura rafforzate. Quelli che un tempo
generavano e mantenevano il controllo non sono andati
via, al contrario, essi detengono ancora il potere,
perché l’esilio, la prigione, la tortura,
lo sterminio fisico e l’oppressione dell’individuo
– attività ritenute normali e giustificabili
da loro – non sono ammesse dall’attuale
amministrazione della giustizia nel mondo occidentale.
Rendendosi conto che nessuno avrebbe applicato a loro
il principio di “occhio per occhio, dente per
dente”, questi cinici camaleonti – alcuni
dal sangue freddo, altri dal sangue caldo – tentano,
oggi, di riscrivere la storia per trovarsi a capo di
tutti i movimenti possibili e, allo stesso tempo, ottenere
tutte le prerogative, i riconoscimenti, i bonus e le
posizioni chiave riservate a chi è stato fedele
all’attuale Stato della Lituania: perciò
nascondono il passato.
Creano formazioni mobili, formate dalle stesse persone
di prima e dai loro protetti, utilizzando quelli che
vengono definiti i “nuovi” metodi per consolidare
la politica interna, estera e le strutture economiche
e per mettere a tacere la verità. Allo stesso
tempo va avanti un altro fenomeno: la sovrapposizione
con quanti hanno mostrato, in passato, il coraggio di
proteggere apertamente la propria dignità e la
coscienza individuale. Questo obiettivo è raggiunto
attraverso la scelta degli impieghi, la manipolazione
occulta delle opinioni e dei “file personali”.
E’ necessario affermare con forza che lo stato
morale e civile del Paese è paradossalmente peggiorato.
La capacità di cambiare la situazione è
affidata alla nuova generazione che non è stata
nutrita con la falsità e l’aggressività
dell’ambiente comunista, ma che ora è costretta
a migrare all’estero perché indesiderata
in patria. Questo fenomeno di emigrazione fa parte di
un progetto politico consapevole, ma “impercettibile”.
Non c’è nulla che duri per sempre, comunque.
La logica reale alla base dello sviluppo richiede una
valutazione adeguata del patrimonio politico ereditato,
in caso contrario, essa è fallimentare. Più
a lungo gli eventi storici accertati della recente storia
lituana vengono tenuti segreti, in favore di una divulgazione
falsata, tanto più il Paese apparirà inconsistente
agli occhi dell’Occidente e, sempre a propos,
i più stupidi saranno proprio quei personaggi
ambigui ed opportunisti “sui cui volti”
– parafrasando una famosa affermazione di Karl
Marx – “la storia stessa avrà scritto
a che sorta di umanità appartengono”.
Sfortunatamente, solo pochi di loro hanno riconosciuto
la verità, poiché si sono resi conto che
il riconoscimento della verità ha in sé
un potere inestimabile; così le loro vittime,
con calma e dignità confessano le loro colpe.
Se non lo facessero, allora questi egemoni ex-compagni
– come già assicurato – collaborerebbero
con quanti fanno lo stesso tipo di operazioni in Occidente.
L’Occidente, però, è ben protetto
contro le black technologies e – fatta eccezione
per il nuovo fenomeno del terrorismo – lo spauracchio
di qualche cospirazione, la lotta di classe e il nemico
segreto non funzionano, o, se non altro, non generano
punte di paranoia paragonabili a quelle del tempo dei
gulag. Se si raggiungerà questo tipo di equilibrio
con sufficiente garbo, vorrà dire solo che dietro
una risata repressa si nasconde un genuino sforzo di
ritrovare un po’ di saggezza. Il concetto più
importante è che la mansuetudine degli uomini
è illusoria e la tenuta spirituale di coloro
che vengono torturati, calpestata e disprezzata nasconde
un volto terribile dietro di sé. Come recita
uno dei libri sacri, a volte è meglio fermare
gli apostoli della menzogna e i malvagi, piuttosto che
permettere alla loro malvagità e alle loro bugie
di ritornare poi attraverso di essi con un potere tanto
forte da generare un orrore inimmaginabile; ma, allo
stesso modo, che significato potranno mai avere queste
parole per chi non sa cosa sia la pietà?
La verità spetta agli scrittori
Proprio per questo, vorrei richiamare alla mente una
forma di identificazione culturale piuttosto complessa:
se accettiamo senza riserve ogni elemento del patrimonio
culturale dell’attuale area Ue – prima di
ogni altra cosa, mi viene in mente la mentalità
cresciuta sul razzismo, l’intolleranza religiosa
e i regimi coloniali, che, nonostante i processi di
cambiamento, non mutano tanto velocemente se quanto
ci si augurerebbe – la situazione diventa ambigua.
Il nostro Paese non ha mai commesso crimini contro altre
etnie e culture e, in generale, i lituani non sarebbero
affatto lieti di condividere la colpa generata da una
violenza inconcepibile e dai genocidi perpetrati nei
confronti di neri e pellerossa avvenuti nei paesi conquistati
e dominati da francesi, inglesi, italiani, spagnoli,
portoghesi, olandesi, tedeschi o altri europei negli
ultimi quattrocento anni – per non parlare delle
torture individuali, o di massa, ed i massacri della
Santa Inquisizione nel corso degli ultimi 700 anni (Ahimè!
La cosa è irrimediabilmente legata alla storia
della cristianità, che per alcuni sembra essere
“la base comune dell’Europa moderna”).
E’ necessario, dunque, fare estrema chiarezza
su ciascuno di questi aspetti, altrimenti il resto del
mondo ci crederà parte di questa storia spaventosa
e non ci saranno machiavellismi sufficienti ad impedire
agli arabi di “addestrarsi” nelle nostre
nazioni.
Cercando di dimenticare la Cecenia, stiamo partecipando
alla guerra in Iraq per dimostrare di non voler essere
più dalla parte degli sconfitti, ma dobbiamo
imparare dal nostro passato e, ancor di più,
abbiamo qualcosa da dire all’Occidente, che sembra
stia ascoltanto. Questo atteggiamento non significa
essere euro-scettici o no-global, al contrario: adottare
una prospettiva più sensibile può aiutare
tutte le parti coinvolte a comprendere in modo corretto
i reciproci intenti. Se dall’altra parte, però,
si insiste con il proverbio “rispetta il cane
per il padrone”, avremo ancora molto da aspettare
per l’uguaglianza. Nell’ambizione popolare
e priva di gusto delle cosiddette “culture maggiori”
la nostalgia nei confronti dell’imperialismo tramontato
punge spesso come una spina nel fianco. Può darsi
che un imperialismo dal volto umano sia migliore di
uno dal volto satanico, quello con cui il mondo intero
aveva a che fare ai tempi del fiorente impero del male;
comunque sia, questo tipo di considerazioni mostra l’aderenza
a un principio. Le ragioni non risiedono né nelle
condizioni dello Stato, né nell’ampiezza
della popolazione e, azzardo, nemmeno nella quantità
di denaro distribuito dalla Banca Mondiale. Per questo
la logica vuole che siano gli intellettuali ad affermare
determinate posizioni – gli scrittori, più
di tutti – e non attraverso saggi accademici che
costruiscono la realtà secondo discorsi falsi
e folli. Sono i pensatori in grado di sentire il polso
della situazione, e metterlo in relazione al mondo intero,
che devono agire in questo senso; non si può
attendere che siano i politici a decidere di dire la
verità, visto che è ormai chiaro che sono
troppo deboli per cambiare la storia.
Per 200 anni ci è stato “insegnato”
che non eravamo in grado di gestire la nostra nazione,
che siamo dei perdenti. Ora è giunto il momento
di imparare che abbiamo tutte le capacità per
farlo e, ancor di più, che è sbagliato
credere il contrario. Questa è una lezione che
l’Occidente accetta malvolentieri. Non è
importante, perciò, che ce lo insegnino i nostri
stessi reazionari, l’Est o l’Ovest: dobbiamo
affermare con vigore che esistiamo (per sfuggire al
destino de “L’ultimo dei Mohicani”
che un tempo vivevano a migliaia sull’area dello
Stato di New York, mentre ora non riescono a provare
la loro esistenza perché i loro antenati non
avevano avuto la possibilità di metterla su carta:
essi non possono né affermare i propri diritti
né provare che James Fenimore Cooper era un bugiardo!).
E cosa siamo noi, tigri o gazzelle?
Esistere significa poterlo provare; possedere documenti
di ogni azione, idea ed evento precedente della propria
vita. I creatori della “grande storia” europea
– che di recente ci hanno accettato come pari
grado – ci stanno osservando. Quando una tigre
smette di dare la caccia alle gazzelle, e cordialmente
le invita nella propria famiglia, ci può essere
una sola spiegazione: o loro non sono più tigri,
o noi non siamo più gazzelle.
Cosa siamo, allora? Cosa abbiamo intenzione di proporre
o aggiungere? Un commercio florido, la crescita del
reddito nazionale e una cultura al suo massimo splendore
– tutte cose che sono già esistite in passato
e torneranno ad esistere anche in futuro. Eppure potrà
sempre accadere di nuovo che tutto questo non abbia
alcun valore, perché ciò che dà
significato, e indirizza il nostro futuro, è
un’idea: qualcosa, per lo più folle, fatta
per ciascun individuo fra milioni. Se fossimo in grado
di provare in modo convincente che abbiamo considerato
criticamente l’eredità del periodo sovietico
e che ci stiamo unendo a chi ha fatto lo stesso dall’altra
parte, potremmo definirlo già un primo passo
avanti. Ma non è tutto: se potessimo obbligare
tutti le parti coinvolte a porre riparo ai loro crimini
contro l’umanità, attraverso un lavoro
reale ed atti legali che diano sostanza al pentimento,
allora avremmo messo in atto un processo irreversibile
grazie al quale sarebbe garantita una convivenza davvero
libera.
Cosa hanno in comune le tracce dell’occupazione
sovietica nella nostra storia e il patrimonio storico
della vecchia Europa? Ricerche recenti affermano che
i nazisti, e più tardi gli stalinisti, hanno
adottato con successo i metodi utilizzati dall’Inquisizione.
L’antisemitismo e l’olocausto, comunque,
erano inevitabilmente presenti (Stalin, è vero,
non ha fatto in tempo); ma una cosa è certa:
fra i tre (Inquisizione, nazismo e stalinismo), il solo
ad essere universalmente condannato e compromesso è
stato il nazismo, essendo stato sottoposto a indagine,
schedatura e corretta valutazione. I criminali nazisti
sono stati condannati, recuperate le perdite, ove possibile,
e da allora le persone con inclinazioni simili sono
state trattate con metodi rigidi per circa cinquanta
anni: sembra che gli apostoli del nazismo abbiano imparato
bene la lezione. Ciò è stato possibile
grazie al fatto che, per miracolo, sono sopravvissuti
documenti e prove irrefutabili rese accessibili all’opinione
pubblica di tutto il mondo.
Nel caso dello stalinismo o dell’Inquisizione
non è avvenuto altrettanto, in primo luogo perché
le istituzioni, pur avendo cambiato veste e nome, esistono
ancora – ma l’Occidente non lo ammette tanto
facilmente – e, in secondo luogo, perché
queste antiche forze sono ancora in grado di esercitare
forme di potere e di influenza, prova ne è che
il corpus delicti, e ogni prova ad esso correlata, è
stato distrutto o reso inaccessibile al pubblico, nascondendolo
nelle soffitte o nelle segrete degli archivi. Non c’è
dubbio che continuare a giustificare, o nascondere,
gli atti commessi dagli inquisitori, i nazisti, gli
stalinisti ed i loro simili, significa dare loro la
possibilità di restare in agguato, in attesa
del momento opportuno in cui estendere nuovamente il
proprio raggio d’azione. Se deliberatamente si
lascia aperto un varco a queste strutture basate sulla
violenza è palese che coloro che le erediteranno
continueranno a conservare gli stessi privilegi di impunità
in organizzazioni presunte inoffensive, cercando di
cogliere appena possibile l’opportunità
di mostrare la loro vera raison d’être.
E’ proprio necessario restare a guardare le conseguenze
della nostra inazione – la prossima Notte di San
Bartolomeo, una nuova caccia alle streghe o i pogrom
– lasciando che questi mostri sfuggano ancora
una volta alla legge?
Il nostro passato seminato dal male
Esiste davvero il singolare principio della continuità
del male? Penso che parlando di fenomeni come paralumi
fatti di pelle umana, o donne torturate e accusate di
“palese” fornicazione con invisibili spiriti
maligni – fenomeni che oltrepassano di gran lunga
il comune buon senso e un comportamento normale –
non possiamo evitare le definizioni di base con le quali
descriviamo l’esistenza. Dopotutto, non stiamo
parlando di manovre sbagliate in una battaglia navale,
o di un errore di valutazione al bar: si tratta di un
disturbo del comportamento strutturato, come se la malvagità
stessa fosse la patologia dell’esistenza. A prima
vista, diverse istituzioni si sono unite in uno sforzo
per imporre le loro regole a una società che
continua ad assediare e controllare ogni passo dei propri
cittadini. Essi sono uniti dall’odio nei confronti
delle menti aperte e del progresso; da un tentativo
continuo di instillare gelosia e paura; dall’uso
dello spionaggio, della tortura, della deportazione,
della pena di morte, dell’interdizione e della
confisca dei beni. Per secoli, regimi colpevoli hanno
soddisfatto il personale istinto a perpetuare la loro
orrenda natura trasformando le più basse inclinazioni
della psiche umana in vere e proprie componenti meccaniche
di una società sanguinaria. Sembra che sia stato
Stalin a raggiungere i “risultati migliori”
riuscendo a creare, all’interno della comunicazione
quotidiana, una rete di spionaggio e di raccolta di
informazioni su parenti, amici, i vicini e amanti; ma
incoraggiando anche gelosia e odio nei confronti di
ricchi o benestanti; violenza fisica e umiliazione morale;
furto e calunnia; frodi e raggiri; tradimento e metodi
duri, e tutto come se fosse legittimo. Persino oggi,
come se fosse stato fatto un trapianto al cervello,
questo sistema continua a funzionare nelle menti di
alcune persone; è possibile metterlo in funzione
rivolgendosi ad alcune agenzie per lamentarsi di qualcosa,
o per votare pro rata, o provocare le masse, o semplicemente
creare un danno o un profitto, o qualsiasi altra cosa.
Gli idealisti naïf non sono stati in grado di
rivedere pezzo per pezzo la politica dei soviet –
e del suo germoglio, lo stalinismo – fornendo
così a tutti questi -ismi le leve progressive
per governare la società, concedendo persino
la possibilità di godere dei diritti umani e
della libertà di parola a chi non li merita,
ma sa perfettamente usarli per perseguire con entusiasmo
i più meschini interessi. Ultimamente, poi, questi
personaggi operano alla luce del giorno. Non siamo forse
come le stupide gazzelle che nell’osservare un
orso ed una tigre combattere tra di loro, non si accorgono
di aver fatto la propria tana sotto il naso delle iene?
Secondo i naturalisti come Waris Dirie, queste sono
crudeli e, perciò, gli animali più pericolosi:
quando cacciano non mollano mai.
L’Europa ha sconfitto gli orrori del passato,
ma non la noia del presente
Meglio dimenticarsi di loro; purtroppo le iene ricordano
troppo persone simili a loro; naturalmente cercano di
farsi passare per quello che non sono, ma è una
banale trappola del male: convincere che il male non
esiste, ma quello che esiste è buono. Non esistono
demoni, non esiste il male e chi lo perpetra, non esistono
campi di concentramento. Possiamo persino giungere alla
fondata conclusione che l’intera storia europea
non è la storia degli Stati, delle classi, delle
religioni ed dei sistemi in lotta fra loro, ma la storia
di lotte condotte da movimenti progressisti, menti aperte
alla ricerca della conoscenza e della perfezione contro
le forze oscure ostili al progresso: la storia del rinascimento
contro il regresso; la cronaca di una battaglia fra
una società aperta ed i suoi nemici. Questa è
la ragione per cui istituzioni dissimili si ritrovano
apparentemente nella stessa categoria ed i loro tratti
comuni non sono limitati né dal tempo né
dallo spazio. Il male, tuttavia, non può creare
niente di peggiore di sé – oggi solo la
misura della sua azione è differente; si nutre
dell’oscurantismo e dell’ignoranza, della
mancanza di fede e della debolezza. I suo principale
obiettivo – ciò che meglio lo caratterizza
– perciò, è il tentativo di sopprimere
la libertà di azione e di pensiero e l’apertura
della società che garantisce la ricerca della
conoscenza in ogni campo, poiché la conoscenza
distrugge i presupposti del male stesso. Il male cerca
sempre di relegare le nuove conquiste ed esperienze
dell’umanità in qualche lista nera, di
organizzare un autodafè di idee, libri e altre
opere.
Oggi possiamo vedere l’Europa andare avanti dopo
aver pagato un enorme prezzo per questo; noi stessi
stiamo pagando: paghiamo il prezzo della noia, di un’élite
che non sa come occupare il tempo, perché problemi
artificiali non sono in grado di contrastare gli effetti
del benessere. Anche se dovremmo essere pronti ad una
sfida ancora più grande. Da questo punto di vista,
non basta diventare ricchi, famosi, far fuori l’avversario
e togliere una moglie a suo marito, lasciando ai discendenti
una storia basata su imprese simili – che alcuni
definiscono eredità culturale. Non è abbastanza
nemmeno mostrare ammirazione per strane idee che, messe
in atto, conducono direttamente ai paralumi. Dirigere
l’energia dei pigri verso la ricerca della propria
anima: questa, ad esempio, sarebbe una vera sfida; altrimenti
non discuteremmo di questioni del genere, come faceva
Platone. L’idea che i saggi guideranno è
ancora nell’aria; forse un giorno sarà
così, quando saranno in grado di riunire sufficienti
“masse critiche”.
Il mondo ribolle. Ho paura di sentire spine nel fianco,
le ali di un’aquila, o il caro vecchio lupo vestito
da agnello; così ho deciso di “perforare”
me stessa per amor di Dio, e cioè di dichiarare
una posizione fra tre milioni. Come lituana e cittadina
della Lituania, mi rifiuto di identificarmi con forme
estranee alla mia cultura natale – in ultima analisi
ascritte a noi – o con le suddette forme di menzogna
ed aggressione e con le istituzioni che le proteggono.
Come persona libera, e non una marionetta nelle mani
di forze estranee, scelgo il diritto di parlare e pensare
liberamente. Voglio far parte della famiglia europea
serbando mani e coscienza pulite. Se questa posizione
sembra l’atteggiamento di una fascista, un’eretica,
una marxista, una femminista, o una nazionalista, direi
di aver scelto una delle possibili misure di “emergenza”.
Forse non è poi così male essere una mucca
che bruca l’erba; fino ad oggi nessuno è
ancora riuscita a tingerla di nero, di rosso o di blu.
(traduzione dall’inglese di Fabiana Saviano)
© Kulturos barai
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