
“Non
se ne viene fuori, è un problema senza soluzione”.
Stabilire i confini dell’Europa con gli occhi
della geografia è un compito che rimane insoluto,
e sapete perché? Perché la natura non
mette confini, non disegna separazioni: “Fiumi
e catene montuose, se li analizziamo dal punto di vista
del territorio, non sono certo delle barriere che separano
degli spazi, sono piuttosto elementi che identificano
un territorio e evidenziando che tra le due sponde di
un fiume, o tra le pendici di un monte esiste continuità
e non distinzione netta”, spiega Claudio Cerreti,
docente universitario e membro della Società
Geografica Italiana. “Persino il Mediterraneo
non ci aiuta a definire una separazione, ma, al contrario,
disegna rapporti di vicinanza tra culture che nel corso
dei secoli hanno stabilito relazioni, intessuto rapporti
e hanno avuto le stesse istituzioni politiche”.
Eppure sulle carte geografiche vediamo disegnati
i confini, li vediamo anche coincidere con elementi
naturali, con fiumi, con catene montuose.
Il
concetto di confine è un concetto di natura
esclusivamente politico-giuridica, ed è nato
dalla necessità di separare la proprietà
privata di un individuo da quella degli altri; si
rese necessario nel momento in cui bisognava definire
i limiti di un campo che apparteneva a una persona.
Per estensione, poi, il confine è passato ad
avere una funzione politica delimitando lo spazio
di comunità sempre più ampie. Ma stiamo
parlando di un costrutto storico e perfettamente arbitrario,
nel senso che non esiste un motivo oggettivo che disegna
i limiti del mio campo dal terreno del mio vicino:
è mia la terra che riesco a conquistare, a
coltivare e a difendere.
Lo stesso discorso vale per gli stati i cui confini
si sono fissati sempre senza alcun motivo oggettivo,
insito nel territorio.
Il che significa che in natura non esiste niente che
faccia da confine, in natura tutto è continuo
e ogni limite, come ad esempio quello tra la terra
ferma e il mare, è stabilito secondo criteri
arbitrari, invenzioni, convenzioni.
Quindi anche il concetto di continente, che
guardando un planisfero o un mappamondo potrebbe sembrare
assolutamente evidente, non è altro che un’invenzione?
Anche lì facciamo un discorso assolutamente arbitrario.
Il concetto di continente è puramente didattico
e serve a indicare un’estensione di terre emerse
circondate dal mare che presentano al loro interno una
tale varietà ambientale e climatica da non consentire
di parlarne come si farebbe di un’isola.
Ora, se noi guardiamo il Vecchio Mondo, è tutto
una grande isola: Europa, Asia, Africa. Possiamo escludere
l’Africa, che è divisa dall’Asia
dal canale di Suez – che è artificiale
– e considerarla un continente a sé, ma
per l’Europa non possiamo fare eccezioni: è
una penisola attaccata all’Asia senza alcuna separazione.
Ma se parliamo di un territorio che si chiama
Europa, che da secoli è connotato con questo
nome, un modo per delimitarlo sulla carta geografica
lo dobbiamo pur trovare.
L’Oceano Atlantico a ovest, il Mar Mediterraneo
a sud, anche se sembra un po’ ridicolo immaginare
che passaggi così stretti come lo stretto di
Gibilterra e il Bosforo possano separare alcunché,
e infatti più che luoghi di separazione questi
stretti sono stati luoghi di passaggio, di comunicazione
e di scambio.
Continuando, poi, dobbiamo aggiungere il mar Nero,
come prosecuzione del Mediterraneo e poi ci siamo
costretti a fermarci.
E ad est non riusciamo a stabilire un confine
geografico?
Se noi prendiamo una carta si vede che l’Europa
è una penisola articolata, nell’ambito
della quale possiamo individuare le isole britanniche
e un insieme di penisole (scandinava, iberica, italiana
e balcanica) che si innestano su una protuberanza
che risponde al territorio occupato da Russia, Russia
Bianca e Ucraina e quindi, in sostanza, è un
prolungamento dell’Asia.
Potremmo definire, come convenzionalmente si fa, una
linea che coincide con la catena degli Urali, ma se
parliamo in termini geografici, questi monti non separano
un bel niente. In primo luogo gli Urali non possono
essere assunti fisicamente come un limite perché
non hanno vette particolarmente elevate, non interrompono
la circolazione atmosferica in modo tale che possiamo
trovare situazioni climatiche diverse tra i due versanti.
In secondo luogo gli Urali non costituiscono una
linea di naturale demarcazione nemmeno da un punto
di vista geologico. Il che significa che la qualità
del terreno è la stessa da un versante all’altro
della catena, che la vegetazione dove si verifica
analogia di clima è la stessa, che il popolamento
originale è lo stesso.
In altre parole non possiamo rintracciare un confine
naturale di quella che vogliamo chiamare Europa, se
non stabilendolo arbitrariamente.
Spesso, a questo scopo, si usa la linea definita
in cartografia da un fiume o da una catena montuosa.
Ma è ancora un criterio puramente convenzionale,
assunto perché, riportati su una carta, fiumi
e catene, appaiono come linee perfette a indicare
una separazione. Ma visti con l’occhio della
geografia essi sono piuttosto elementi di continuità,
lo dimostrano i numerosi insediamenti di valico, nati
proprio a cavallo delle montagne in epoche precedenti
alla formazione dello stato-nazione.
Ma ci rimane ancora il problema di trovare
un confine orientale all’Europa.
Abbiamo detto che si tratta di una penisola. Ora,
per definire il limite di una penisola sulla terraferma,
si cerca un istmo, ossia il punto più stretto
da cui una determinata porzione di terra può
iniziare a essere chiamata penisola.
Nel caso dell’Europa questo procedimento incontra
diverse difficoltà perché si potrebbe
immaginare un istmo che dalla foce del Pechora, limite
nord della catena degli Urali, arrivi fino al Mar
Caspio, ma è un istmo enorme, grandissimo.
Un altro potrebbe essere, invece, tra Arcangelo e
Odessa, tagliando la Russia in due, ma stiamo ancora
parlando di un territorio troppo esteso per essere
chiamato istmo. In realtà il pezzo di terra
più stretto, per usare parole comprensibili
a tutti, quello che meglio sembra un istmo è
il territorio che va dalla foce della Vistola in Polonia
a Odessa, sulla sponda ucraina del mar Nero. Questo
potrebbe andar bene come confine se non lasciasse
fuori gran parte dei paesi Baltici e tutta la penisola
scandinava. Vede come non si riesce proprio a trovare
un confine naturale all’Europa.
La cosa più ragionevole, ai fini pratici di
voler trovare un confine geografico all’Europa
unita, è quella di utilizzare come confine
orientale la linea costituita dalla catena degli Urali
che, continuando lungo il corso del fiume Ural, giunge
fino al Mar Caspio. Seguendo questi criteri si dovrebbe
allora considerare parte dell’Europa anche le
repubbliche caucasiche, Georgia, Armenia e Azerbajan.
Ma, ripeto, si tratta di una questione puramente convenzionale,
non è proprio possibile, dal punto di vista
geografico, trovare una distinzione lungo una linea
tracciata dal territorio, perché fiumi, catene
montuose, e perfino mari, rappresentano elementi di
continuità nel territorio come tra le culture
che occupano o hanno storicamente occupato determinate
zone.
Ma allora, seguendo questo ragionamento,
non potremmo assumere nemmeno le coste del mediterraneo
come confine dell’Europa.
E’ così. Il Mediterraneo non ha mai
interrotto nulla, non ha mai segnato separazioni.
Anzi, sin dai tempi della colonizzazione greca, era
un bacino i cui bordi erano ricercati, ambiti. L’impero
romano è un esempio abbastanza evidente: non
era per niente limitato dal Mediterraneo, ma al contrario,
si sviluppava su tutte le coste di questo mare.
Il popolamento tra la sponda europea e la sponda africana
non ha conosciuto nessuna soluzione di continuità,
le popolazioni dell’Italia meridionale hanno
caratteristiche somatiche e genetiche in comune con
molte popolazioni dell’Africa settentrionale
o del mondo arabo. Gli elementi culturali, storici,
genetici nati e sviluppatisi intorno al Mediterraneo
sono il frutto di scambi, di integrazioni che rendono
impossibile creare una separazione netta.
E infatti c’è chi parla, per
un futuro allargamento dell’Unione, anche dei
paesi del Magreb; addirittura alcune proposte, forse
un po’ provocatorie, vorrebbero spingere i confini
dell’Unione fino allo stato di Israele.
Da un punto di vista storico non dobbiamo farci bloccare
dalla geografia che è una disciplina molto
utile, ma utilizzata in questi termini ha una funzione
puramente descrittiva. Nella misura in cui ci insegna
a capire certi fenomeni che hanno attraversato la
nostra storia, la geografia ci insegna automaticamente
che è la storia, quindi le scelte e le azioni
degli uomini, a determinare certi eventi. E la storia
nel Mediterraneo ha portato all’unità,
non alla divisione. Quindi se un giorno ci trovassimo
di fronte all’adesione dei paesi del Magreb
nell’Unione, non ci troverei niente di strano.
La cultura europea è una cultura mediterranea.
Se viaggiamo con la mente a ritroso riconosciamo l’Europa
in una cultura precristiana, e si può addirittura
immaginare una comunità antropica, la toponomastica
ci aiuta in questo senso, che si esprimeva in una
lingua molto simile e che abitava tutto il bacino
del mediterraneo spingendosi in buona parte dell’Europa
centrale e occidentale, arrivando a nord fino al Baltico
e alle isole britanniche, e a est fino al Caucaso.
Ci fa un esempio di qualche nome che suffraga
questa ipotesi?
La parola “alpe”. Emilio Sereni, un famoso
geografo italiano, scrisse nel 1955 un libro sulle
comunità rurali italiane in cui segnalava che
il significato originale della parola “alpe”
rimandasse all’alpeggio, cioè al pascolo
di montagna che era fruito in comune da popolazioni
che abitavano zone montagnose. In seguito poi il termine
ha assunto anche il senso di luogo in cui ci si riunisce
per fare una fiera, per scambiarsi informazioni, dirimere
controversie, per fondare un legame comune. Da qui
avrebbero preso il nome città come Albenga,
Alby in Francia, Alba in Piemonte, molti esempi ritroviamo
anche in Spagna; e poi si possono far risalire a questa
origine l’Albania dell’Illiria, o l’Albania
del Caucaso occidentale di cui ci parla Erodoto, e
ancora Albalonga e il monte Albano, una delle cime
dell’Etna.
Un altro esempio è la parola “appennino”,
composta di “alpe” e di “penna”,
quest’ultima utilizzata con il significato di
roccia, cima o montagna e serve per indicare luoghi
vicini o a ridosso di monti. Ebbene la stessa parola
la troviamo nella lingua spagnola con la medesima
radice e lo stesso significato (“peña”),
mentre in Gran Bretagna ci sono i Monti Pennini ed
altri esempi si potrebbero fare.
Non è irrilevante scoprire che esiste, o potrebbe
esistere, una condivisione culturale su una data superficie
di territorio, perché l’assegnazione
di un nome a un luogo, il normale esercizio toponimico,
è un gesto con cui si assegna un valore. La
toponomastica denuncia una scansione valoriale della
superficie terrestre; in altre parole lo spazio geografico
diventa territorio nel momento in cui lo si abita,
lo si carica di senso e gli si assegnano delle funzioni,
allora nasce anche un sentimento di appartenenza al
territorio stesso.
A questo punto il senso del territorio si trasmette,
tanto è vero che i nomi dei luoghi, che sappiamo
essere stati assegnati più di tremila anni
fa, sono sopravvissuti fino a noi.
Allora non mi stupisce che tutta l’Europa, avendo
probabilmente radici di questo tipo, condivida una
serie di comuni denominatori, diversamente rielaborati
in spazi diversi nel corso dei secoli, ma che al fondo
si possono riconoscere in qualcosa che consente di
parlare di una grande, estesa, possibile, unione europea.
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