272 - 26.02.05


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Ma la natura non mette frontiere
Claudio Cerreti con
Mauro Buonocore

“Non se ne viene fuori, è un problema senza soluzione”. Stabilire i confini dell’Europa con gli occhi della geografia è un compito che rimane insoluto, e sapete perché? Perché la natura non mette confini, non disegna separazioni: “Fiumi e catene montuose, se li analizziamo dal punto di vista del territorio, non sono certo delle barriere che separano degli spazi, sono piuttosto elementi che identificano un territorio e evidenziando che tra le due sponde di un fiume, o tra le pendici di un monte esiste continuità e non distinzione netta”, spiega Claudio Cerreti, docente universitario e membro della Società Geografica Italiana. “Persino il Mediterraneo non ci aiuta a definire una separazione, ma, al contrario, disegna rapporti di vicinanza tra culture che nel corso dei secoli hanno stabilito relazioni, intessuto rapporti e hanno avuto le stesse istituzioni politiche”.

Eppure sulle carte geografiche vediamo disegnati i confini, li vediamo anche coincidere con elementi naturali, con fiumi, con catene montuose.

Il concetto di confine è un concetto di natura esclusivamente politico-giuridica, ed è nato dalla necessità di separare la proprietà privata di un individuo da quella degli altri; si rese necessario nel momento in cui bisognava definire i limiti di un campo che apparteneva a una persona. Per estensione, poi, il confine è passato ad avere una funzione politica delimitando lo spazio di comunità sempre più ampie. Ma stiamo parlando di un costrutto storico e perfettamente arbitrario, nel senso che non esiste un motivo oggettivo che disegna i limiti del mio campo dal terreno del mio vicino: è mia la terra che riesco a conquistare, a coltivare e a difendere.
Lo stesso discorso vale per gli stati i cui confini si sono fissati sempre senza alcun motivo oggettivo, insito nel territorio.
Il che significa che in natura non esiste niente che faccia da confine, in natura tutto è continuo e ogni limite, come ad esempio quello tra la terra ferma e il mare, è stabilito secondo criteri arbitrari, invenzioni, convenzioni.

Quindi anche il concetto di continente, che guardando un planisfero o un mappamondo potrebbe sembrare assolutamente evidente, non è altro che un’invenzione?

Anche lì facciamo un discorso assolutamente arbitrario. Il concetto di continente è puramente didattico e serve a indicare un’estensione di terre emerse circondate dal mare che presentano al loro interno una tale varietà ambientale e climatica da non consentire di parlarne come si farebbe di un’isola.
Ora, se noi guardiamo il Vecchio Mondo, è tutto una grande isola: Europa, Asia, Africa. Possiamo escludere l’Africa, che è divisa dall’Asia dal canale di Suez – che è artificiale – e considerarla un continente a sé, ma per l’Europa non possiamo fare eccezioni: è una penisola attaccata all’Asia senza alcuna separazione.

Ma se parliamo di un territorio che si chiama Europa, che da secoli è connotato con questo nome, un modo per delimitarlo sulla carta geografica lo dobbiamo pur trovare.

L’Oceano Atlantico a ovest, il Mar Mediterraneo a sud, anche se sembra un po’ ridicolo immaginare che passaggi così stretti come lo stretto di Gibilterra e il Bosforo possano separare alcunché, e infatti più che luoghi di separazione questi stretti sono stati luoghi di passaggio, di comunicazione e di scambio.
Continuando, poi, dobbiamo aggiungere il mar Nero, come prosecuzione del Mediterraneo e poi ci siamo costretti a fermarci.

E ad est non riusciamo a stabilire un confine geografico?

Se noi prendiamo una carta si vede che l’Europa è una penisola articolata, nell’ambito della quale possiamo individuare le isole britanniche e un insieme di penisole (scandinava, iberica, italiana e balcanica) che si innestano su una protuberanza che risponde al territorio occupato da Russia, Russia Bianca e Ucraina e quindi, in sostanza, è un prolungamento dell’Asia.
Potremmo definire, come convenzionalmente si fa, una linea che coincide con la catena degli Urali, ma se parliamo in termini geografici, questi monti non separano un bel niente. In primo luogo gli Urali non possono essere assunti fisicamente come un limite perché non hanno vette particolarmente elevate, non interrompono la circolazione atmosferica in modo tale che possiamo trovare situazioni climatiche diverse tra i due versanti.

In secondo luogo gli Urali non costituiscono una linea di naturale demarcazione nemmeno da un punto di vista geologico. Il che significa che la qualità del terreno è la stessa da un versante all’altro della catena, che la vegetazione dove si verifica analogia di clima è la stessa, che il popolamento originale è lo stesso.
In altre parole non possiamo rintracciare un confine naturale di quella che vogliamo chiamare Europa, se non stabilendolo arbitrariamente.

Spesso, a questo scopo, si usa la linea definita in cartografia da un fiume o da una catena montuosa. Ma è ancora un criterio puramente convenzionale, assunto perché, riportati su una carta, fiumi e catene, appaiono come linee perfette a indicare una separazione. Ma visti con l’occhio della geografia essi sono piuttosto elementi di continuità, lo dimostrano i numerosi insediamenti di valico, nati proprio a cavallo delle montagne in epoche precedenti alla formazione dello stato-nazione.

Ma ci rimane ancora il problema di trovare un confine orientale all’Europa.

Abbiamo detto che si tratta di una penisola. Ora, per definire il limite di una penisola sulla terraferma, si cerca un istmo, ossia il punto più stretto da cui una determinata porzione di terra può iniziare a essere chiamata penisola.
Nel caso dell’Europa questo procedimento incontra diverse difficoltà perché si potrebbe immaginare un istmo che dalla foce del Pechora, limite nord della catena degli Urali, arrivi fino al Mar Caspio, ma è un istmo enorme, grandissimo.
Un altro potrebbe essere, invece, tra Arcangelo e Odessa, tagliando la Russia in due, ma stiamo ancora parlando di un territorio troppo esteso per essere chiamato istmo. In realtà il pezzo di terra più stretto, per usare parole comprensibili a tutti, quello che meglio sembra un istmo è il territorio che va dalla foce della Vistola in Polonia a Odessa, sulla sponda ucraina del mar Nero. Questo potrebbe andar bene come confine se non lasciasse fuori gran parte dei paesi Baltici e tutta la penisola scandinava. Vede come non si riesce proprio a trovare un confine naturale all’Europa.

La cosa più ragionevole, ai fini pratici di voler trovare un confine geografico all’Europa unita, è quella di utilizzare come confine orientale la linea costituita dalla catena degli Urali che, continuando lungo il corso del fiume Ural, giunge fino al Mar Caspio. Seguendo questi criteri si dovrebbe allora considerare parte dell’Europa anche le repubbliche caucasiche, Georgia, Armenia e Azerbajan. Ma, ripeto, si tratta di una questione puramente convenzionale, non è proprio possibile, dal punto di vista geografico, trovare una distinzione lungo una linea tracciata dal territorio, perché fiumi, catene montuose, e perfino mari, rappresentano elementi di continuità nel territorio come tra le culture che occupano o hanno storicamente occupato determinate zone.

Ma allora, seguendo questo ragionamento, non potremmo assumere nemmeno le coste del mediterraneo come confine dell’Europa.

E’ così. Il Mediterraneo non ha mai interrotto nulla, non ha mai segnato separazioni. Anzi, sin dai tempi della colonizzazione greca, era un bacino i cui bordi erano ricercati, ambiti. L’impero romano è un esempio abbastanza evidente: non era per niente limitato dal Mediterraneo, ma al contrario, si sviluppava su tutte le coste di questo mare.
Il popolamento tra la sponda europea e la sponda africana non ha conosciuto nessuna soluzione di continuità, le popolazioni dell’Italia meridionale hanno caratteristiche somatiche e genetiche in comune con molte popolazioni dell’Africa settentrionale o del mondo arabo. Gli elementi culturali, storici, genetici nati e sviluppatisi intorno al Mediterraneo sono il frutto di scambi, di integrazioni che rendono impossibile creare una separazione netta.

E infatti c’è chi parla, per un futuro allargamento dell’Unione, anche dei paesi del Magreb; addirittura alcune proposte, forse un po’ provocatorie, vorrebbero spingere i confini dell’Unione fino allo stato di Israele.

Da un punto di vista storico non dobbiamo farci bloccare dalla geografia che è una disciplina molto utile, ma utilizzata in questi termini ha una funzione puramente descrittiva. Nella misura in cui ci insegna a capire certi fenomeni che hanno attraversato la nostra storia, la geografia ci insegna automaticamente che è la storia, quindi le scelte e le azioni degli uomini, a determinare certi eventi. E la storia nel Mediterraneo ha portato all’unità, non alla divisione. Quindi se un giorno ci trovassimo di fronte all’adesione dei paesi del Magreb nell’Unione, non ci troverei niente di strano.
La cultura europea è una cultura mediterranea. Se viaggiamo con la mente a ritroso riconosciamo l’Europa in una cultura precristiana, e si può addirittura immaginare una comunità antropica, la toponomastica ci aiuta in questo senso, che si esprimeva in una lingua molto simile e che abitava tutto il bacino del mediterraneo spingendosi in buona parte dell’Europa centrale e occidentale, arrivando a nord fino al Baltico e alle isole britanniche, e a est fino al Caucaso.

Ci fa un esempio di qualche nome che suffraga questa ipotesi?

La parola “alpe”. Emilio Sereni, un famoso geografo italiano, scrisse nel 1955 un libro sulle comunità rurali italiane in cui segnalava che il significato originale della parola “alpe” rimandasse all’alpeggio, cioè al pascolo di montagna che era fruito in comune da popolazioni che abitavano zone montagnose. In seguito poi il termine ha assunto anche il senso di luogo in cui ci si riunisce per fare una fiera, per scambiarsi informazioni, dirimere controversie, per fondare un legame comune. Da qui avrebbero preso il nome città come Albenga, Alby in Francia, Alba in Piemonte, molti esempi ritroviamo anche in Spagna; e poi si possono far risalire a questa origine l’Albania dell’Illiria, o l’Albania del Caucaso occidentale di cui ci parla Erodoto, e ancora Albalonga e il monte Albano, una delle cime dell’Etna.

Un altro esempio è la parola “appennino”, composta di “alpe” e di “penna”, quest’ultima utilizzata con il significato di roccia, cima o montagna e serve per indicare luoghi vicini o a ridosso di monti. Ebbene la stessa parola la troviamo nella lingua spagnola con la medesima radice e lo stesso significato (“peña”), mentre in Gran Bretagna ci sono i Monti Pennini ed altri esempi si potrebbero fare.

Non è irrilevante scoprire che esiste, o potrebbe esistere, una condivisione culturale su una data superficie di territorio, perché l’assegnazione di un nome a un luogo, il normale esercizio toponimico, è un gesto con cui si assegna un valore. La toponomastica denuncia una scansione valoriale della superficie terrestre; in altre parole lo spazio geografico diventa territorio nel momento in cui lo si abita, lo si carica di senso e gli si assegnano delle funzioni, allora nasce anche un sentimento di appartenenza al territorio stesso.
A questo punto il senso del territorio si trasmette, tanto è vero che i nomi dei luoghi, che sappiamo essere stati assegnati più di tremila anni fa, sono sopravvissuti fino a noi.
Allora non mi stupisce che tutta l’Europa, avendo probabilmente radici di questo tipo, condivida una serie di comuni denominatori, diversamente rielaborati in spazi diversi nel corso dei secoli, ma che al fondo si possono riconoscere in qualcosa che consente di parlare di una grande, estesa, possibile, unione europea.

 

 

 

 

 

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