Questa intervista è tratta
dal numero 87 (gennaio-febbraio 2005) di Reset,
in edicola e in libreria.
Michele Salvati, non da oggi, è tra i più
tenaci ed appassionati sostenitori della necessità
che, anche nel nostro paese, nasca e si affermi un forte
e organizzato partito riformista. Nel cantiere perennemente
aperto del centrosinistra – tra imminenti scadenze
elettorali, appuntamenti congressuali e summit organizzativi
– Salvati sposta l’attenzione su alcuni
temi che investono il profilo sostanziale delle alleanze
ed esplicita alcune serie preoccupazioni su questioni
solo all’apparenza marginali o irrilevanti. Il
tema sollevato ruota attorno alla proposta, da lui formalizzata
a più riprese, della necessità di organizzare
una vera e propria “scuola di formazione politica
riformistica”.
Non è la prima volta che, in presenza
di forti spinte alla riorganizzazione del sistema politico,
emerge l’esigenza di riprendere l’esperienza
della “scuola quadri” che i partiti hanno
abbandonato, nella forma organizzata, ormai da tempo.
La sua proposta in quale contesto si inquadra?
Vorrei precisare, innanzi tutto, che non si tratta
di un’iniziativa accademica, ma di una vera
e propria proposta di formazione politica che ha come
finalità principale quella di definire, almeno
nel medio-lungo periodo, la cultura politica originale
del riformismo democratico, del riformismo liberale;
muove quindi dal perimetro, ancora in via di definizione,
del progetto riformista. C’è un ulteriore
obiettivo che vorrei richiamare: la necessità
di favorire un’omogeneizzazione dei giovani
quadri attraverso la definizione di una cultura politica
condivisa. La stessa partecipazione ad un percorso
formativo contribuisce alla costruzione di stabili
legami umani, si genera una rete di amicizie e di
riferimenti personali, che rappresentano un punto
di riferimento costante nel lungo percorso di affermazione
delle classi dirigenti. Questo è un elemento
che è possibile mutuare dalle tradizionali
esperienze di formazione, in particolare quelle dei
partiti politici, anche se non si tratta, con tutta
evidenza, di una proposta formativa finalizzata all’indottrinamento
come, invece, nelle vecchie scuole di partito.
Lei ha accennato alla possibilità concreta
di favorire la maturazione di uno spirito di corpo
dei partecipanti i cui benefici si estenderanno automaticamente
all’intero progetto riformista. Quale profilo
specifico dovranno avere i giovani quadri da formare?
Una volta indicato il perimetro delle culture riformiste
a cui si richiama la Federazione, non ci sono altri
confini da proporre, anzi la scuola dovrebbe contribuire
ad abbattere gli steccati determinati dalle provenienze
ideologiche o dalle appartenenze partitiche dei giovani.
Dovrebbe essere rivolta a coloro i quali, affacciandosi
alla vita politica senza ancora essere dei politici
affermati, hanno come aspirazione futura la “politica
come professione” e pertanto cominciano con
una bella cura di “scienza come professione”;
cito apposta le due conferenze di Max Weber perché
il programma di formazione politica dovrebbe partire
proprio da queste. Ma, in fin dei conti, la scuola
dovrebbe essere aperta a tutti ed avere come riferimento
un riformismo basato su valori liberali e solidaristici.
Nello specifico io pensavo a cicli formativi ricompresi
in alcuni week-end residenziali lunghi (venerdì
pomeriggio-domenica mattina) con i docenti che si
alternano e la classe che rimane sempre la stessa;
dalla mia esperienza ritengo che così possa
funzionare adeguatamente e, d’altronde, così
funzionavano anche le scuole dei Kibbutzim israeliani
nell’esperienza del primo sionismo di stampo
laburista, dove la classe dei giovani Sabra era sempre
la stessa.
Entriamo nello specifico dell’offerta
formativa: quali, a suo giudizio, i livelli di intervento
necessari a produrre, anche in questo campo, un significativo
aggiornamento degli strumenti didattici?
Dall’idea di scuola che ho tentato di delineare
sinora discendono i pilastri formativi che la sorreggono.
Immagino, innanzi tutto, una distinzione generale
tra aspetti culturali e livelli pratici. Insisto molto
sulla centralità dei livelli culturali giacché
riproducono la necessità della “scuola
quadri” e delineano i caratteri salienti della
mia proposta formativa. Inoltre i pilastri culturali
sono cruciali nel perseguire l’obiettivo della
creazione di una classe dirigente riformista, in grado
di leggere criticamente e con riferimenti culturali
omogenei sia il passato che i grandi problemi del
mondo contemporaneo. Pertanto ho immaginato tre pilastri
formativi a carattere culturale: il primo livello
di intervento riguarda il profilo filosofico-ideologico;
il secondo pilastro formativo dovrebbe essere di natura
storica o storico-politica; infine, la piattaforma
economico-sociale. In ogni livello c’è
necessità di un intervento formativo che vada
oltre le tradizionali appartenenze. Poi, in realtà,
l’offerta formativa vera e propria si costruirà
entro il livello pratico: il pilastro programmatico-tematico.
I pilastri formativi di tipo culturale sembrano
intersecare le questioni specifiche riguardanti la
natura della futura federazione, i suoi caratteri
costitutivi. Soffermiamoci quindi sul profilo filosofico-ideologico.
Per quanto riguarda questo primo aspetto è
del tutto evidente che le culture politiche che si
incontreranno nella Federazione e nella “scuola
quadri” dovranno riconoscere l’insufficienza
delle letture ideologico-filosofiche tradizionali
e dovranno sforzarsi di costruire: a) una cultura
politica – a livello filosofico ed ideologico
– in grado di comprendere le trasformazioni
intervenute nel mondo nell’ultimo scorcio del
secolo scorso; b) un condiviso patrimonio di valori.
I giovani che frequenteranno questa scuola proverranno
da diverse tradizioni politiche – socialiste,
comuniste, cristiano-popolari, liberali, ambientaliste
– da diverse esperienze a livello locale e da
diverse aree del paese; una lettura critica di quelle
identità rappresenta la precondizione per l’effettiva
nascita di un soggetto riformatore che non si fondi
sul “trascinamento” delle culture di riferimento
ma su un patrimonio filosofico-ideologico e su una
lettura condivisa della storia d’Italia (almeno
dal fascismo ad oggi).
Qui entriamo direttamente nel secondo pilastro
formativo, la necessità di una condivisa, o
quanto meno non conflittuale, lettura della storia
(in particolare la storia politica) del nostro paese.
È indispensabile una pacata e condivisa lettura
storica della prima repubblica e comunque dell’esperienza
politica che ci siamo lasciati alle spalle almeno
dal fascismo in poi, soprattutto alla luce della fine
del sistema ideologico che ha permeato la storia del
potere politico nel nostro paese. Fare i conti con
il passato significa costruire un minimo o massimo
comun denominatore che ci consenta di riconoscerci
in alcuni principi di fondo e in una visione del passato
non divergente e tanto meno confliggente; significa
dare il giusto peso, ad esempio, all’esperienza
del centrismo post-bellico, rivalutarne la portata
sia per le scelte relative alla collocazione internazionale
dell’Italia che quelle relative alla modernizzazione
del paese; restituire, in questo contesto, il giusto
rilievo alla figura di De Gasperi. Oppure fare i conti,
fino in fondo, con Craxi ed il craxismo. Su queste
ed altre letture antiche e partigiane del nostro passato
si alimentano ancora numerosi dissidi tra i riformisti;
per i giovani, non certo “scottati” dai
criteri ideologici di lettura del passato, occorre
produrre uno sforzo che superando questi limiti guardi
con spirito critico ai contributi anche più
recenti della filosofia e della storiografia.
Il terzo pilastro in cosa consiste nello specifico?
Per una parte si avvicina ai primi due quando analizza
le linee di tendenza del capitalismo moderno e della
società moderna, e poi diviene premessa alle
proposte di riforma del centro-sinistra. Coniuga le
“analisi della fase” dei comitati centrali
dei vecchi partiti operai con l’analisi delle
“compatibilità” dei programmi riformisti
del passato.
A proposito del pilastro programmatico-tematico,
nel numero di settembre-ottobre di “Reset”
abbiamo riproposto, con un’introduzione di Romano
Prodi, il programma europeo di Giuliano Amato per
la Lista unitaria. Può questo contributo, troppo
precocemente dimenticato, rappresentare un punto di
partenza anche nel progetto formativo?
Ritengo che in quel documento ci siano già
tutti i macro-temi programmatici che corrispondono
al programma di governo di una forza politica di centro-sinistra.
Quindi un’ottima base di partenza per intenderci
su tutta la varietà delle questioni programmatiche
che abbiamo ricompreso in un unico pilastro. Dopo
la fase d’avvio e le premesse poste dal livello
culturale, questo pilastro tematico-programmatico
sarà quello su cui si concentrerà buona
parte dell’offerta formativa. E comunque dalla
scuola usciranno diverse visioni del riformismo e
diverse soluzioni sostenibili ai problemi di riforma
affrontati, favorendo quindi il lavoro di destrutturazione
delle tradizionali famiglie riformistiche e la necessaria
contaminazione delle culture politiche. I giovani
della “scuola quadri” saranno comunque
chiamati a fare i conti con una serie di ambiti disciplinari
e materie specialistiche molto eterogenee –
economia, sociologia, scienze politiche, diritto,
relazioni internazionali, storia – temi non
più riconducibili alle “grandi narrazioni”
ideologiche. Una scuola che, in sintesi, abbia per
oggetto l’agire politico e per metodo la ricerca
della verità intesa come libertà di
pensiero e educazione alla critica.
In questi giorni, con il rientro a tempo pieno
di Romano Prodi alla guida del centro-sinistra italiano,
si stanno definendo alcuni passaggi cruciali per il
futuro della prospettiva riformista e della alleanza
che si candiderà al governo del paese. Quale
spazio crede si possa ritagliare, in questo contesto,
la sua proposta?
Sono davvero preoccupato; temo che la mia iniziativa,
dopo una prima fase di tiepido interesse, venga derubricata
nella proposta organizzativa della Federazione affidata
alla commissione Scoppola. Si parla di espliciti veti
in tal senso. Una scuola come quella che ho proposto
deve partire in modo graduale e sperimentale, ma la
decisione di farla partire è una decisione
politica importante. Ritengo che proprio per il suo
carattere e per i risultati attesi nel medio-lungo
periodo, la proposta possa, alla fine, raccogliere
un diffuso consenso e diventare operativa; l’abbandono
della proposta sarebbe invece paradigmatico dello
stato reale di salute dell’intero progetto della
federazione riformista.
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