Settimana convulsa per l’Ulivo,
quella che ha segnato la metà del mese di gennaio.
I risultati a sorpresa delle primarie pugliesi hanno
innescato un dibattito acceso, e una serie serrata di
incontri per riflettere sul da farsi, che alla fine
è coinciso con la decisione di sospendere per
il momento la discussione sulle primarie e attendere
uniti il congresso Ds e le elezioni regionali.
Ma qual è stata la causa della grande agitazione
all’interno nel centrosinistra? In poche parole,
un vero e proprio paradosso. Per capire di che si
tratta è utile confrontare le interviste rilasciate
a una settimana dalle primarie pugliesi rispettivamente
da Fausto Bertinotti e Sergio Cofferati: “Dopo
mesi abbiamo definito le regole in un documento messo
a punto da un gruppo di lavoro collegiale coordinato
da Arturo Parisi. Ed ecco che improvvisamente sembrano
diventate l’ostacolo principale tra di noi”:
affermazione lineare e difficilmente contestabile,
quella del segretario di Rifondazione su Repubblica
del 22 gennaio. Eppure altrettanto incontestabile
appare quella, sul Corriere dello stesso
giorno, del sindaco di Bologna: “Chi riconosce
la leadership di Prodi non può candidarsi contro
di lui. Se lo fa, vuol dire che non riconosce Prodi
come leader”.
Insomma, se da un lato appare evidente a molti che
le primarie sono una pratica democratica dalla quale
l’Ulivo dovrebbe trarre solo benefici, in termini
di limpidezza e visibilità, e che in ogni caso,
con le parole di Gad Lerner, “è impensabile
proporre le primarie e poi, il giorno dopo che in
Puglia si è avuto un’affluenza pari al
triplo delle aspettative, dire ‘scusate, ci
abbiamo ripensato; meglio risolvere la questione all’interno
dei nostri organismi dirigenti’”, tuttavia
dall’altro lato la situazione non è così
semplice, anche per chi non concorda con la visione
catastrofica del politologo Sartori, secondo cui quella
di domenica 16 gennaio è stata la vittoria
della democrazia dei militanti, infima minoranza incapace
di eleggere un candidato realmente in grado di vincere.
La contraddizione c’è, e dunque se è
vero che le primarie pugliesi sono state un benefico
colpo di frusta, come le ha definite Enrico Letta,
tuttavia lo scenario futuro è delicato e le
prossime mosse vanno scelte con grande accuratezza.
E allora, come se ne esce? La soluzione la suggerisce,
e forse non è un caso vista la sua nota natura
di “mediatore”, Giuliano Amato, che in
una lunga intervista rilasciata sabato 21 a Repubblica
fa una serie di interessanti considerazioni per evitare
l’impasse. Primo, dice Amato, è indispensabile
tener presente l’obiettivo complessivo di tutte
le forze politiche progressiste, che è uno
e chiaro come il sole: a partire dal potenziale di
convergenza che di fatto già esiste tra le
diverse componenti della coalizione, si tratta di
“fare emergere un’identità che
convinca gli italiani perché soddisfa in primo
luogo il loro stesso bisogno identitario, in una fase
storica di grande cambiamento, e quindi di grande
incertezza”. Il punto da perseguire con fermezza
inossidabile è la trasformazione in forza di
governo in grado di rispondere agli urgenti problemi
del paese e alle ansie e paure dei cittadini che in
esso vivono. Le primarie vanno affrontate all’interno
di questa prospettiva, concependole perciò
come strumenti utili in questa direzione e in nessun
modo con altri significati. Sì dunque allo
strumento primarie nella misura in cui esse “forniscono
alla leadership di Prodi un fondamento più
solido di quello che oggi può fornirgli il
consenso delle sole segreterie di partito”.
No alle primerie invece, se si trasformano “in
una vetrina cui si affacciano leader che hanno già
riconosciuto che Prodi sarà il capo indiscusso
dell’alleanza, e mirino soltanto ad una banale
conta dei voti”.
Concretamente, allora, come si esce dal dilemma evocato
all’inizio? Risponde Amato: “Se ne esce
ragionando e impostando bene il tema delle regole
con le quali le primarie si dovranno svolgere”.
In breve, darsi una precisa bussola, perché
lo straordinario tasso di democraticità di
questa forma di elezioni sia indirizzato ad una legittimazione
forte del leader designato, e non contro di lui. Per
questo, conclude Amato, occorre far appello al proprio
senso di responsabilità. Senza giri di parole:
“Non ogni occasione della vita deve servire
a mettere in evidenza se stessi. Ce ne sono alcune,
ogni tanto, in cui ci si deve occupare della ditta”.
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