Ad una settimana dalla consultazione
pugliese, il centrosinistra continua a discutere sulle
modalità attraverso cui regolare l’eventuale
utilizzo dello strumento delle primarie. Noi abbiamo
chiesto ad Arturo Parisi, coordinatore del comitato
per le primarie, di commentare la vittoria di Vendola
e spiegarci perché la scelta del candidato da
parte degli elettori è una esperienza di democrazia
che può, a certe condizioni, essere utile all’Ulivo.
Prof. Parisi, perché il meccanismo
delle primarie è importante?
Credo sia opportuno ricordare anzitutto che non sempre
gli stessi comportamenti elettorali si sono tradotti
nello stesso risultato. Tra il risultato e i comportamenti
ci sono le regole, ed è per questo che esse
spesso sono determinanti. Tuttavia, bisogna fare i
conti con la storia: tutte le regole sono legate a
processi di apprendimento collettivo e individuale,
che ahimè è spesso molto faticoso. Questo
vale innanzitutto per la regola maggioritaria bipolare,
che dal 1994 è stata introdotta nel nostro
paese. Dopo che per decenni si è identificata
la democrazia con la logica della rappresentanza,
e la rappresentanza con la logica della proporzionalità,
ci vuole parecchio a cambiare. Da questo punto di
vista, dieci anni non sono nulla, tanto è vero
che se guardiamo le elezioni del ’94, del ’96,
del 2001 vediamo che il sistema si è andato
mano mano modificando. Per le primarie si può
fare lo stesso discorso. Le primarie americane hanno
cinquantadue anni di vita, e ancora oggi non interessano
tutti gli Stati nella stessa misura e nello stesso
modo, quindi dobbiamo valutarle per quelle che sono,
nel loro specifico contesto.
All’interno del dibattito politico
italiano, fortemente ideologizzato, il meccanismo
delle primarie non rischia di favorire i candidati
con un messaggio di qualità “emotiva”
più alta, magari a scapito dei contenuti?
Torniamo al caso specifico. Alle primarie pugliesi
hanno partecipato più di 80.000 persone, cioè
un numero superiore non solo agli iscritti dei partiti
di centrosinistra in Puglia, che sono circa 35-40
mila, ma anche al numero dei votanti nei congressi
di partito, circa 20-25 mila. C’è stata
dunque una grandissima partecipazione. Dobbiamo chiederci
dunque come mai tutte queste persone sono andate a
votare, facendo spesso lunghe file, con la neve e
la pioggia. Come mai? La risposta è una ed
è abbastanza drammatica: vuol dire che i partiti
in quanto tali non riescono a mobilitare la partecipazione
potenziale esistente. I partiti chiedono che venga
loro riconosciuto il peso che ciascuno ha: ma se non
riescono ad orientare nemmeno il voto dei militanti
e degli iscritti, come si misura il peso degli elettori?
Si tratta di una questione di legittimazione, che
mette in discussione la capacità di dare ordini
e di ottenere obbedienza da parte dei partiti.
Quanto detto spiega l’alta partecipazione
al voto. Ma il risultato?
Veniamo a un secondo punto che vorrei sottolineare.
La capacità di mobilitare è strettamente
legata ad un secondo aspetto, quello del radicamento.
La realtà è che Vendola, che io non
conoscevo, è risultata una persona non radicale,
ma anzitutto radicata, riconosciuta, alla quale era
possibile un processo di identificazione al di là
della sua appartenenza di parte. Questo è un
dato importantissimo che merita di essere discusso,
proprio perché i partiti rivendicano un ruolo
di mediazione tra la gente e le istituzioni. Naturalmente
le primarie non possono essere fini a se stesse, ma
dovrebbero servire ad un’altra cosa, ovvero
a selezionare in modo più accorto una persona
capace di competere con altre. Ma esse hanno innanzitutto
una funzione di apprendimento, nella misura in cui
mettono in discussione la pretesa dei partiti di rappresentare
gli elettori. Se i partiti però non riescono
a confrontarsi su questo e assumono un atteggiamento
difensivo nei confronti di ciò che loro stessi
hanno promosso, non si potrà che avere un risultato
negativo, e da questa esperienza non impareremo nulla.
Certamente le primarie sono utili ad imparare
una forma di democrazia migliore e soprattutto in
grado di migliorarsi. Ma siamo sicuri che questo meccanismo
riduca la conflittualità anziché aumentarla?
Certo. Il fatto che molti elettori della Margherita
abbiano votato Vendola, perché questo dicono
i numeri, è una prova provata dell’unità.
È insomma la prova che la coalizione esiste,
e non la causa della divisione. Queste elezioni ci
hanno segnalato un fatto importante, ovvero il coinvolgimento
di Rifondazione di una logica di coalizione. Si tratta
di una cosa enorme che forse non tutti i commentatori,
spesso rimasti all’interno di una logica proporzionale,
hanno colto. Vendola ha avuto un approccio di carattere
maggioritario e si è presentato in maniera
credibile a tutti pur proveniendo da una logica di
identità, legata a sua volta ad una logica
di proporzione. È riuscito a comunicare, mentre
Boccia no, e questo conta.
Un secondo elemento importante è che ora i
soggetti principali sono costretti a pedalare, dal
momento che Rifondazione ha fatto la scelta centripeta
e non centrifuga. Il bipolarismo è importante
perché spinge tutti a fare scelte centripete:
nella misura in cui mi metto nel gioco del governo,
devo fare un passo che va verso il governo perché
è ad esso che sono interessato. È un
cambiamento quasi rivoluzionario. Che poi Vendola
perda, direi che, nella misura in cui è dentro
una storia, un percorso, questo potrebbe essere addirittura
secondario. In fondo, non c’è miglior
modo per apprendere che la domanda giusta era quella
di Boccia, e che Boccia non è riuscito a rendere
credibile, se non quello di bruciarsi: metto la mano,
mi brucio e imparo. Insomma, in ogni caso l’apprendimento
è il risultato fondamentale!
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it