270 - 28.01.05


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Quante domande, Europa,
ma è tempo di agire
Elisabetta Ambrosi

Si chiama Echo (Office for Humanitarian Aid) ed è il braccio operativo dell’Unione in tema di aiuti umanitari. A guidarla è il francese Louis Michel che in caso di necessità ha potere di firma per stanziamenti che possono raggiungere i 30 milioni di euro. Nel caso del disastro asiatico, ne ha resi disponibili 23 (3 subito dopo la notizia della catastrofe, successivamente altri 20), ma lo stesso presidente della Commissione Barroso ha annunciato che l’Unione sta vagliando la proposta di mettere a disposizione 100 milioni di euro per gli aiuti immediati e successivamente altri 350 milioni per la ricostruzione a lungo termine.

Tutto bene quel che finisce bene, dunque, ammesso che si possa utilizzare questa espressione in un contesto così drammatico? Non proprio, in verità.
Infatti, nonostante la disponibilità di finanziamenti, a poche settimane dalla firma del Trattato, il Vecchio Continente, di fronte allo spettacolo di distruzione e morte dello tsunami, si è reso conto di un fatto drammatico: “L' Europa non ha una difesa comune. Né una forza capace di intervenire nel caso di grandi sciagure naturali”. Così ha scritto Bernardo Valli in un articolo su Repubblica dell’8 gennaio. “L' Europa invece si interroga, fantastica sulla propria unità ma è ancorata alle vecchie vanità nazionali, si guarda allo specchio, sono o non sono? cosa sono? cosa non sono? si abbandona all'introspezione, discute, dibatte. Di conseguenza esita. Dubita. Ci voleva lo tsunami, la remota onda micidiale, frantumatasi in mille altre onde abbattutesi sulle coste dell' Asia in un raggio di più di mille miglia marine, per rendere sfacciatamente palese la verità sull' Europa”. Così ha scritto Valli.

Nei giorni dell’immane catastrofe in Asia, infatti, l’Unione è riuscita a svolgere un ruolo importante nell’affidare all’Onu il coordinamento degli aiuti, evitando una nuova gestione unilaterale dei soccorsi. Inoltre, al vertice di Jakarta si è presentata con una sola voce, fatto inedito e importante per il futuro politico del Vecchio Continente. Ma ora, hanno notato in molti, essa è chiamata ad un compito ulteriore, quello di dotarsi di propri mezzi militari e logistici.

In realtà, già dal 2003 l'Unione dovrebbe disporre della capacità di mobilitare una forza di intervento da mobilitare in caso di emergenza, ma in realtà si tratta di un meccanismo complicato, impossibile da far partire con una semplice telefonata. Di questo deficit i paesi dell’Unione sono consapevoli, tanto che essi stessi hanno auspicato in un comunicato, in seguito alla vicenda dello tsunami, “un miglior coordinamento dei mezzi militari”, di “un miglioramento dei meccanismi di protezione civile della Comunità” e di “un rafforzamento della cooperazione tra i consolati”.

Resta comunque un dato importante, quello dell’enorme partecipazione della società civile dei paesi europei, uniti da un sentimento di solidarietà ed empatia, verso un evento così drammatico e umanamente incomprensibile come quello avvenuto in Asia. Infatti, i contributi versati volontariamente dai cittadini sono di inedita entità (tra tutti, in particolare, spicca il caso tedesco, paese nel quale si sono raccolti spontaneamente più di 150 milioni di euro). Forse ancora una volta la società ha anticipato la politica: nonostante i dubbi sull’Europa e le paure di decisioni imposte dall’alto, che ancora venano trasversalmente i paesi del vecchio continente, i cittadini europei chiedono che, se l’Unione ci deve essere, allora va prima di tutto dotata di una difesa comune e della capacità di intervenire compatta in situazioni di guerra, catastrofe e lutto globale.

 

 

 

 

 

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