267 - 11.12.04


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Legge 40, oltre lo scontro
tra laici e cattolici
Elisabetta Ambrosi

Italia, 2004. Le contrapposizioni tra laici e cattolici in ambito bioetico tornano alla ribalta, più aspre che mai. La moderazione che la vecchia Balena bianca saggiamente praticava, cercando una mediazione non tanto tra laici e cattolici, forse, quanto tra la società – con i suoi bisogni e desideri sempre più avanti rispetto al Palazzo – e una politica attenta all’occhiuto sguardo indagatore della Chiesa, sembra essere svanita, cedendo il passo a una difesa militante dei diritti dell’embrione che fa impallidire gli stessi antiabortisti moderati.

“Possiamo difendere la 194 e insieme dire che l’aborto è un omicidio?”: con questa affermazione di Giuliano Ferrara si chiudeva la puntata di Otto e mezzo di mercoledì 24 novembre. Non è difficile purtroppo notare come questa frase contenga una contraddizione, almeno se la si considera non come lo sfogo privato di un cattolico tormentato, quanto come una vera e propria posizione politica: se infatti l’aborto equivalesse all’uccisione di un essere umano, non potrebbe essere certo consentito. Eppure, proprio questo paradosso è quella che segna pesantemente la legge 40 sulla fecondazione assistita, approvata con i voti di una parte dell’opposizione. Infatti, da un lato la legge riconosce apertamente la necessità di tutelare tutti i soggetti coinvolti, compreso il “concepito”, che in tal modo si configura come un soggetto giuridico. Coerentemente con questa affermazione, la legge obbliga l’impianto degli embrioni anche nei casi in cui alcuni di essi risultino malati o ci sia un ripensamento della donna nei giorni che intercorrono dalla fecondazione all’impianto stesso, senza specificare come ciò possa peraltro avvenire (tramite l’intervento delle forze dell’ordine, che trascinano la donna in ospedale per impiantarle gli embrioni?). Inoltre, la procedura con cui viene effettuata la fecondazione è vincolata da pesanti restrizioni: tre è il numero massimo di embrioni che possono essere impiantati, e ciò deve avvenire contemporaneamente nello stesso impianto, con gravi rischi per la salute della donna e un’alta probabilità di avere gravidanze trigemellari. Dall’altro, tuttavia, resta la possibilità di ricorrere all’aborto terapeutico nei casi in questione, come previsto dalla legge 194.

La legge 40, com’è noto, non si limita ai divieti elencati. Essa proibisce anche sia ogni forma di conservazione degli embrioni, sia qualsiasi tipo di ricerca su di essi. Vieta non solo la clonazione riproduttiva, ma anche quella terapeutica. Infine, esclude il ricorso alla fecondazione eterologa. In questo senso, può essere definita una legge a senso unico, tutta di un pezzo, coerente al suo interno ma in aperto contrasto con la nostra legislazione in materia di aborto, e in ogni caso non in grado di rispecchiare la pluralità delle opinioni della società civile nell’ambito delicato della nascita e della ricerca scientifica. Una legge, in breve, che ha favorito la costruzione di nuove barricate tra laici e cattolici, facendo regredire il già scarso livello di liberalismo del nostro paese.

Proprio sulla questione del liberalismo si è non a caso scatenata nelle ultime settimane una vera e propria battaglia giornalistica, il cui spunto è stato il caso Buttiglione, ma che è poi continuata grazie alle micce offerte dal Foglio e dalle sue teorie circa la necessità di alimentare un nuova “guerra culturale” perché l’Occidente si riappropri in maniera forte dei suoi valori, in primo luogo la difesa di un modello “naturale” di famiglia. Naturalmente, i liberali più autentici hanno fatto notare che, se il liberalismo si caratterizza proprio per la capacità di esprimere e dare voce al conflitto delle opinioni e delle pratiche, allo stesso tempo l’espressione della diversità è consentita proprio nella misura in cui lo scontro si compone all’interno della proposta legislativa, dando luogo ad una mediazione tra diverse posizioni, che consenta a tutte un adeguato livello di libertà. In questa direzione si è mosso Giuliano Amato, che pochi giorni fa ha depositato in Senato una proposta di legge alternativa a quella in vigore e profondamente modificata rispetto a quest’ultima: sia perché si tratta di una proposta apertamente liberale, sia perché compone le diverse esigenze di laici e cattolici.

La proposta Amato, firmata da sei senatori della Margherita e sei dei Ds, si fa portatrice così di un doppio significato, etico e politico insieme: da un lato risponde alla necessità di regolamentare l’ambito della fecondazione assistita, rispettando al tempo stesso il desiderio delle coppie in difficoltà non solo di avere un figlio, ma possibilmente un figlio non gravato in partenza da handicap gravi; dall’altro è in grado di far convergere lo schieramento di centrosinistra su una posizione unitaria, in una materia che riveste, come tutte le questioni bioetiche, un interesse cruciale e sulla quale il rifugio della libertà di coscienza appare sempre meno giustificato (dal momento che la libertà di coscienze del legislatore si traduce ipso facto in una perdita di libertà del singolo cittadino, il quale ha il diritto di conoscere in anticipo quali saranno le scelte della coalizione votata in materia).

In breve, la proposta Amato elimina alcuni, immotivati, divieti, la cui caduta apre conseguentemente una serie di porte chiuse. In primo luogo, il riferimento diretto al concepito viene sostituito dalla più ampia dicitura che parla di “rispetto e tutela della dignità umana”. Inoltre, si consente che gli embrioni non vengano impiantati qualora essi siano portatori di gravi malattie genetiche, possibilità che fa sì che la legge preveda che possano accedere alle tecniche di fecondazione non solo le coppie sterili, come attualmente previsto, ma anche quelle affette sia da malattie genetiche, qualora esse volessero evitare di trasmettere la malattia al proprio figlio (grazie alla diagnosi preimpianto), sia da patologie trasmissibili sessualmente (la fecondazione in vitro evita infatti l’atto sessuale).

Inoltre, significativi cambiamenti sono quelli relativi alle modalità con cui avviene la fecondazione: a differenza dei limiti imposti dalla legge 40, la bozza Amato difende ragionevolmente “la fecondazione in vitro di tanti ovociti quanti ritenuti necessari, in relazione anche all’età e alle condizioni della donna […], ad assicurare la formazione di un numero di embrioni sufficiente ad almeno due successivi impianti”. Al tempo stesso, cade il relativo divieto di congelare gli embrioni, anche se nel testo viene introdotta una distinzione significativa tra due diversi stadi di sviluppo dell’ovocita fecondato: quello di ootide, e quello di embrione in senso proprio. In pratica, la proposta prevede che si possano crioconservare gli ovociti fecondati, ma impone che ciò venga fatto quando essi sono ancora allo stadio pre-embrionale di ootidi. Una distinzione, quella tra ootidi ed embrioni, che davvero riveste un significato biologico, etico e politico insieme, perché potrebbe consentire una mediazione tra laici e cattolici proprio sulla base di un tipo di differenziazione – da tanti auspicata – tra forme di vita non embrionali e l’embrione in senso proprio.

Proprio l’automatica identificazione di concepito e persona, che grava sui cattolici come una scure, impedisce infatti loro di aprirsi ad un dibattito più ampio, meno asfittico, e maggiormente permeato dalle ragioni della storia: la quale ci ricorda che sulla questione dell’aborto tante e differenziate sono state le posizioni degli stessi cristiani circa il tipo di status da assegnare al concepito e circa il momento in cui l’embrione può a pieno titolo considerarsi persona, dunque dotata di anima e corpo.

Infine, in maniera conseguente al permesso di conservare gli embrioni, la bozza Amato apre la porta alla ricerca sia sugli ootidi, sia sugli embrioni sovrannumerari che necessariamente si producono in seguito alla diagnosi preimpianto, alla eventuale selezione, al ripensamento della donna: ricerca vietata del tutto dalla legge in vigore. In pratica, da un lato si tenta di ridurre la produzione di embrioni sovrannumerari, “fermando” l’ovocita fecondato ad uno stadio precedente; dall’altro, si prende realisticamente atto del fatto che è impossibile non avere embrioni in eccesso, e si decide – tramite previo consenso della coppia, equiparato dall’autore a quello dato all’espianto degli organi – di non distruggerli ma di dedicarli, al pari degli ootidi, alla produzione di nuova vita: non è tale infatti quella che di fatto scaturisce dalla cura di malattie gravissime, che le terapie derivate dalla ricerca sulle staminali già consentono, e sempre più consentiranno in futuro?
Da ultimo, la proposta Amato elimina il divieto, immotivato, della fecondazione eterologa, che impedisce alle coppie dove uno dei due membri sia irrimediabilmente sterile di avere un figlio. In questo caso l’analogia, invocata a ragione, è tra la fecondazione eterologa e l’adozione (“un figlio è soprattutto quello che si vuole e si cresce2).

Il futuro della proposta dell’ex-vicepresidente della Convenzione dipende ora dagli sviluppi del dibattito politico e soprattutto dagli esiti del referendum che i radicali, hanno lanciato con passione e coerenza contestualmente alla discussione e approvazione della legge 40 in Parlamento. Sul referendum radicale di dovranno pronunciare sia la Corte di Cassazione, che dovrà decidere in dicembre circa la necessità o meno di accorpare i diversi quesiti referendari, sia la Corte costituzionale. C’è da chiedersi comunque come mai nessuno tra i radicali abbia seriamente preso in considerazione la proposta di Amato, la quale viene incontro praticamente a tutte le richieste del referendum. Essa è stata invece sbrigativamente bollata come un “pasticcio” sia da Capezzone che dalla stessa Bonino: giudizio che ha dato un poco credito al sospetto che si voglia il referendum, in quanto tale, a tutti i costi, piuttosto che una normativa migliore (chi scrive, ad esempio, ha subito firmato il referendum, ma se la legge 40 fosse sostituita da una nuova e giusta regolamentazione non sentirebbe certo il bisogno del referendum in sé e per sé…).

Il lungo scontro sul tema della fecondazione, che ha visto tra l’altro molti membri della maggioranza criticare una legge da loro pure votata, ha messo comunque in evidenza la necessità di un dibattito sui temi della bioetica non solo di maggiore livello culturale, ma anche più ampio rispetto agli angusti confini nazionali. La legislazione nei diversi paesi europei è infatti radicalmente diversa: si va dal caso dell’Irlanda, l’unica nazione che non consente l’aborto, all’Inghilterra, che autorizza la creazione ad hoc di embrioni ai soli fini di ricerca. In un certo senso, è la stessa complessità della materia in questione a dar luogo a posizioni diverse, tutte senz’altro portatrici di istanze di verità. E tuttavia, ora che l’Europa ha una carta costituzionale comune, non è forse venuto il momento di dotarsi di una legislazione uniforme, dal momento che discutere di bioetica significa soprattutto discutere di alcuni cruciali diritti (e doveri) degli individui?

 

 

 

 

 

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