Italia, 2004. Le contrapposizioni tra
laici e cattolici in ambito bioetico tornano alla ribalta,
più aspre che mai. La moderazione che la vecchia
Balena bianca saggiamente praticava, cercando una mediazione
non tanto tra laici e cattolici, forse, quanto tra la
società – con i suoi bisogni e desideri
sempre più avanti rispetto al Palazzo –
e una politica attenta all’occhiuto sguardo indagatore
della Chiesa, sembra essere svanita, cedendo il passo
a una difesa militante dei diritti dell’embrione
che fa impallidire gli stessi antiabortisti moderati.
“Possiamo difendere la 194 e insieme dire che
l’aborto è un omicidio?”: con questa
affermazione di Giuliano Ferrara si chiudeva la puntata
di Otto e mezzo di mercoledì 24 novembre.
Non è difficile purtroppo notare come questa
frase contenga una contraddizione, almeno se la si
considera non come lo sfogo privato di un cattolico
tormentato, quanto come una vera e propria posizione
politica: se infatti l’aborto equivalesse all’uccisione
di un essere umano, non potrebbe essere certo consentito.
Eppure, proprio questo paradosso è quella che
segna pesantemente la legge 40 sulla fecondazione
assistita, approvata con i voti di una parte dell’opposizione.
Infatti, da un lato la legge riconosce apertamente
la necessità di tutelare tutti i soggetti coinvolti,
compreso il “concepito”, che in tal modo
si configura come un soggetto giuridico. Coerentemente
con questa affermazione, la legge obbliga l’impianto
degli embrioni anche nei casi in cui alcuni di essi
risultino malati o ci sia un ripensamento della donna
nei giorni che intercorrono dalla fecondazione all’impianto
stesso, senza specificare come ciò possa peraltro
avvenire (tramite l’intervento delle forze dell’ordine,
che trascinano la donna in ospedale per impiantarle
gli embrioni?). Inoltre, la procedura con cui viene
effettuata la fecondazione è vincolata da pesanti
restrizioni: tre è il numero massimo di embrioni
che possono essere impiantati, e ciò deve avvenire
contemporaneamente nello stesso impianto, con gravi
rischi per la salute della donna e un’alta probabilità
di avere gravidanze trigemellari. Dall’altro,
tuttavia, resta la possibilità di ricorrere
all’aborto terapeutico nei casi in questione,
come previsto dalla legge 194.
La legge 40, com’è noto, non si limita
ai divieti elencati. Essa proibisce anche sia ogni
forma di conservazione degli embrioni, sia qualsiasi
tipo di ricerca su di essi. Vieta non solo la clonazione
riproduttiva, ma anche quella terapeutica. Infine,
esclude il ricorso alla fecondazione eterologa. In
questo senso, può essere definita una legge
a senso unico, tutta di un pezzo, coerente al suo
interno ma in aperto contrasto con la nostra legislazione
in materia di aborto, e in ogni caso non in grado
di rispecchiare la pluralità delle opinioni
della società civile nell’ambito delicato
della nascita e della ricerca scientifica. Una legge,
in breve, che ha favorito la costruzione di nuove
barricate tra laici e cattolici, facendo regredire
il già scarso livello di liberalismo del nostro
paese.
Proprio sulla questione del liberalismo si è
non a caso scatenata nelle ultime settimane una vera
e propria battaglia giornalistica, il cui spunto è
stato il caso Buttiglione, ma che è poi continuata
grazie alle micce offerte dal Foglio e dalle sue teorie
circa la necessità di alimentare un nuova “guerra
culturale” perché l’Occidente si
riappropri in maniera forte dei suoi valori, in primo
luogo la difesa di un modello “naturale”
di famiglia. Naturalmente, i liberali più autentici
hanno fatto notare che, se il liberalismo si caratterizza
proprio per la capacità di esprimere e dare
voce al conflitto delle opinioni e delle pratiche,
allo stesso tempo l’espressione della diversità
è consentita proprio nella misura in cui lo
scontro si compone all’interno della proposta
legislativa, dando luogo ad una mediazione tra diverse
posizioni, che consenta a tutte un adeguato livello
di libertà. In questa direzione si è
mosso Giuliano Amato, che pochi giorni fa ha depositato
in Senato una proposta di legge alternativa a quella
in vigore e profondamente modificata rispetto a quest’ultima:
sia perché si tratta di una proposta apertamente
liberale, sia perché compone le diverse esigenze
di laici e cattolici.
La proposta Amato, firmata da sei senatori della
Margherita e sei dei Ds, si fa portatrice così
di un doppio significato, etico e politico insieme:
da un lato risponde alla necessità di regolamentare
l’ambito della fecondazione assistita, rispettando
al tempo stesso il desiderio delle coppie in difficoltà
non solo di avere un figlio, ma possibilmente un figlio
non gravato in partenza da handicap gravi; dall’altro
è in grado di far convergere lo schieramento
di centrosinistra su una posizione unitaria, in una
materia che riveste, come tutte le questioni bioetiche,
un interesse cruciale e sulla quale il rifugio della
libertà di coscienza appare sempre meno giustificato
(dal momento che la libertà di coscienze del
legislatore si traduce ipso facto in una
perdita di libertà del singolo cittadino, il
quale ha il diritto di conoscere in anticipo quali
saranno le scelte della coalizione votata in materia).
In breve, la proposta Amato elimina alcuni, immotivati,
divieti, la cui caduta apre conseguentemente una serie
di porte chiuse. In primo luogo, il riferimento diretto
al concepito viene sostituito dalla più ampia
dicitura che parla di “rispetto e tutela della
dignità umana”. Inoltre, si consente
che gli embrioni non vengano impiantati qualora essi
siano portatori di gravi malattie genetiche, possibilità
che fa sì che la legge preveda che possano
accedere alle tecniche di fecondazione non solo le
coppie sterili, come attualmente previsto, ma anche
quelle affette sia da malattie genetiche, qualora
esse volessero evitare di trasmettere la malattia
al proprio figlio (grazie alla diagnosi preimpianto),
sia da patologie trasmissibili sessualmente (la fecondazione
in vitro evita infatti l’atto sessuale).
Inoltre, significativi cambiamenti sono quelli relativi
alle modalità con cui avviene la fecondazione:
a differenza dei limiti imposti dalla legge 40, la
bozza Amato difende ragionevolmente “la fecondazione
in vitro di tanti ovociti quanti ritenuti necessari,
in relazione anche all’età e alle condizioni
della donna […], ad assicurare la formazione
di un numero di embrioni sufficiente ad almeno due
successivi impianti”. Al tempo stesso, cade
il relativo divieto di congelare gli embrioni, anche
se nel testo viene introdotta una distinzione significativa
tra due diversi stadi di sviluppo dell’ovocita
fecondato: quello di ootide, e quello di embrione
in senso proprio. In pratica, la proposta prevede
che si possano crioconservare gli ovociti fecondati,
ma impone che ciò venga fatto quando essi sono
ancora allo stadio pre-embrionale di ootidi. Una distinzione,
quella tra ootidi ed embrioni, che davvero riveste
un significato biologico, etico e politico insieme,
perché potrebbe consentire una mediazione tra
laici e cattolici proprio sulla base di un tipo di
differenziazione – da tanti auspicata –
tra forme di vita non embrionali e l’embrione
in senso proprio.
Proprio l’automatica identificazione di concepito
e persona, che grava sui cattolici come una scure,
impedisce infatti loro di aprirsi ad un dibattito
più ampio, meno asfittico, e maggiormente permeato
dalle ragioni della storia: la quale ci ricorda che
sulla questione dell’aborto tante e differenziate
sono state le posizioni degli stessi cristiani circa
il tipo di status da assegnare al concepito e circa
il momento in cui l’embrione può a pieno
titolo considerarsi persona, dunque dotata di anima
e corpo.
Infine, in maniera conseguente al permesso di conservare
gli embrioni, la bozza Amato apre la porta alla ricerca
sia sugli ootidi, sia sugli embrioni sovrannumerari
che necessariamente si producono in seguito alla diagnosi
preimpianto, alla eventuale selezione, al ripensamento
della donna: ricerca vietata del tutto dalla legge
in vigore. In pratica, da un lato si tenta di ridurre
la produzione di embrioni sovrannumerari, “fermando”
l’ovocita fecondato ad uno stadio precedente;
dall’altro, si prende realisticamente atto del
fatto che è impossibile non avere embrioni
in eccesso, e si decide – tramite previo consenso
della coppia, equiparato dall’autore a quello
dato all’espianto degli organi – di non
distruggerli ma di dedicarli, al pari degli ootidi,
alla produzione di nuova vita: non è tale infatti
quella che di fatto scaturisce dalla cura di malattie
gravissime, che le terapie derivate dalla ricerca
sulle staminali già consentono, e sempre più
consentiranno in futuro?
Da ultimo, la proposta Amato elimina il divieto, immotivato,
della fecondazione eterologa, che impedisce alle coppie
dove uno dei due membri sia irrimediabilmente sterile
di avere un figlio. In questo caso l’analogia,
invocata a ragione, è tra la fecondazione eterologa
e l’adozione (“un figlio è soprattutto
quello che si vuole e si cresce2).
Il futuro della proposta dell’ex-vicepresidente
della Convenzione dipende ora dagli sviluppi del dibattito
politico e soprattutto dagli esiti del referendum
che i radicali, hanno lanciato con passione e coerenza
contestualmente alla discussione e approvazione della
legge 40 in Parlamento. Sul referendum radicale di
dovranno pronunciare sia la Corte di Cassazione, che
dovrà decidere in dicembre circa la necessità
o meno di accorpare i diversi quesiti referendari,
sia la Corte costituzionale. C’è da chiedersi
comunque come mai nessuno tra i radicali abbia seriamente
preso in considerazione la proposta di Amato, la quale
viene incontro praticamente a tutte le richieste del
referendum. Essa è stata invece sbrigativamente
bollata come un “pasticcio” sia da Capezzone
che dalla stessa Bonino: giudizio che ha dato un poco
credito al sospetto che si voglia il referendum, in
quanto tale, a tutti i costi, piuttosto che una normativa
migliore (chi scrive, ad esempio, ha subito firmato
il referendum, ma se la legge 40 fosse sostituita
da una nuova e giusta regolamentazione non sentirebbe
certo il bisogno del referendum in sé e per
sé…).
Il lungo scontro sul tema della fecondazione, che
ha visto tra l’altro molti membri della maggioranza
criticare una legge da loro pure votata, ha messo
comunque in evidenza la necessità di un dibattito
sui temi della bioetica non solo di maggiore livello
culturale, ma anche più ampio rispetto agli
angusti confini nazionali. La legislazione nei diversi
paesi europei è infatti radicalmente diversa:
si va dal caso dell’Irlanda, l’unica nazione
che non consente l’aborto, all’Inghilterra,
che autorizza la creazione ad hoc di embrioni
ai soli fini di ricerca. In un certo senso, è
la stessa complessità della materia in questione
a dar luogo a posizioni diverse, tutte senz’altro
portatrici di istanze di verità. E tuttavia,
ora che l’Europa ha una carta costituzionale
comune, non è forse venuto il momento di dotarsi
di una legislazione uniforme, dal momento che discutere
di bioetica significa soprattutto discutere di alcuni
cruciali diritti (e doveri) degli individui?
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